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ma le leggi patrie lo vietano: si confida allora con Viterico, e questo, a malgrado della sua buona volontà, non riuscirebbe a trarlo d'impaccio, se la cattura di un messaggiero greco, venuto per aiutar Placidia, e le parole di costui che la scoprono, contro ogni aspettativa non suggerissero una soluzione che appaga tutti: Placidia si serberà come ostaggio, anzi la si sposerà al Re.

Il lettore è corso certo col pensiero alla Rosmunda del Rucellai, che il Benivieni sicuramente conosceva, con una situazione della quale anche nel principio dell' Amalasunta abbiamo, se ricorda, trovata una somiglianza, quantunque non forse un'imitazione. Il Fiorentino che primo dopo il Trissino scrisse una tragedia regolare, contaminando la storia longobarda di Rosmu:da colla greca di Antigone, ha immaginato la donna gepida andasse di mattina nel campo degli uccisi a rintracciare il corpo del padre, e trovatolo lo seppellisse, contravvenendo così a un ordine del vincitore, come, non volendo cantare, contravviene agli ordini del vincitore Placidia. Sola differenza: Rosmunda confessa la sua identità, Placidia la nega. Ma quando è scoperta, Rosmunda, per consiglio di Falisco, viene sposata dal re longobardo, come, per consiglio di Viterico, una volta scoperta, sarà sposata da Ataulfo Placidia. Il dramma, di cui l'intreccio primitivo, quale gli storici lo fornivano all'autore, era caso mai da commedia, nonnostante che il poeta ne abbia voluto fare una tragedia, ha portato con sé, se cosi possiamo chiamarlo, il suo vizio d'origine : fra tutte queste tragedie è quella in cui l'amore ha maggior parte (1), e la rima sfugge più spesso.

(1) Certo che l'amore può entrare in una tragedia. Ma Ataulfo innamorato come ce lo presenta il Benivieni, è personaggio tutt'altro che tragico! debole, loquace, non fa che lamentarsi : molto migliore Placidia, la quale non ama, non s' accorge neppure di essere amata, e non ha che una cura, quella di non avvilire per nessuna maniera il nome ch' essa porta.

Il prologo, il solito prologo precedente il dramma che già abbiamo trovato nell' Amalasunta e ritroveremo nella Teodora, non è privo di un certo interesse. Lo fa Italia, o forse Roma (1) piangendo le sue sventure, e informando poi gli uditori delle intenzioni del poeta. (2)

Entra primo in scena Asmundo, prefetto del consiglio, e ordina a Massima, la matrona cui son commesse le prigioniere, di insegnar loro il canto funebre, ammonendola che

di abito supplice vestite,

Velato il capo et bendate le mani,

Inserti in esse di feral cipresso

Rami et di uliva pallida, piatose

Et meste sian d'attorno al gran feretro ». (3)

Corillo che ha la cura dei prigionieri, faccia lor deviare il Bassento (4), e scavare nel mezzo del corso di quell' acqua ampia, capace, orrevol tomba; Decibalo poi scelga il meglio del bottino, gli ori e le gemme, per

(1) comincia: « Quella che già fu Donna | Del mondo, ecco vi appaio Ravvolta in humil gonna, | Deposto il prisco aspetto altero e gaio, | Squarciato il petto et fatta | Gioco di scene, ostello | D'infelici Tragedie . . . . . » (c. 79).

.....

(2)«Che 'l Poeta non vuol tener le strade | De' tragici più trite; Nè però della norma Dei dottor più solenni | Uscirà, benchè appaia oggi più mite; | E piglia questa forma, | Perchè quei fieri cenni | Spaventon troppo et l'orrende ferite. | Gl'huomini alle commedie | Avvezzi [e] a menar vite | Tranquille, hanno in horror morti et Tragedie. | Quest'è savia et modesta, Non manomette o ancide | Alcuna real testa: | Nel fin s'allegra, se non ci si ride. | Per lo mio amor, che sono | La vostra antica madre | State attenti » (c. 79.b).

(3) c. 81.a

(4) Anche l'Acciaiuoli, vedemmo, scriveva cosi. Nel ms. è corretto di mano dell'autore da Bissonte.

restituirle all' infernal baratro; egli andrà in cerca di Ataulfo tutti eseguiscano le loro incombenze, nè dicano: «< il capo, il signor manca », poichè presto ci sarà; al che il maggiordomo :

«Io so che chiunque ad ubbidir è nato

Sempre havrà chi lo stimoli et incalzi; (1)
Tal pericol ci fusse di mancare

Qualche volta di chi comando (2) apporti!
Non si dubiti star pure un momento
Senza sopraintendenti et commissari ;

Anzi venga pur presto il successore,

Chè, io credo, certo noi ne haren contento.

Vedendo Ataulfo, pensa sia bene accaparrarselo, caso mai dovesse veramente essere eletto in posto del morto Alarico; ma Ataulfo non si accorge di lui, e parla da solo, a bastanza forte però, che il pubblico ed il maggiordomo ne odano le amorose querele. Sentito poi che il prefetto lo cercava, s' accinge ad andargli incontro; ma se non lo trova, tanto meglio: potrà ritirarsi in più solingo calle a dolersi e a fantasticare. E ricomincia a discorrere fra sè e sè, svelando a chi li vuol udire i suoi affanni. È schiavo di una prigioniera: di lei non conosce che il volto divinamente bello, lo stato non sa; chi ne sa non gli parla, a lui parla soltanto Amore. E intanto le leggi della patria impediscono il matrimonio dei vincitori coi vinti. . . che fare dunque? Viene nel frattempo sulla scena Massima colla schiera delle donzelle; Ataulfo le domanda dove sia colei che faceva parer gioconde col suo bel volto le loro miserie, e udito come un gran pericolo le sovrasti, perchè non vuol cantare colle altre sul tumulo

(1) Ms. et lo incalzi.

(2) Ms.: commodo.

(3) c. 81.b

del morto re, si conforta, che questo è segno di generoso, alto lignaggio, e sempre più va animandosi nel pensiero di farla sua. Raimondo viene coll' ordine ad Ataulfo di recarsi al gran consiglio; Massima, costretta da necessità, fa ripetere alle donzelle il coro lodatore di Alarico e obbrobrioso per i vinti. Del cui suono assai lugubre (atto II) si compiace il prefetto: ma accorgendosi della mancanza di una donzella, e non accettando le scuse di Massima che la dice giacente al padiglione « . . . . di corpo et d' animo assai gramo », ne vuol sapere il nome che, con un pretesto qualsiasi, gli tacciono. Asmundo parte, minacciando tutte le pene alla trasgreditrice.

Questa subito dopo compare sulla scena: le donne cercano di piegarla alle voglie del vincitore, indarno! E risoluta di soffrir qualunque male, anche il disonore, e, salvatrice infine, la morte, rimanendo libera di animo e di volere, anzichè aprir bocca a lodare il morto re: al qual proposito fa un lungo ragionamento, per il solito motivo che

ognun defender è tenuto

L'actioni proprie et lor giustificare (1).

Poi manifesta il desiderio di tornare al padiglione, per sfogarsi, e piangere con maggior libertà. Ai nuovi conforti, alle nuove preghiere di Massima risponde ostinata e fatalista :

« Convien ch'io tiri dietro al mio destino
Implacabile et forte » (2)

e il Coro ne accompagna la partenza con queste parole:

(1) c. 86.b

(2) c. 88.ь

O misera Donzella
Dianzi felice et bella,

Hor designata a carnefici, a morte;

Ahi! ruota di fortuna,

Ahi volubile sorte

Che raggira la vita hor lieta hor bruna (1)! ».

Intanto arriva un esploratore greco il quale si fa conoscere al Coro, ed espone l'oggetto della sua venuta, che è quello di salvar Placidia cui vorrebbe vedere. A bastanza efficace è ad un certo punto la riflessione del Coro (lo stesso, presso a poco, aveva detto quello delle gentildonne ravennati nell' Amalasunta):

« Lasse! era mànco male

Provveder che non fussimo venute

A questo, et la salute

Haver a capitale

De' congiunti et soggetti.

De' miseri imbecilli et poveretti :

L'error commesso racconciar, che vale ? » (2).

L'esploratore insiste di nuovo per parlare con Galla Placidia; sennonchè le donne lo confortano a fuggire, perche vedono avvicinarsi alcuni soldati: richieste da costoro della condizione dell' uomo che si è pur dianzi partito, lo dicono un mendico cosentino; ma non sono credute. Così si chiude l'atto, e il Coro lamenta le tristi condizioni dell' impero e dei Romani.

Felice da ultimo la prosopopea del Tevere, che è descritto tutto rabbuffato, di verdi canne cinto,

(1) Ms.: buona.

(2) c. 89.a

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