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lottes invasori, i quali, audacemente condotti dal giovane general Bonaparte, rovesciavano sul loro passaggio troni ed altari, distruggevano tutto il passato, per creare, col terrore e coll' armi, un fittizio avvenire.

Sostituito un regime completamente nuovo, a quello che avea durato per tanti secoli; spostati interessi, credenze; fatti padroni i servi di ieri e conculcati diritti. aboliti fastigi, livellate condizioni sociali per quanto apparentemente

rono

anzi!

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non potevano mancare, e non mancapoesie e satire d' ogni genere e qualità, a celebrare la novità e deridere il passato, ad ingiuriare chi comandava prima, ed esaltare coloro che avevano preso in mano le redini dello Stato, nel nuovo governo cosidetto democratico. Timide voci soltanto si elevarono allora, nell' artifizioso tripudio, a rimpiangere il vecchio governo che pur infiacchito aveva conservata la compagine della Repubblica : voci isolate che, poco più tardi, dinanzi al tradimento ed alle mille rovine, divennero coro assordante di traditi e di spogliati.

Nel diluvio di poesie che insultavano il caduto Leone, il madrigale rimpiangeva, con sanguinoso sarcasmo, la gloria perduta:

Venezia che nè adultera nè moglie

commerzio con alcun giammai non ebbe,

e vergine mai sempre alle altrui voglie
per quattordici età mai non si arrese,
chi mai creduto avrebbe,

che dovesse perir di mal francese ?

Madrigale quasi parafrasato, sedici anni dopo dal Buratti, in quella sua famosa poesia al prefetto Galvagna, durante il blocco del 1813:

Gran memorie consegier

Per chi ha visto sto paese
Sede un tempo del piacer
Rovinà dal mal francese.

Ma timide e poche

e di dolore, perchè la

ripeto - le voci di compianto viltà umana, sempre pronta ad inveire contro il vinto e ad adulare il vincitore, satireggiava mordacemente.

Sostituite sull' Evangelio, su cui il Leone di Venezia tien poggiata la zanna, le tre parole rivoluzionarie, alle Pax tibi Marce Evangelista meus, corse l' epigramma:

Dopo mile duzento e sessant' ani

Prima che Marco da Venezia el parta
El s'ha resolto alfin de voltar carta.

Molte e vili, invece, le voci di ludibrio, e le figurazioni che miravano sovratutto a deridere la forza perduta dell'antico Leone, che pur aveva distese le sue ali su tanta parte d'Italia e del Levante, e il cui simbolico ruggito eccheggiava ed eccheggia ancora su tutti i lidi adriatici.

Trovai nelle poche e preziose raccolte, talune stampe policrome il Leone con le gambe legate portato via da soldati francesi, al cospetto di due patrizi che piangono dirottamente; Pantalone costretto a ballare intorno all'albero della libertà sanguinosa ironia, chè mai furono così poco liberi i veneziani come in regime democratico (lo dimostra l'anno scorso in quest' aula stessa) mentre un soldato francese, rinnovando l'insulto del Gallo al venerando Papirio, lo tira per la barba; Arlecchino, che mostra il disordine e la confusione dei Pantaloni veneziani e s' appoggia sulla tavola su cui sta scritto: Diritti dell'uomo, con da presso Pantalone in lagrime.

Si conservano nel Museo Civico di Venezia, talune stampe fatte eseguire dai giacobini, per incutere l'odio del popolo contro la Repubblica aristocratica, nelle quali sono riprodotte con chiaroscuri e figure orrende, le carceri di Stato.

Una di esse ha la scritta: « Cameroto detto Giardin, » dove soleano far strozare per ordine del fu Consejo di » X, esistente nel mezzo delle carceri giù del Ponte de » la Paja. »

Contemporaneamente alla diffusione di tale stampa, circolava il « Dialogo tra un infelice nell'atto di venir strozzato nella prigione detta il Giardin scuro, per ordine degli ex Inquisitori di Stato, e il Padre Cappuccino suo confortatore scena che desta immenso raccapriccio.

Altre mostrano il Leone ucciso da un cannone, sul quale trionfa un gallo col bicorno dalla coccarda francese ; Le mauvais maitre qui devient serviteur, ed è un pranzo di ufficiali francesi servito dal doge detronizzato, mentre il Leone, adagiato in un canto come un cane rognoso, rosicchia un osso; un gallo che par getti all' aria il trionfante chirichichi, tenendo fra gli unghioni il corno ducale rovesciato; Le départ du Sérenissime de Venise, triste comitiva formata d'un giullare che, suonando la mandòla, precede il Doge montante a ritroso un ciuco, che Pantalone anima... retrospettivamente, con un soffietto; nello sfondo i S. Marco e il palazzo Ducale, dove pur si maturarono le più pure e le più belle gagliardie dell'anima veneziana ! Ai deliri di Venezia moribonda :

Dunque i francesi indegnî

Ch' ho sempre odiato a morte
Con simulati segni

D'amor di fedeltà

Entrar vedrò solleciti

Nelle mie antiche porte?

Dunque apprestarmi un orrida

Tomba il mio mar dovrà ? ...

rispondevasi quasi beffardamente, benedicendo i nuovi padroni :

Scuotiti omai da quel letargo infame

In cui ten giaci inonorata e vile
Patria infelice; sventolar si vegga

Di Libertade il triplice vessillo.

Di sotto l'ombra della Francia amica
Godi cheti riposi, e in Lei riponi

Ogni tua speme, chè vivrai felice.

I dialoghi furono una forma di satira popolare molto in voga in quel tempo, e se ne conservarono esempi curiosi. Uno fra altri è fra Marco e Todero, cioè fra il Leone e S. Teodoro, che sovrastano alle due colonne della piazzetta, rimessi dopo la furia democratica al loro posto secolare, d' onde erano stati levati, per sostituirli con emblemi della libertà.

Marco, malinconicamente saluta il vicino, prima di partire, e Todero gli dice che la mutazione di governo non ha che far colle insegne.

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«È vero ribatte Marco. E sarebbe stato meglio vestire il Leone dei tre colori e mettergli la coccarda. Todero: E poi le tue insegne sono pure in Candia, in Cipro, in Costantinopoli, a Roveredo, a Trento, a Milano etc. e niuno pensò mai di levarle, sebbene in quei luoghi, abbiasi cambiato governo e padrone.

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della

Non è da ridere conchiuse Marco contraddizione che nella città si strappino i Leoni, segnale che si può dire originario della Repubblica, e in mare sventolino le bandiere venete col leone alato?

Ma, caro Todero, vado a godere altrove, quella sicurezza che qui non trovo. »

Un'altro è fra Adamo ed Eva, statue che sono sopra la colonna angolare del palazzo in piazzetta, e guardano l'isola di S. Giorgio. Il dialogo allude appunto all' essersi levato dalla sommità della colonna di sinistra l'antico Leone.

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<< Finalmente consorte mia - diceva Adamo abbiamo più davanti agli occhi quella mostruosa chimera, quell'imagine di un animale che non vi fu mai in natura; già mi capisci, quel Leone con le ali, Non puoi credere quanto mi infastidiva quel mostro: io che prima di tutti gli

uomini al mondo, ebbi sott'occhio tutte le bestie create dall'Onnipotente, non poteva soffrire in pace quella mostruosità, che non è stata mai neppure nella mente di Dio. E con'chiude, dopo varie considerazioni :

« Quella era l'arma di un governo che l'Angelo del Signore ha scacciato dalla terra, come ha scacciato noi dal Paradiso terrestre, con la spada fulminante della sua infinita giustizia. E caduto il Governo, cader doveva anche l'arma ».

Ben presto però, il povero Leone era impianto. Le rovine portate dai Francesi, i soprusi, le ladrerie degli improvvisati governi municipali, facevano convergere la satira contro i democratici e contro i francesi. E fu per tutta Italia una fioritura di poesie e di prose, di stornelli, di madrigali e di dialoghi. Già si diceva dovunque, che

Se la felicità fosse riposta

Nel portar pesi e non aver dinari,

E suddit' esser di ladroni e bari,

Chi a possederla più di noi s'accosta?

Le tre famose parole della Repubblica francese, trasportate in Italia come insegna del rinnovamento politico e sociale, si prestavano specialmente alla satira.

Già Alfieri aveva scritto, sintetizzando la nuova situazione creata dall' egemonia francese:

Liberi no, ma in altro modo schiavi ;

e il Monti cantava più tardi :

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