La chiesa linda e massiccia, torreggia su di un pic colo poggio. Fra essa e la strada maestra da cui la separa un giardinetto la casa parrocchiale. Dietro, nell' ondulato succedersi di valloni e colline, che s'inalzano gradatamente fino all' alpe, vigneti e boschi di castani; dinanzi, la pianura sterminata che discende al mare lontano ed alla valle del Po, seminata di abitazioni, di villaggi, di chiese. A sinistra i colli di Montebelluna; a destra, nello sfondo del paesaggio, azzurreggiano i Berici e gli Euganei. Quivi il Dalmistro Uom alto grasso e di corta veduta com' egli stesso si fotografa Con simigliante a un Cesar di Svetonio Ed una bocca a non procace riso ripeto compose le sue satire, alcune delle quali pubblicai, altre tengo inedite, per la scabrosità della forma. Sono rivolte specialmente contro i balzelli austriaci, che dimezzavano i proventi dell' arciprete di Coste: proventi non larghi, e che pur dovevano bastare al largo appetito dell' arcade, il quale, quando visitava le famiglie amiche a Venezia, trovava posto per ingojare due lauti pranzi in una stessa sera. Quanto maggiori erano gli aggravi, ritornato a casa colle bollette delle prediali pagate, Clarindo Pitonèo abbandonate le ninfe, le pastorelle, i boschetti, le pive e tutto l'arsenale arcadico-mitologico si armava della frusta e dello staffile, e il dolce e placido poeta dei sermoni, si scagliava contro gli ingordi dominatori. L'odio verso gli austriaci è appalesato in frasi roventi. In uno dei sonetti non ancora pubblicati, scritto evidentemente -quantunque non vi sia data nel 1809, quando il principe Eugenio e il generale Macdonald, ricacciarono gli Austriaci dall' Adige all' Isonzo, è detto: Prendete su i vergoni e il carniere Che ci uccellaste assai tedeschi vili Voi non valete a sostener gli ostili Or a' vostri covili Tornate bestie da soma. . . E in un altro, scritto nell'epoca stessa : Qual' onda in mare, altr' onda incalza e preme Tal consegue un'imposta altra maggiore, Nè questa è ancor pagata che si teme Cosi da mille morti il popol muore (puntini!....) Raccogliete i bagagli. Ecco, ecco Eugenio. . . . fuggite, tornate A pascervi di lardo e di patate. Signore e Signori della Altri esempi potrei darvi poesia . . . non arcadica di Angelo Dalmistro, ma l'ora incalza, e l'argomento chiede aucora qualche altro saggio nelle più vicine epoche storiche. I papi ed il governo teocratico furono specialmente dopo la restaurazione oggetto di satira, argutissimo essendo il popolo di Roma, e divertendosi esso immensamente a punzecchiare e veder punzecchiati i governanti. Pasquino faceva principalmente le spese della satira, rispondendo a Marforio. Si possono essi considerare gli storiografi di Roma la cui celebrità satirica principia da Paolo II° (1470) e arrivano a Pio IX, dicendo tutto ciò che la storia ufficiale non vuole o non sa dire. Le domande e risposte venivano affisse sulla statua di Pasquino data la lontananza fra loro e per esser questa posta in luogo più centrale. Con l'andar del tempo, quando cioè l'esser colto nell' atto di affiggere una Pasquinata poteva costare una mano o tutte due, o la lingua, od anche la testa, si cominciò ad adoperare un modo più comodo e meno pericoloso. L'autore della satira, fingendo di averla trovata affissa quà e là, la comunicava in gran segretezza a qualche sfaccendato, e così in 24 ore girava tutta Roma. Vi sarebbero da fare dei volumi con le Pasquinate, celebri una curiosa raccolta l' ha già fatta Mary Lafonte mi limito a citarne qualcuna fra le più mordaci. • Appena fu noto in Roma, che a Venezia, nel conclave di S. Giorgio, era stato eletto papa il cardinale Chiaramonti, e che aveva assunto il nome di Pio VII, ricordando le dilapidazioni di tanti papi precedenti, Pasquino disse concisamente: Settimo non rubare. Pio VIII passò quasi inavvertito. E Pasquino alla sua morte: L'ottavo Pio fu Papa; visse, è morto Datano press' a poco da quel tempo, i due famosi anagrammi; Cardinali: Ladri cani; e Osservatore Romano: Altro servo somarone. Leone XII morì in carnovale. Il Governo Pontificio ad ogni morte di Papa, imponeva il lutto ufficiale sospendendo ogni pubblico divertimento. I romani, non potendo divertirsi altrimenti, sfogarono la loro stizza con questo epigramma: Tre dispetti ci hai fatto o Padre santo: E come la morte di Leone XII avvenuta nel 1829, fu attribuita ad una mal riuscita operazione, per colpa del chirurgo, ecco pronto Pasquino : V'ha chi al chirurgo appone La morte di Leone. Roma però sostiene Ch'egli ha operato bene. Alla morte di Gregorio XVI, che per il suo vizio del bere e per la sua azione politica contraria ad ogni aspirazione liberale, fu atrocemente bersagliato della satira, usci una parodia del « 5 Maggio » di Manzoni, in cui questa strofa: Bella, immortal, benefica Giammai non si chinò! Il vicario Già Pasquino, pel vizio anzidetto, l'aveva mostrota sotto la tavola, con la scritta a doppio taglio: di Cristo in terra. Frattanto andavano maturandosi i destini della patria, e la poesia popolare, invece che muovere a riso con l' aculeo della satira, mirava a ridestare la coscienza nazionale, a far scorrere per tutta l'Italia i fremiti di libertà. Già nel '31 Gabriele Rossetti lancia all' aure partenopee quei suoi versi che squillano come fanfara di guerra: Cingi l' elmo, la mitra deponi Arme grida Sabaudia guerriera E sono Alessandro Manzoni, Silvio Pellico, Angelo Brofferio, Giovanni Berchet, Francesco Dell'Ongaro e cento altri minori, che suscitano le nuove speranze, e intuonano le canzoni fascinatrici della libertà. Da una parte, allora, le invettive contro l'aquila austriaca, dall' altra una sottile, propaganda, parte d'odio e parte di ridicolo, contro i soldati stranieri |