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pur nei periodi che più sembrano di apatia e di sonno, l'osservatore non perde l'opera se s'arresta a studiarvi qualche guizzo di vita che a quando a quando le scuote. Pur pella torpida quiete di quel corpo giacente, egli potrà avvertire il ricomporsi graduale di quei lineamenti e il disporsi di quelle membra a tornare quandochessia agli uffici dei sensi, al moto, alla vita.

Eppoi, come appunto nella natura, niente è immobile nella storia. Il soffio della civiltà che procede e s'innova, se non si diffonde dappertutto ugualmente in pieno, come era accaduto per esempio, in Parigi e in Milano, pur non è detto che non penetrasse altresi, se non proprio a sommuovere, ad increspare almeno, le acque della laguna veneziana. Anche qui è un passato sepolto per sempre: anche qui una borghesia, testè nata alla coscienza di sè, arricchita e procacciante, che s'affacciava alla vita, anzi facea ressa alle soglie di essa, per gustarne, con la tumultuosa smania dei nuovi venuti, la parte sua. Qui pure quel più largo e nutrito scambio di idee e d'influssi con le genti d'oltralpe, già avviato a' tempi della Repubblica, per l'accorrere curioso di tanti gaudenti a tuffarsi ne' sollazzi della festosa città; poi fatto più vivo dal rimescolio che le idee della Rivoluzione prima, indi le armi francesi, avean portato dappertutto, accomunando le genti sotto una forma di governo, soldatesca si, ma viva, e apportatrice d'un ravvicinamento mai prima avutosi fra gli spiriti, già disgiunti da tante barriere.

Accadde così, per venire più davvicino al soggetto che imprendo a trattare, che il giornale, pianta, se così posso dire, indigena di Venezia, confacente all' indole conversevole e arguta e alquanto cinguettiera di questa cittadinanza; assurto qui già a dignità letteraria nella Gazzetta veneta e nell' Osservatore del Gozzi, potesse riattecchire naturalmente in questo suolo, non mutato al certo nell' indole sua, se anche arricchito di succhi vivificanti. E si trovava a rinascervi, appunto quando in tutta

Europa il giornale era nuovo e necessario portato dei tempi; vi rinasceva quindi, parte con carattere ereditato, e parte altresì con indole e fattezze nuove.

Vi davano impulso le moltiplicate relazioni fra gente e gente, l'accresciuto bisogno di più prontamente diffuse notizie; tutta insomma la vita sociale, più concitata e quasi febbrile; concorreva ad apprestargli materia, la vita teatrale, fattasi pur essa più intensa, per il largo parteciparvi di più numeroso uditorio e perchè veicolo a ciò che oltralpi si produceva; e nel giornalismo trovava l' interprete suo più diretto e più fido, quella tendenza all'agilità più familiare dello scrivere, quel genio del frammentario e del vario, quell' impazienza delle lunghe e ponderose letture, che le cause dianzi accennate eran venute generando. In questo momento si affacciò alla scena della vita in Venezia, giovane d'anni, ma dotato di squisito gusto, affinato da ottimi studi, Tommaso Locatelli, l' autore delle Appendici che daran tema al mio discorso, e il cui nome non può non esser corso già prima al pensiero e alle labbra di voi tutti.

Ma questa Venezia, che ripercoteva ormai tanto radi èchi di fuori, si trascinava essa in torpore cosi sonnolento, che proprio vi mancasse ogni guizzo di vita e di pensiero ? L'avere le lettere e le arti veneziane fornito materia al dotto e coscienzoso volume in cui il nostro Illustre Presidente trattò con la consueta amorosa diligenza della Letter. Veneziana del secolo XX.o, sta a dimostrare il contrario. Se non materia, « di poema degnissima e di storia », l'osservatore attento vi può scorgere certo il moto d' una vita che vi si svolge e, a mano a mano, qualche segno foriero di quella che vi si prepara: moto composto, discreto, sommesso, come s' addiceva all' indole temperata degli abitanti e alla quiete silenziosa delle lagune, da cui in giorni ormai troppo lontani, s'era diffuso tanto fulgore e fragore di gesta. In letteratura, l'opera non rumorosa, ma pur benefica e feconda, del Gozzi, avea trovato continua

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tori; e Angelo Dalmistro, prete di Murano, già legato a lui di amicizia, n'era l'erede dello spirito caustico, che anch' egli travasava in Sermoni, con qualche getto in più, della vena bernesca dei cinquecentisti toscani, e uno scrupolo di purità e un sapore d'arcaico, che bene accusavano l'influsso della scuola di Antonio Cesari. Accanto a questo rigido custode delle buone tradizioni, che ha la faccia vòlta al passato, sorge la delicata figura di Vittore Benzone, il giovane patrizio che, spettatore degli ultimi anni e della caduta della Repubblica, ne porta il memore lutto nel cuore e lo trasfonde nel verso, già di per sè ingentilito da non so quale melanconia ingenita, derivantegli dalla complessione e dai nervi delicatissimi, e forse dall' affinità d' indole con l' amico suo Pindemonte. E quando si chiude la breve giornata di questo gentile, già s'affaccia, improntata di non minor gentilezza, la figura di Luigi Carrer, che, amico di lui, dovea consacrarne la memoria con nobilissime parole; il Carrer, la cui opera doveva poi stendersi ampia, molteplice, indefessa fino alla metà del secolo, a conservare il meglio della tradizione e ad accettare ciò che di piú sano, di più vivo e fecondo gli porgeva il suo tempo. Con l'occhio al Gozzi, ne ereditava egli la tendenza al moraleggiare sapiente e al novellare, arricchendo di tali saggi il suo Gondoliere; ma se non lo arrivava sempre nella lepida urbanità dello stile, d'assai lo vinceva nell' addentrarsi in pieghe ben più sinuose dell' anima, e nel cogliere ben più profondi contrasti del vivere umano.

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Intanto, quasi a comporre l'inventario della gloria passata e con l'intento di trovare, pur nello scadimento ultimo, alcun vestigio di quella, non pochi spiriti eletti nè vi mancavano i patrizi - si diedero alla storiografia di Venezia, aiutati da critica più veggente, ma continuando una tradizione ininterrotta e gloriosa. Mentre il Filiasi illustrava i Veneti primi con peregrina erudizione e buona critica, una nobildonna di eletti spiriti, Giu

stina Renier Michiel, già testimone accorata della gran caduta, rievocava i fasti di Venezia con amorosa diligenza, ed erudizione dissimulata dall'amabilità femminile, in quelle sue Origini delle Feste veneziane dove, se manca la schietta italianità del dettato, abbonda, in compenso, con molto calore d'affetto, molta bontà di riflessioni, e vi s' ammira, abilmente intrecciata alla vivace descrizione delle pubbliche feste, gran parte di quella storia gloriosa che esse documentavano. - Girolamo Dandolo più tardi nel libro che trae materia dalla caduta di lei, avrebbe enumerati i titoli molti per cui Venezia, pur nel suo decadere, aveva ancor diritto alla riverenza del mondo. Emanuele Cicogna intanto, cominciava già quell'opera preziosa di raccoglitore infaticabile d'ogni fatta memorie, che dovea renderlo il più utile adunatore di materiale a una futura storia di Venezia; e Agostino Sagredo si preparava, fra molti altri lavori, a condensare in robusta prosa i fasti della Repubblica.

Ne mancavano eruditi e bibliografi di tal polso da poter continuare degnamente le tradizioni dei Manuzii e di Apostolo Zeno; quali, l'abate Iacopo Morelli, principe dei bibliotecarii, l'abate Bettio e Bartolomeo Gamba, l'insigne illustratore della serie dei testi di lingua; mentre valenti ellenisti, di origine greca, come Emilio De Tipaldo e il Mustoxidi, mantenevano in parte a Venezia l'antico vanto di città mediatrice fra l'Occidente e l'Oriente, quale era stata si a lungo per la politica e i traffici, quale la rivelavano tuttavia i marmi peregrini e l'architettura di più d'uno fra' suoi palagi e della divina basilica.

Tanta mole di studi, aggiunta a ciò che si operava nella storia dell' arte e nel campo delle scienze, dovea di li a qualche decennio dar modo a Venezia di presentare agli scienziati d'ogni paese, qui convenuti per il congresso, nel 1847, quel monumento di diligenza e dottrina molteplice e non indigesta, che ammiriamo nell' opera che ha per titolo: Venezia e le sue lagune.

Nel dominio delle arti belle la città non veniva meno al suo passato; vi aleggiava ancora, nume tutelare e guida a quanti si avviavano per il sentiero dell' arte, lo spirito di Antonio Canova, spentosi, con gran dolore dei buoni, in Venezia appunto, nel 1822; e mentre Leopoldo Cicognara, già amicissimo suo, era il banditore della sua gloria e sacerdote del culto che si tributava al suo nome, alcuni, giovani artisti, fra cui principalissimo lo Zandomeneghi, ne seguitavano l'orme con iscrupolosa sollecitudine della classica purezza, che però in loro risicava di dare talvolta nel compassato e nel freddo. Caldezza nuova di colore e di vita, derivata da grandi soggetti di storia, spirava dalle tele di giovani pittori, formatisi sull' csempio dell' Hayez, veneziano di nascita, se non di dimora, non senza l'intento però di riallacciarsi ai Veneti antichi, vuoi per la vivacità del colorito, vuoi per l' arditezza dei concepimenti.

Il salotto che Isabella Albrizzi tenne con tanto splendore nel suo palazzo sin dalla fine del secolo 18° : salotto, più che veneziano, europeo, tramezzante tra il rococo e lo stile impero. e aperto al soffio delle idee nuove, avea ora visto passar rapidamente, ora accostarsi fra loro, ora avvicendarsi, uomini segnalati e d'Italia e di fuori, fra gli spiriti dei quali intercedeva talvolta un- abisso; salotto, ove s' era fatto buon viso a qualche superstite dell' Arcadia, come il Vittorelli, e al Cesarotti, novatore come poteva esserlo un abate del settecento; dov' era assiduo ne'suoi soggiorni in Venezia Ippolito Pindemonte, ed eran cari all'ospite gentile il Canova, il Cicognara e il Foscolo, non men che il Chateaubriand e Giorgio Byron e, fra i più giovani, il Carrer e il nostro Locatelli. Più raccolto e modesto, più casalingo e veneziano, era il cenacolo che si accoglieva intorno alla Renier - Michiel, custode del fuoco sacro delle veneziane memorie, e che tutto e tutti intorno a sè informava della sua schietta affabilità di gran dama ve

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