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neziana; cara all' Albrizzi la Michiel, e avuta in gran conto pur essa da nostrani e forestieri.

Fra tanta varietà di cose e persone, quali accennanti a morire col passato in che s'eran generate e formate, quali adombranti in sè un' imagine di avvenire, e a quello avviate, era cresciuto, mite e gentilissimo d' indole, arguto e aperto a tutte impressioni e afforzato di ottimi studi, specie sui classici latini e italiani, Tommaso Locatelli, nato in Venezia nel primo anno del secolo. Quando, poco innanzi al '24, entrò a scrivere nella Gazzetta di Venezia, non so se subito egli fosse conscio a sè delle attitudini mirabili che recava all' esercizio del giornalismo: certo è che quello fu il campo ove gli fu dato di tutte spiegarle e aggrandirle mirabilmente.

Il giornalista, o più veramente il gazzettiere, in quanto la professione talvolta svilisce a mestiere e sa di prezzolato, di versipelle e peggio; era in mala voce a que' giorni più assai che oggi, presso gli scrittori di grido; e gli eran volati intorno epigrammi, e satire sanguinose. Tuttavia in quell' atteggiarsi nuovo della società italiana, tutti quasi fra i maggiori ingegni d'Italia, avean, tanto quanto, fatte lor prove, o dato un tuffo almeno, nel giornalismo; nè mancava chi coltivasse il proposito di rialzarlo a dignità di ufficio altamente civile. Che se poi molti, e in ispecie i più giovani fra' miei uditori, che del Locatelli sentono il nome per la prima volta, arricciassero il naso al sentire ch' egli entrava a intrattener cotidianamente il pubblico, sia pur di lettere ed arti, all' ombra dello stemma imperiale e reale, nella Gazzetta privilegiata; io confido. di poterli rassicurare e riconciliare al Locatelli con poche parole. La Gazzella era bensi giornale ufficiale per gli atti amministrativi e giudiziari; conteneva si, le notizie politiche del giorno, ma non esprimeva nè imponeva altrui, idee e giudizii in materia di politica. Ne consegue quindi che la coscienza dell' appendicista, il quale dovea versare in trattazione di cose estranee del tutto a politica, rima

nesse nell' intimo suo liberissima, nè dovesse all'ufficio far sacrifizio pur d'un moto e d'un palpito solo. Ma nei giorni in cui il Locatelli si pose primamente a quell'opera, la coscienza itallana si veniva formando appena; e, specialmente in Venezia, eran pochi in cui fosse più che un vago sospiro verso il ricomporsi della nazione; e alla mente di nessuno quasi, delineavasi netto il fine supremo a cui tendere forza di cose e d'eventi, ardimenti ed errori ci vollero, perchè esso, purgatosi d'ogni nebbia, si disegnasse, visione netta, alle menti. Il Locatelli, onestissimo uomo del resto, italiano di spirito e di lingua, non isprovveduto, come vedremo, di civile coraggio e amante di ordinata libertà, non era, sia detto una volta per tutte, una tempra d'eroe e nemmeno di combattente. «Non omnes possumus omnia. » Potremo dolerci ch' egli, così restringendosi, scemasse a sè stesso vigore di propositi, di opere e, forse, di stile; ma nel campo in cui egli si chiuse, e che pure sembra il più conforme alla serena indole sua, spero non vi sarà discaro il seguirlo, per iscorgervi, ritratto a meraviglia dalla sua penna, il mobile spettacolo della vita veneziana in quanto avea di suo, e in quanto accoglieva di fuori, riguardo alle lettere e al teatro, nello spazio che va dal 1825 a un dipresso, fino a dopo compiutasi la liberazione del Veneto.

Quand' egli adunque dapprima entrò nell' arringo del giornalismo, non è da supporre vi entrasse con propositi meditati di trattarvi e risolvervi alti problemi morali, sociali e quello... che so io?... della quadratura del circolo. Il gaio ed agile spirito veneziano, con davanti l'esempio non remoto del Gozzi, la necessità di astenersi da ogni questione scottante, gli diedero, semmai, la percezione esatta di quel che domandavasi a far penetrare un soffio di vita e di arte nell' aridità greve del foglio quotidiano, e a fare altresì che la letteratura, svestita la toga e i paludamento signorile, potesse suonare accetta, come voce amica, fra le brigate di chi non tollera d'istruirsi a prezzo

di noia o di soverchia fatica. Cosicchè, mentre la trattazione più ampia e profonda, seppur non priva d'amabilità, di fatti morali o, come dicevasi, « di costumi », e di lettere e d'arti, si trova in periodici non quotidiani, sorti già allora o di li a poco, in molte parti della penisola, quali, a tacere dell' Antologia di Firenze, il Gondoliere che qui doveva uscire a lode insigne del Carrer, e, poco appresso, la Favilla che fu vanto della vicina Trieste; le appendici del Locatelli svariano amabilmente fra schizzi e bozzetti sociali, articoli di critica letteraria e relazioni di spettacoli teatrali, si di prosa e si di musica, dati nei varii teatri di Venezia. In tutti egli porta una gaiezza amabile, una tendenza al celiare benigno, propria di animo incapace, (come egli ci viene dipinto) nonchè di nutrire un sentimento men retto, ma neppur di supporlo in altrui ; e nella spigliatezza garbata dello stile, un abito, fatto quasi natura, di castigata dizione e d'eletti modi, derivatogli da ottimi studi nei classici e da nativa felicità di gusto. Aveva bensi familiarità con le lingue moderne ei loro autori; ma ben si sente che l'ossatura del pensiero e dello stile gli si è formata sui classici latini, dei quali predilige Orazio e, dei nostri, su Dante e Petrarca che cita frequente, e sugli altri, specie dei più festivi e disinvolti, delizia a lui non meno di quel che fossero stati al suo Gozzi.

Nei saggi sul Costume, il più e il meglio, come già al Goldoni ed al Gozzi, gliel' offre la sua Venezia: inesauribile miniera, in cui sempre può scavarsi con frutto, e da cui soltanto poteva venire verità e freschezza d'impressione a codesta letteratura veneziana dei primi dell'ottocento, che, sequestrata dal gran moto di idee e di casi che si compiva di fuori, minacciava d'intristire del tutto tra le frivolezze arcadiche, qui tuttavia perduranti, e il gelo delle accademie. E or si trattiene della tombola in Piazza S. Marco, e del Carnevale che ancor serba dell'antica vivacità; or di regate e serenate che dipinge

con molto colore; or della notte famosa del Redentore. Or discorre alla buona d' un caso occorsogli fortuitamente, or d'una visita al mercato, or di andazzi sociali; or descrive briosamente una gita in paesi vicini, or si rallegra di incrementi civili, quale l'illuminazione a gaz, or si fa pensoso al cospetto di S. Michele, l'isola dei defunti.

Talvolta, in difesa della sua città, allo spropositarne che fanno, con dati cervellotici, nostrani e forestieri, risponde con garbo e misura, e, all'occasione, con frizzante ironia, ribattendo e assestando colpi a sua volta, con sicura maestria di schermidore provetto. Peccato soltanto, che qua e là, pure in tanta varietà di cose, dintorno al fatto particolare la veduta non gli spazi ampia e profonda cosi, da salire a quell' universalità onde rampolla impensata la celia, o spunta, non aspettata, la lacrima. Questo pur potrebbe aspettarsi da chi scriveva contemporaneo a potenti umoristi di Germania e d'Inghiiterra, e in tempo che tanto si veniva spiando nei meandri del

cuore umano.

Ma la felicità del tocco pittorico non gli vien quasi mai meno, e qua e là s'eleva ad arte squisita. Valga ad attestarlo, per tutti, questo passo tolto a una descrizione della neve in Venezia: «Chi riconoscerebbe ora Venezia, questa gentil donna delle acque, così tutta incipriata? Dove cerchereste la poesia delle sue rive, sotto il vulgare. aspetto delle ricotte? Ov'è il sublime de' suoi monumenti, nascosti, quasi un' offella, sotto questa sembianza di zucchero? Dio! quali imagini strane e grottesche ! In Piazza, la ringhiera, i cavalli, ogni ornato della Basilica è come involto nella bambagia; il Palazzo Ducale, quella mole cosi superba e serena, è ornata, a vederla, in piumino; ogni statua ha in Piazzetta la fodera, e i Giganti, in capo alla loro scala, mostrano in testa la berretta da notte. Or cantate la bruna gondoletta. La bruna gondoletta è bianca, e il nocchier che la guida, come il gran Convitato, è del colore dei gesso. »

Non troppo ampiamente spazio nella critica letteraria, toltane quella drammatica, dove il debito di cronista degli spettacoli lo ricondusse più spesso. La maggior competenza di giudice e buongustaio egli l'aveva, non v' ha dubbio, in tale materia; ma si vuol considerare che il proposito di riuscire appendicista gradito al pubblico non amico. della dottrina severa, lo doveva distogliere da trattazioni troppo alte; e che troppo le lettere a quei giorni s'erano apparentate con la politica, perchè al critico della Gazzetta ufficiale, potesse venir fatto di parlarne senza dar ombra a chi fiutava dappertutto il pensiero riposto. Di alcuni romanzi o drammi più in voga, inutile cercare l'articolo che ne parli di proposito: sia perchè già consacrati dalla pubblica ammirazione, sia perchè tramandassero odore sospetto a quelle nari che dicemmo così suscettive e delicate. Non vi si tratta quindi dei Promessi Sposi, non del Marco Visconti, non dei romanzi del Guerrazzi o del D' Azeglio. Non delle tragedie del Pellico o del Niccolini, non delle liriche del Prati, non, qualche anno appresso, dell' Aleardi. E s' intende; ma molte altre. lacune scorge l'occhio di chi non sappia che la materia teatrale è di tutte la preferita, perchè più conforme all' indole del giornale e a' gusti del pubblico, fino a usurpare, con l' andar degli anni, nel nostro appendicista, anche gran parte del luogo già serbato ad altre trattazioni.

Chiedere al Locatelli a quali cànoni universali di critica informasse egli i suoi giudizi e quel che sentisse del gran moto di rinnovamento letterario che s'era compiuto intorno a lui, sarebbe vano, perchè niun moto complesso si lascia abbracciar d' uno sguardo da chi vi è in mezzo; vano, perchè umile e superficiale, salvo eccezioni, era il procedere della critica italiana d'allora; vano in

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