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d'il

Tante è amara, che

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Ma per trattar del ben, ch' i' vi trovai,
Dirò dell' altre cose ch'io v'ho scorte.
I'non so ben ridir com' io v' entrai;

Tant' era pien sonno in su quel punto,
Che la verace via abbandonai.
Ma po' ch'i fui al piè d' un colle giunto,
Là ove terminava quella valle,

Che m' avea di paura il cor compunto;
Guardai in alto, e vidi le sue spalle
Vestite già de' raggi del pianeta,
Che mena dritto altrui per ogni calle.
Allor fu la paura un poco queta,
Che nel lago del cor m' era durata

7. Tanto è amara ec. Gl' inter-
preti non ben si accordano se que
ste parole debbansi riferire alla
selva, o all'impresa di descriver-
la, od alla paura che pensando
lci, si rinnova. Noi crediamo di do-
ver adottare la seconda..

a

8. Del ben, ch' i' vi trovai, cioè, dell' utilità che gli recò il consiglio e il soccorso di Virgilio.

11. Sonno: l'offuscamento della mente cagionato dalle passioni; ovvero l'inganno in cui era circa le cagioni del suo esilio.

12. Verace via: la via della virtù; o forse la vita privata che l' Alighieri abbandonò per darsi alle pubbliche faccende, donde poi gli venne l'esilio. Questa seconda interpretazione seguita l'allegoria del Marchetti.

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13. Un colle. Quelli che nella selva credono simboleggiate le passioni ed i vizii, intendono che questo colle sia la stanza della virtù. Quelli poi che sotto l'immagine della selva stimano sia rappresentato, l'esilio colle sue amarezze interpretano questo colle siccome il ritorno alla patria, colle felicità che il conseguono.

17-18. Pianeta, Che mena dritto ec., che mostra la diritta via, Intende il Sole. Allude, secondo il Biagioli, alla scienza che, in ogni tempo, stato e luogo, addita la verità a chi giunge a possederla.

20. Lago del cor: così appella Dante quella cavità del cuore, ch'è ricettacolo del sangue, e che da Harveio con somigliante frase è

dil

La notte, ch'i' passai con tanta pièta.
E come quei, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,

Si volge all'acqua perigliosa, e guata;
Così l'animo mio che ancor fuggiva,
Si vols ndietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.

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Pol'ch' chhi riposate corpo lasso, ei posato un poco l Ripresi via per la piaggia diserta,

Sì che 'l piè fermo sempre'era 'l più basso: 30

detta sanguinis promptuarium et giammai persona viva

cisterna.

21. La notte ec.: il tempo dello smarrimento nella selva - Pièta vale affanno, dolore.

26-27. Lo passo, Che non lasciò giammai persona viva secondo alcuni è la selva dei vizii, perchè la vera vita sta nella virtù: secondo altri è l'esilio, il quale è cagione che l'uomo civilmente muoja. I celebre Perticari scrisse a questo luogo la seguente osservazione. » Non è a pensare solamente al senso allegorico ove il senso proprio è piano ed aperto. Dante è entrato nella piaggia diserta, v. 29, in luogo ove non è uom vivo, e la sola ombra di Virgilio gli si presenta. Questo è dunque il primo verso col quale egli ci avvisa che penetrò nella terra de' morti: passò cioè quella selva, quel gran diserto, che divide il mortale dall'e

terno. Ond' egli il chiama benissilo passo, Che non lasciò

mo

poiche veramente nessuno vi giunge e il varca che non sia prima morto. In questo luogo il grande imitatore di Virgilio ebbe in mente quel passo dell'Eneide Libro VI Lucos Stygios, regna invia vivis, aspicies ".

30. Si che'l piè fermo ec. Su questo passo, cagione di tanti contrasti, dirò io pure alcune parole. E innanzi tratto dimando: che è piaggia? propriamente salita di monté poco repente, risponde il Vocabolario e ch' egli risponda bene me lo assicura il Boccaccio (g. 6 verso la fine); Le piaggie delle quali montagnette così degradando giù verso il piano discendevano. La piaggia è dunque un piano dolcemente inclinato. Figurati ora di essere Dante che prende la via per questa piaggia: spicca il piede dal piano orizzontale, e comincia a salire l'inclinato. Ad ogni passo che fai, non è egli vero visibilmente

Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta.
E non mi si partia dinanzi al volto,
Anzi 'mpediva tanto 'l mio cammino,
Ch'i' fui per ritornar più volte vôlto.
Tempoera dal principio del mattino,
El Sol montava su con quelle stelle,
Ch' eran con lui, quando l'Amor divino
Mosse da prima quelle cose belle;

che il piè che si muove andando all'insù, necessariamente viene ad essere il più alto? La testimonianza dell'occhio, sc non basta quella del raziocinio, te l'assicura. Dunque per inversa ragione se il più alto è sempre il piè che si muove all'insù, di viva forza bisogna che il più basso sia sempre quello che resta fermo, mentre l'altro salisce. Per lo contrario se dall' insù verrai all'ingiù, il piede che si ferma resterà sempre il più alto, e il piè che discende, diverrà alternativamente sempre il più basso. Se questa non è evidenza manifestissima, io non so più dove trovarla. E mi pare che Dante volendo in maniera tutta nuova e tutta sua, indicarci che quella via da lui presa era in declive, in salita, e dicendo: si che 'l piè fermo sempre era 'l più basso, non potesse meglio dipingere all'occhio del lettore il suo ingegnoso concetto - MONTI. Per maggior chiarezza di questo

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verso io amerei di leggere al più basso siccome portano molti codici: perchè riferendosi quell' al non al piede, ma al loco ove esso piede si ferma, il poeta ci fa evidentemente conoscere ch' egli saliva. Basso, in forza di sostantivo, l'usò pure altre volte Dante V. Inf. c. 30. E quando la fortuna volse in basso l'altezza de' Trojan, che tanto ardiva. In egual modo che subito dopo usa Erta sostantivo per salita PERTICARI.

32. Lonza, pantera: per essa alcuni intendono significato l' appetito de' piaceri disonesti; il Conte Marchetti crede invece simboleggiata in questo animale la repubblica di Firenze.

37 al 40. Temp' era ec. Nota il tempo, o sia l'ora del giorno e la stagione dell' anno; e dice che l'ora era la prima del giorno, e la stagione quella stessa in cui fu dal' Onnipossente creato il mondo, e perciò essa pure la stagione pri

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