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La qual per me ha il titol della fame, E 'n che conviene ancor ch' altri si chiuda, 25 M' avea mostrato per lo suo forame

Più lume già, quand' io feci 'l mal sonno

23 Ha il titol della fame, perocchè d'allora innanzi [lo conferma Gio. Villani pure] fu la detta torre chiamata la torre della fame (a). 24 E 'n che, in cui, conviene ec. questo immagina per le spesse mutazioni, che faceva quella città. Landino.

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26 Più lume [molto lume ], così amo di leggere con molte antiche edizioni, tra quali l'Aldina, e con la maggior parte de' mss veduti dagli Accademici della Cr., e non più lune, come la Nidob. e i detti Accademici su l'autorità di soli otto fra un centinaio di testi. Essendo stato il Conte Ugolino [ ecco la ragione che recano gli Accademici di aver cangiato più lume in più lune] come racconta Gio Villani dall' agosto al marzo in prigione, volle il Poeta, secondo noi mostrar la lunghezza di quella prigionia con le parole più lune. Hanno però essi Accademici mancato di avvertire, che il tempo della prigionia del Conte Ugclino doveva essere cosa a Dante già nota; e che non vuole il Conte dire se non di quello che Dante non potè aver inteso, v.19. Al contrario più lume non solo ha nulla d'incoerente o di superfluo ma serve ottimamente ad indicare la cagione per cui prestasse egli al sogno fede. Imperocchè dicendo che più lume, cioè lume molto, già gli si era fatto vedere quando sognò; viene a dire, ch' era quella l'ora

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E che la mente nostra pellegrina

Più dalla carne, e men da' pensier presa,

Alle sue vision quasi è divina (b):

ch'erasi in sostanza l'aurora già ben bene spiegata, e che perciò veritiero doveva essere il sogno.

Nè perchè poi dica Ugolino Quand' io fui desto innanzi la dimane ec. (c), viene perciò questo senso a turbarsi, come oppone il Da niello. Basta che distinguasi l' aurora dalla dimane, cioè dal giorno, che incomincia all' uscir del Sole, ed avvertasi, che l' aurora in marzo [ tempo in cui, testimonio il Villani, sostenne il Conte la crudel morte ] dura un'ora e mezzo, e facilmente s'intenderà, come potesse il medesimo Conte incominciare il mal sogno dopo nata l'aurora, e terminarlo innanzi la dimane, cioè durante la stessa aurora.

Sonno, nel medesimo verso dice per sogno; antitesi che si ac

costa al Latino somnium .

(a) Cap.126. del cit. lib. (b) Purg. Ix. 13. e segg. (c) Vers. 37.

Che del futuro mi squarciò il velame.
28 Questi pareva a me maestro e donno,

Cacciando il lupo e i lupicini al monte,
Perchè i Pisan veder Lucca non ponno.
31 Con cagne magre studiose e conte

Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
S' avea messi dinanzi dalla fronte.
34 In picciol corso ni pareano stanchi

Lo padre e i figli, e con l'agute sane
Mi parea lor veder fender li fianchi.
37 Quand' io fui desto innanzi la dimane

27 Del futuro mi squarciò il velame, mi scopri il futuro.

28 Questi pareva ec., sinchisi, di cui la costruzione: Questi, costui
ch' io rodo, maestro [ mio intendi] e donno, signore [ allusivamente,
crederei, al doctores che appella i Vescovi s. Paolo (a), ed al titolo
di monsignore, che vale mio signore, attribuito comunemente ai Vesco-
vi] pareva a me, apparivami, mi si faceva in sogno vedere.

29 30 Cacciando, in atto di cacciare il lupo, e lupicini: sup-
pone, che il sognare di cotali famelici animali indichi patimento di fa-
meal monte, perchè [ vale qui perchè quanto per cui (b)] i Pisan ec.
al monte San Giuliano, situato tra Pisa e Lucca, il quale se non fosse
ciascuna delle dette due città vedrebbe le torri dell' altra, non es-
sendo tra loro che dodici miglia d'intervallo.

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31 32 33 Con cagne ec. Costruzione. Si avea, l' Arcivescovo, messi
dinanzi dalla fronte, cioè mandava innanzi quasi vanguardia della cac-
cia, Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi, nobili famiglie Pisa-
ne unite all'Arcivescovo ai danni de' Gherardeschi, con cagne magre
studiose e conte con cagne snelle sollecite ed ammaestrate a simil
caccia (c).

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35 Lo padre e i figli, il lupo e i lupicini.
.sane legge la Nidod.,
e scane l'altre ediz. Non si trovando però di scana O scane altro
esempio che questo medesimo, è più credibile che, usando Dante
della sincope a cagion della rima, scrivesse sane in vece di sanne;
come per simile bisogno scrisse Baco per Bacco (d). Sanne appella
il Poeta i denti pure del cerbero (e).

37 Quand' io fui desto la Nidob., quando fui desto l'altre edizioni,
innanzi la dimane, innanzi 'l mattino, prima che 'l Sole uscisse.

(a) Epbes.4. v.11. (b) Vedi 'l Cinon.Part. 196. 10. (c) Così spiega quì conte
il Buti, cit. nel Vocab. della Cr. alla voce conto. (d) Inf. xx. 59. (e) Inf. vI. 23.

1

Pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli,
Ch' erano meco, e dimandar del pane.
40 Ben se' crudel, se tu già non ti duoli,

43

Pensando ciò, ch' al mio cuor s'annunziava :
E se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l'ora s' appressava,

Che 'l cibo ne soleva essere addotto,

E
per suo sogno ciascun dubitava.
46 Ed io senti' chiavar l'uscio di sotto
All' orribile torre: ond' io guardai

Nel viso a' mie' figliuoi senza far motto:
49 Io non piangeva, sì dentro unpietrai:

Appartien questo ad indicare succeduto parimente in aurora, e perciò
profetico (a) il sogno pure di fame, che conobbe facevano anche
i figliuoli.

39 Ch'erano meco la Nidob. ch' eran con meco l'altre edizioni,
e dimandar del pane; indizio che sognavano di aver fame, e che
per cotale sognata fame piangevano.

40 Ben se' crudel ec. Apostrofe di Ugolino a Dante.

41 S'annunziava, intende di dover perire di fame.

43 Già eran desti la Nidob., già eram desti l'altre edizioni mala-
mente; avendo già detto Ugolino Quando fui desto innanzi la dimane
V.37., nè restandogli di avvisare che il destamento de' figliuoli .
44 Addotto, recato.

46 Senti' chiavar l'uscio di sotto, suppone questo parlare, che ri-
manesse quell'uscio sempre, almen di giorno, aperto; ed accenna
avvenuto in quel punto ciò che gli storici raccontano, che facessero
cioè i Pisani chiavar la porta della torre, e la chiave gittar in Arno (b).
48 A' mie' figliuoi la Nidob., a miei figliuoi l'altre ediz. Il tronca-
mento però della Nidob. toglie il mal suono delle troppo vicine, ter-
minazioni ei ed oi. Figliuoi appella Ugolino anche i nipoti (c) con
quell' uso che tutti ci diciam figli di Adamo.

49 Si dentro impietrai, tutti i comentatori convengono a chiosare
che vaglia quanto sì dentro per la foga del dolore indurai. Ma, e perchè
non piuttosto sì restai di pietra, si 'l cuor mi si gelò dallo spavento
nel sentir chiudere quell' uscio .

(a) Vedi 1 v. 26. (b) Gio. Villani lib. 7. cap. 127. (c) Vedi le note
ai versi 13. e 88.

Piangevan elli; ed Anselmuccio mio
Disse tu guardi sì, padre: che hai?
52 Però non lagrimai, nè rispos' io

Tutto quel giorno, nè la notte appresso,
Infin che l' altro Sol nel mondo uscìo.
55 Come un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere ed io scorsi

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Per quattro visi il mio aspetto stesso;
58 Ambo le mani per dolor mi morsi :

E quei pensando, ch' io 'I fessi per voglia
Di manicar, di subito levorsi,

61 E disser padre, assai ci fia men doglia,
Se tu mangi di noi tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.
64 Quetámi allor, per non fargli più tristi:
Quel dì, e l' altro stemmo tutti muti:
Ahi dura terra, perchè non t' apristi?
67 Posciachè fummo al quarto di venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,

so Anselmuccio, uno de' due nipoti (a).

57 Per quattro visi ec. Non fuor di tempo fa qui Dante ad Ugolino
riflettere alla somiglianza di viso, che verisimilmente suppone aves-
sero que' figliuoli con esso lui; imperocchè appunto quando l'oggetto
si perde corre la riflessione a que' caratteri che il rendevano più ama-
bile. Ciò ch' altri aggiungono, che mirasse Ugolino ne' figli la palli-
dezza e tristezza ch'era in lui, oltre l'altre difficoltà ha quella di far
sembrare, che più si rammaricasse Ugolino di se stesso, che de' figliuoli.
59 Fessi per facessi ad ugual modu ch' è detto festi per facesti
femmo per facemmo ec.

60 Manicare per mangiare adoprato da' scrittori anche in prosa
vedilo nel Vocab. della Cr. - levorsi, sincope di levoronsi.

62 Di noi, cioè delle nostre carni.

64 Quetámi, sincope di quetaimi, mi quetai.

68 Gaddo, uno de' due figli d'Ugolino (b) -disteso a' piedi,'
svenuto, intendesi, dalla fame.

(a) Frammento d'istoria Pisana, tra gli scrittori Ital. del Muratori tom.24.
col. 655. (b) Lo stesso Frammento cit.

Tom. I.

Nnn

Dicendo, padre mio, che non m' aiuti?
70 Quivi morì; e come tu mi vedi,

Vid' io cascar li tre ad uno ad uno,

Tra 'l quinto dì e 'l sesto : ond' io mi diedi
73 Già cieco a brancolar sopra ciascuno,

E due di gli chiamai, poichè fur mörti:
Poscia più che 'I dolor potè 'l digiuno .
76 Quand' ebbe detto ciò, con gli occhi torti
Riprese 'I teschio misero co' denti,

Che furo all'osso, come d'un can, forti.
79 Ahi Pisa, vituperio delle genti

Del bel paese là, dove 'l sì suona;

69 Che non, perchè non.

70 71 Come tu mi vedi, vid' io cascar li tre ec., nella guisa che tu
ora vedi me così vid' io cascare a terra morti gli altri tre; cioè
l'altro figlio, e i due nipoti.

2.

73 Già cieco, già per mancanza d'alimento intorbidata essendose-
gli la vista. Dell' uomo la prima parte a morire sono sempre gli occhi,
chiosa il Vellutello. Brancolare, cercar colle mani tastando (a).

74 E due di gli chiamai, poichè fur morti la Nidob., E tre di gli chia-
mai poich' e' l'altre ediz. Riferisce il Buti [ms. del fu Ab. Rossi, ora
della Corsini ] che otto giorni dopo che furon que' cinque disgraziati
privi di alimento, apertasi la torre, furono trovati tutti morti.
Se adunque finirona i figli di morire nel sesto di, come Ugolino at-
testa [v.72], non sopravvisse il medesimo a' figli, che due giorni.

75 Poscia più che 'l dolor ec.. Vuole il Venturi qui contrastare alla
comune spiegazione degl' interpreti, che il maggior dolore prolungasse
in Ugolino l'effetto dell' inedia, la morte : perchè [dice] io anzi stime
che, caeteris paribus, morirebbe più presto chi insieme fosse trafitta dal
dolore e afflizione d'animo, e consumato dalla fame, che chi avesse
a morire di sola fame. Se lo stimi pur egli : a noi basterà saper
da Galeno, che la fame nuoce disseccando (b), e che la tristezza
ritiene e concentra gli umori (c): chiara essendone quindi la conse-
guenza, che dee la tristezza ritardare l'effetto dell' inedia.

79, 80 Delle genti del bel paese là, dove 'I st suona. Tutti concor-
demente gli espositori intendono delle genti d'Italia, dove per affer-
mare diciamo si a diferenza de' Francesi che dicono ouy, de Te-

2

(a) Gio. Villani lib. 7. cap.127. (b) Comment. 2. in Aphorism. Hippocra
(c) Nel 4. de sanitate tuenda.

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