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Consonanti continue. 4. RJ. Non mi occupo di primaio, troppo noto; regolare e del tipo medesimo è Batistéo Par. 15, 134, che si legge pure, fuor di rima, nel Capitolo di Busone da Gubbio sulla Divina Commedia, v. 32 (1). Credo nondimeno che o Dante stesso lo foggiasse cosi, o lo togliesse da qualche altro dialetto toscano (2). Di origine letteraria, ma comunissime nei primi secoli, sono le forme in -ro, cfr. Caix, op. cit., 152 loco varo Inf. 9, 115, avversaro Purg. 8, 95; 11, 20, contraro 18, 15, (adultéro Par. 9, 142), matera Purg. 18, 37; 22, 29, usato da Dante spesso anche in prosa, martíro num. 21 c, ingiura Par. 7, 43. Noto dal solo Albertano pistojese (3) disidéro 29, vitopero 57, memora 30, ingiura 8, 45, 51, ingiure 8 ecc. Nel Tesoretto diuerse e uare (: luminare) 448, e divaro anche nel Boccaccio, Canz. 1 8. Ma a che pro insistere?

5. NJ. Erano dell'uso comune Tarquino Inf. 4, 127, Lavina Purg. 17, 37, che si trovano pure nel latino del tempo; forse anche pane Inf. 21, 124, ripreso dal Boccaccio, Son. 46, amorose pane. Non si diceva poi se non Babilona squittíno domino, e cfr. Mauritana Tripolitana Macedona Alverna Dittam. I 15; 1 9. 22. 23, iv 5, v 9. 11, ecc., anche fuor di rima, testimóna verbo 1 24, III 3, accanto al quale è pure, nelle prose, testimonanza; in Albertano pecuna 63 (4).

6. DJ. È forma provenzale-sicula raia Purg. 16, 142, Par. 15, 56; 29, 136 (5), con cui va appoia Vita Nuova, Son. 8, cfr. Caix, op. cit., 164 sg.; e poia, s'appoia è pure in Cino, Sonn. 25, 117, 124, Canz. XXIV 11. Dal provenzale è anche donnea Par. 24, 118; 27, 88, cfr. sdonnei Vita Nuova, Ball. 1 36, ecc.; ma non è forse inutile ricordare che, per la forma, po

(1) Nel Propugnatore, N. S., I, P. 1a, 376 sgg.

(2) Cfr. statea lucchese e senese, papeo senese, ecc. Nella Dichiaraz. poetica dell'Inferno dantesco di Guido da Pisa, Propugnatore, loc. cit. nella nota precedente, 62 sgg., leggesi nigheo, vv. 191, 272, cioè nocchiero'.

(3) Volgarizzamento dei Trattati morali di Albertano, giudice di Brescia, da Soffredi del Grazia, notaro pistojese, fatto innanzi al 1278, trovato da SEBASTIANO CIAMPI; Firenze, 1832.

(4) Oltre che dopo r e dopo n, gli antichi tralasciavano l'i anche dopo altre consonanti, specialmente se ve li costringeva la rima. Non parlo nè di superba nè di molesta, perchè pajono estratti da superbo e molesto e dai verbi corrispondenti, e si trovano anche fuor di rima; ma nel Dittamondo abbiamo proverbo VI 2. 10, buona proverba 111 7, Seriva Scrivia III 4, studo studio IV 23, studa verbo VI 6, s'appropa s'appropria IV 7, cfr. legge propra Cino, Canz. XxIx 73 (: scopra); Sallusto Boccaccio, Canz. 111 35 (: giusto); nel Petrarca onde Caspe Son. 175, divorzo Tr. d. Tempo 99. Nei più antichi perfino parecco uguale, e cfr. epicico: antico Jacopo di Dante, Dottrinale (ediz. CROCIONI, Città di Castello, 1895) XIII 49 sg., e: oblico XV 3 sg., ecc.

(5) E rai Par. 2, 106; 3, 37 ecc., è straniero, o va confrontato con per mei per mezzo?

trebbe anch'essere toscano, cfr. ricorteasse Bandi Lucch. (1) 124, ecc. Dal provenz. enveia sembra tratto inveggia Purg. 6, 20 (col quale va certo inveggiar invidiare, in senso buono, Par. 12, 142), e, più che la forma del vocabolo, ce ne persuade il trovarsi esso adoperato solo in poesia. In Cino è inveggia Son. 116, 'la fiamma de le ardenti invegge' Canz. XIX 48, 'C'ogni virtute quasi te ne 'nveggi' Son. 134; e pei poeti anteriori, cfr. Rim. bologn. VII 38 (2). Per proveggio feggio ecc., num. 32. 7. BJ VJ; PJ.-haia Inf. 21, 60, Par. 27, 140, usitatissimo nella lirica anteriore, siculeggiante o provenzaleggiante, cfr. Caix, op. cit., 185; ricordiamo, oltreché il Tesoretto 666, 2266, anche il Barberino, Docum. 189, 15, fuor di rima, e, in rima, 279, 13. Dello stesso tipo è ploia, prov. ploja, fr. pluie, usato da Dante Par. 14, 27; 24, 91, e da Lapo Gianni, Canzon. Vatic. 3214 (3), Num. 42; cfr. Zingarelli 131. Il toscano ebbe una doppia forma, piova, o da *pjovja, con la perdita del secondo i, per dissimilazione, o rifatto su piovere; e inoltre l'od. pioggia. Presso gli antichi è più usato il primo, anche in prosa; Dante però non lo adopera che in rima, Inf. 6, 7; 14, 132, Purg. 30, 113, e nell'interno del verso sempre pioggia, un tredici volte. Io ricorderò nondimeno piova Metamorf. 210 (4), Ces. 19b, 20b, ecc., Fior. 54a, 55b, Dial. (5) 46b, St. (6) 10b, ecc.; senza però volerne trarre alcun argomento contro la perfetta toscanità di pioggia. Insieme col quale va, per la forma, roggio Purg. 3, 16 (e, fuor di rima, Par. 14, 87), roggia Inf. 11, 73, felicemente svecchiato dal Carducci: esso è pur della prosa, e oltre l'unico esempio del Manuzzi, ne conosco due dell' Ugurgieri (7), la roggia aquila 386, il roggio Febo 393. Taccio del Dittam. III 21 e dell'Ariosto stesso.

(1) Bandi lucchesi del sec. XIV, tratti dai registri del R. Archivio di Stato in Lucca, per cura di SALVATORE BONGI; Bologna, 1863. Il cit. ricorteasse, e ricorteiasseno 52, guerreante 4, sono regolari, come forme arizotoniche, di fronte ai rizotonici corteggia guerreggia; cfr. aitáre aiúta. In seguito si estese a tutta la coniugazione l'uno o l'altro dei due tipi, dicendosi anche corteggiare, per una parte, e anche guerréa per l'altra, cfr. aita. Forme fiorentine di tal genere sono, come dimostrerò altrove, aliare, donde ália, guerriare ecc.

(2) Le rime dei poeti bolognesi del sec. XIII, raccolte ed ordinate da ToмMASO CASINI; Bologna, 1881.

(3) Rime antiche italiane, secondo la lezione del cod. Vatic. 3214 e del cod. Casanat. d. v. 5, pubblicate per cura del Dott. MARIO PELAEZ; Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua, 1895.

(4) I primi V libri delle Metamorfosi d'Ovidio, volgarizzate da Ser Arrigo Simintendi da Prato; Prato, 1846. Seguirono poi anche gli altri libri.

(5) Cito così il cod. Riccard. 1265, che contiene, per primo testo, il Dialogo di santo Gregorio.

(6) Storie fiorentine anonime, contenute nel cod. Laurenz. Pl. LXI 43. È Matteo

Villani.

(7) L'Eneide di Virgilio volgarizzata nel buon secolo della lingua da Ciampolo di Meo degli Ugurgieri, senese; Firenze, 1858.

Fu veramente toscano o ci viene dalla Francia? Non oserei rispondere troppo recisamente. Io propendo a credere che bj e vj dessero, per loro. riflessi regolari, bj dopo l'accento, come in rabbia e come in allebbia Cino, Canz. XXXI 22, e prima dell'accento il doppio g palatale, come in leggiero alleggiare; e cosi mi spiego pure l'alternazione doppio e piccione saccente. Ora pioggia può esser rifatto sopra pioggerella e simili, come, per es., il senese poccia su poccerella e su poccína, che si sente pure a Firenze; ma di roggio non conosco alcun derivato. Sospetto mi riesce pure robbi Par. 14, 94, pur così regolare in apparenza. Lo Zingarelli afferma bensì, p. 133, che se ne trovano 'infiniti' esempî in scritture antiche, di carattere popolare, ma siccome non li cita ed io non ne conosco neppur uno, sono costretto a considerarlo, almeno per ora, come un latinismo dantesco. Potevano concorrere a suggerirlo anche il prov. rob e il nostro robbia. Per aggio abbo num. 32. — Infine s'approccia Inf. 12, 46; 23, 48, Purg. 20, 9 è un gallicismo, anche se non ne abbia tutte le apparenze.

8. Scambi di Le R. - L'unico esempio sarebbe si raccorse Par. 12, 45, ma chi intende si raccolse intende certamente male; si veda il num. 42 e. Quanto a valchi Purg. 24, 97 è quasi superfluo dire che è la forma contratta di valichi; si trova del resto anche altrove: valca nelle Rime di Domenico da Prato, e, in prosa, valchato la Sambucha St. 65b. Si confronti insieme con esso si colca il sole Ugurg. 126, colcato 270, si colcaro Re Giann. 44 (1) e in genere i senesi; inoltre in qualche manoscritto del Libro Imperiale (2) e perfino nell'Ariosto.

9. Scambi fra Se Z. L'unico fersa Inf. 25, 79, alla lucchese, proprio. come il dileggiato gassara! Certo non mancavano a Dante incoraggiamenti; anzitutto dal confronto fra il latino e il toscano, dal confronto, poniamo, fra pranse, da lui adoperato Purg. 27, 78, e pranzo; poi dall'uso de' poeti anteriori: fermesse (: volesse) Ant. Rim. Volg. (3) 1415, manchesse: bellesse altesse: (: stringiesse ecc.) II 54 sg., in una Canzone di Tiberto Galliziani da Pisa, allegressa II 67, fortesse: duresse: altesse II 91, quello in una Canzone d'un altro pisano, e questo in una di Buonagiunta da Lucca; e anche in Chiaro Davanzati richesse (: ponesse) III 100. Ma forse ebbe maggior peso, a' suoi occhi, il primo argomento; pel quale fersa,

(1) Istoria del Re Giannino di Francia, a cura di LATINO MACCARI; Siena, 1893.

(2) Esempi dello scambio fra ler sono assai rari ne' primi secoli; pochi casi di prosa, come archimia nel senese, ecc. Qualcosa di più nei poeti: sorco solco (: orco) Dittam. III 17, Iv 19, scialpa v 30, se valescerpa', Belsa VI 6, per Bersabea! Ricordiamo anche contempre contempli v 3, ' mi consumo e stemplo nel Driadeo 1 107 (ediz. citata, del Torraca). Nell'Ariosto è sant' Ermo XIX 50.

(3) Le antiche Rime volgari, secondo la lezione del cod. Vaticano 3793, pubblicate per cura di A. D'ANCONA e D. COMPARETTI; Bologna, Romagnoli, 1875-1888.

di cui ignorava la vera etimologia, appariva quasi un latinismo. E si noti pare che nella lirica c'era, accanto a penso, anche penzo, per es. penza Ant. Rim. Volg. Iv 13 (: valenza, ecc.), e che forse anche in Toscana il s pronunciavasi già z, dopo n o r, come potrebbero persuadere berzaglio berzare ed altri casi consimili.

10. Scambî fra CJ e Z. L'unico torza torca Par. 4, 78. In forma toscana sarebbe torcia, da un indicat. torcio, di tipo pisano-lucchese, del quale si riparla al num. 32; e torzo torza ci richiama al mezzogiorno, Caix, op. cit., 159, 162, 174 sg., ove si citano esempî di fazo faccio, brazo, abraza, lanza, bilanza, di comenza ecc. Oltrechè nei più antichi e nel Tesoretto 113, 643, comenza si legge nel Barberino, Docum. 31, 5, e così trezza Reggim. 221, fuor di rima, e Docum. 152, 4; 355, 3, faza Docum. 281, 8, e più notevole per noi venza vinca 115, 17. Inoltre frezza è ancora nel Boccaccio, Ninfale 184, fuor di rima, come frizza nel Dittam. III 17, in rima con spizza spiccia, salta; e treza nel Poliziano (1), p. 243. Esempî consimili nel Morgante e nell' Orlando Furioso. Fazio degli Uberti, che ha conservato le traccie del suo luogo di nascita nel suo continuo pisaneggiare, ha proprio attorsa Dittam. Iv 12.

Consonanti esplosive. 11. Scambî fra Ce G. Il citato braco brago Purg. 5, 82, che sarebbe il prov. brac, aggett. femm. braca. Per contro, sego Purg. 17, 58, figo Inf. 33, 120, ed eventualmente anche Oriaco Purg. 5, 80. Lascio da parte suco Inf. 32, 4, che è anche nel Petrarca, Son. 45, fuor di rima, e potrebb' essere un latinismo; mentre il trovarlo nella Tancia (2) III 12, p. 917, indurrebbe a crederlo entrato nell'uso volgare. Hanno per noi un'importanza limitata gli oscillamenti, che si osservano nei poeti anteriori, imbrico: gastico (: dico: amico) Ant. Rim. Volg. 1 405, in una canzone di Ruggeri Apugliese; varga (: larga) III 247, cargo, prov. cargar, citato dal Caix, op. cit., 170; sebbene varga si trovi anche in un Sonetto di Cino, Rim. bologn. LVI, e Fazio si spingesse da una parte fino ad antigo Dittam. III 20 e brughi per 'bruchi' (3) 11 12 (acc. a bruca v 9), dall'altra fino a Calícola 11 6. Invece sono piuttosto da ricordare le doppie forme fatica fiorentino e fatiga o fadiga dei dialetti occidentali e meridionali della Toscana, usato anche dal Barberino, fatigoso Reggim. 27,

(1) Adopero l'edizione del CARDUCCI; Firenze, Barbèra, 1863.

(2) La Fiera, commedia di Michelangelo Buonarroti il Giovane, e la Tancia, commedia rusticale del medesimo; Firenze, Le Monnier, 1860. La Tancia è a pp. 871 sgg.

(3) Non è chiaro che cosa significhi per Fazio questo verbo. Il primo passo E pognam che tra lor serpe non brughi' si può intendere forse nel modo più letterale; nel secondo fatemi saggio Del cammin vostro e d'onde muove e bruca' si ha uno strano traslato. Ci metterà forse sulla via di capirlo meglio un verso della Tancia: Tu vai brucando ch'io ti dia 'l malanno' III 1 cercando'. Adunque: e d'onde muove a cercare nuovi paesi.

fatigarci Docum. 227, 12; mica e miga, distribuiti press' a poco allo stesso modo, quantunque miga si legga nel Decamerone; spica fiorentino e spiga senese, secondo che asserisce il Bargagli nel Turamino (1) 70, lorica e loriga Ugurg. 144, marruca pruno da siepi, fiorent., acc. a marruga del Montale, bruco acc. a bruga dell'od. aretino, Duca e Duga Bandi Lucch. 97, 106, ago ed aca (äca) pur dell'od. aretino. Nei poeti anteriori si trova di frequente pogo, dei dialetti occidentali e meridionali della Toscana, e con esso segondo seguro, il cui g si deve alla protonía; e nei dialetti occidentali avevano il predominio regare, segure o segura scure, e qualche altro consimile, che vanno confrontati con pagare ecc. Per contro, da navigare s'era fatto dappertutto navicare, sull' analogia di tanti verbi in -icare, e parte della Toscana diceva e dice frucare per frugare. Ora, per Dante, braco stava con brago quasi nella stessa relazione che laco con lago; e sego figo, vocaboli dell'Alta Italia e dell'Umbria, corrispondevano a seco fico, come spiga a spica e fatiga a fatica (2).

12. CS. Invece del fiorent. lascio lascia si trova lasso lassa ecc. Inf. 3, 49; 11, 18, Par. 2, 87; 14, 107, che è forma ben più diffusa nel resto della Toscana. Anche qui si può ricordare l'attestazione del Turamino 43 (3). Cfr. Caix, op. cit., 176.

13. Scambi fra Ce G palatali. Un solo caso, soffolge Inf. 29, 5 (4), (ma soffolce Par. 23, 130); suffolce in rima con bolge fu adoperato anche da Guido da Pisa, Dichiaraz. poet., v. 469. Si può confrontare con avingie (: stringie) Ant. Rim. Volg. III 44, di Chiaro, mi ravingie (: stringie) IV 231 e avingie 232, di Monte (e cfr. per un giendo III 20, ardo ed ingiendo 23). Più tardi bagio (: palagio) Dittam. II 3, (: agio) II 11, forse egrecie (scritto.

(1) SCIPIONE BARGAGLI, Il Turamino ovvero del parlare, e dello scriver sanese; Siena, per Matteo Florimi, 1602.

(2) Il Petrarca si fè lecito un genebro (: celebro) Son. 116. Inutile citare un loba lupa di Cino, Canz. xxx 42.

(3) Lo stinghe di Purg. 1, 96 andrà con stingere stinto. Chi volesse riunirlo con estinguere darebbe un' interpretazione ricercata; ma non incontrerebbe troppe difficoltà nel gu passato in g. Già nel latino del tempo si trova oblico per obliquo, ecc.; langore è la forma dell'antica nostra prosa, e così forse licore, piuttosto che liquore, latineggiante; distingo si legge nel Barberino, Reggim. 107, fuor di rima, e non affermerei che non si dicesse proprio anche così, regolarmente; estinge estingue è nel Son. 79 di Cino, sego per seguo (: riprego) nel Son. 202 del Petrarca; infine il cit. oblico leggesi e in prosa e nel Dottrinale XV 3, nel Dittam. I 15, v 14 e nell'Ambra di Lorenzo de' Medici 16. È di tipo diverso, ma fa pure al caso nostro, lingua, in rima con raminga Ant. Rim. Volg. II 72. (4) Chi spiegasse con A. Ranieri soffolge, come derivato da subfulget, e intendesse poi si soffolge sì risplende, ossia volge i suoi raggi, il suo acume visivo, libererebbe Dante da questa piccola licenza. Confesso che tale interpretazione, se si contenga nei limiti che ho detto, mi sembra felice e, direi quasi, preferibile a quella più solita. Cfr. num. 42 e.

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