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Per i non Soci: L. 1 il fascicolo
ALLA LIBRERIA DI B. SEEBER

Succ. di LOESCHER & SEEBER

FIRENZE

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Direzione:

Via della Dogana, 1

Per i non Soci L. 1 il fascicolo alla Libreria di B. Seeber, Firenze

Sommario: P. L. RAMBALDI: T. Casini, Ricordi danteschi di Sardegna. – M. BARBI: G. A. Scartazzini, Enciclopedia dantesca. Annunzi bibliografici (Giornale dantesco, IV 3, e pubblicazioni varie di G. Traina, P. Toynbee, L. Anzoletti, G. Colosio, I. Franco, ecc.). - G. AGNELLI: Indice degli autori e delle materie del volume.

TOMMASO CASINI, Ricordi danteschi di Sardegna. Estr. dalla Nuova Antologia, S. III, Vol. LVIII, 1895. 8o, pp. 43.

Nell'opera di Dante è tutta una serie di ricordi di Sardegna, frequenti più che di molti altri luoghi: il paese, la parlata, e costumi e uomini e avvenimenti, in accenni rapidi ebbero dall'arte del Poeta come un alito di vita, mentre tante altre memorie di quella terra generosa e sfortunata precipitavano nell'oblio, o si perdevano. Di tali ricordi danteschi era necessaria un' illustrazione; ma obbiettiva, e veramente storica, non inspirata dall'intento di inutili rivendicazioni (1); e così il materiale che, tra le difese e le apologie, pareva si fosse accumulato, sceverato con rigore di critica, si ridusse a ben poco più delle notizie che di Sardegna recarono le antiche chiose alla Commedia, alla lor volta non tutte e sempre autorevolissime. Il C. fece questo utile esame e v'aggiunse con buon ri

(1) Così a me pare inutile, anzi sbagliato nell' intenzione, il commento che L. Falchi aggiunse a un articolo del Tommaseo, che ristampava (La Sardegna nella 'Comedia, di Dante Uno scritto sconosciuto di N. TOMMASEO. Nel periodico La Vita Italiana, Roma, A. I, n. 1-2, p. 112 sgg., 1894). Dante può aver errato nel dire del volgare sardo, ma non sono errori i ricordi dei mali dell'Isola, e dei costumi delle donne di Barbagia, costumi che forse per certe forme esteriori poterono essere troppo severamente giudicati dai forestieri, ma però ad un modo furono giudicati da quanti li rammentarono, ciò che pur vale per la storia. Errore è invece supporre che Dante abbia attinto a « pessima fonte », o pensare ch'egli abbia avuto un ingiusto disprezzo preconcetto per il popolo tutto di Sardegna: se davvero egli avesse sentito sdegno per esso, lo avrebbe tutto colpito con fiera invettiva come fece per altri.

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sultato una diretta ricerca di su le fonti che in qualunque modo possono dar luce sulla storia sarda del Dugento.

Subito è notevole la distinzione che egli, dopo aver riassunti i casi dell'Isola sino ai primi decenni del XIII secolo, pone tra due Ubaldo di casa Visconti: zio l'uno, nipote l'altro, i quali per più anni insieme presero parte alla vita pubblica e dagli storici furono insieme confusi rispetto a molti avvenimenti. Ubaldo il vecchio e il fratello suo Lamberto, con l'irruenza dell' armi e con l'opportunità di maritaggi, avevano estesa e decisamente stabilita in più terre di Sardegna la loro potenza, e indirettamente con essa quella di Pisa; Ubaldo il giovine, figlio di Lamberto, come era stato cooperatore nella lotta, fu partecipe del successo: e quando, nel 1219, Mariano II di Logudoro dovette cedere agli usurpatori, diede in moglie Adelasia, sua figliola, a Ubaldo il giovine, il quale cominciò così ad aver mano nel governo della terra. Lamberto Visconti mori poco dopo, il vecchio Ubaldo nel '30, e allora il nipote prese il posto di lui e, pur incontrando non lievi opposizioni, con la destrezza di sue arti riusci ad estendere la propria autorità su quasi tutta la Sardegna, signore com'egli era di terre in Arborea che aveva acquistate, della Gallura in nome di Giovanni, figlio di Ubaldo il Vecchio, non ancora giunto a età maggiore, del rettorato di Cagliari come rappresentante di Pisa, del Logudoro con la moglie Adelasia di Torres; ma, mentre era intento a rassodare l'ampio dominio, mori nel 1238 e senza figli. Da questo momento la storia paesana si fa più oscura e più intricata, e appunto allora si compiono gli avvenimenti che Dante ricorda.

Morto Ubaldo, un' unica signoria sui giudicati di Gallura e di Logudoro non potè più durare di fatto: alla Gallura si volsero i Visconti di Pisa e la tennero fortemente; il Logudoro solo rimase alla vedova Adelasia che non rinunciò per altro al doppio titolo, quasi a indicare perenne in lei il diritto al dominio d' entrambe le terre. E veramente il suo nome avrebbe potuto molto pesare nell'assetto che si cercava d'imporre alle cose di Sardegna da tanti opposti interessi: perciò subito si fece attivissimo il lavorio per indurre a nuove nozze la Signora turritana. Il C. non ha forse sufficientemente rilevata l' importanza del momento: allora, in quei negoziati, la questione paesana, e la questione economica di Genova contro. Pisa, che si traeva dietro al contrasto per la supremazia di alcune potenti famiglie delle due città, si erano confuse in una questione più grossa, diventando uno degli episodii della gran lotta tra Papato e Impero. Control Gregorio IX che voleva persuadere Adelasia a sposare Guelfo da Porcari, un nobile di famiglia lucchese tutto ligio alla Santa Sede e che aveva legami con la Sardegna (1), s' adoperarono i Doria, che nel Logudoro avevano interessi da tutelare, e ottennero che nell'autunno del

(1) Cfr. p. es. in TOLA, Codice dipl. di Sard. (Hist. p. monum., X, I. 1861) p. 345; n. LIII, 1235 gennaio 23.

l'anno stesso 1238 la vedova di Ubaldo Visconti, in onta alla scomunica lanciatale dal Legato apostolico, divenisse la moglie di Enzo, il figlio prediletto di Federico II. Ed Enzo non tardò a intitolarsi re di Sardegna. Per comprender bene la gravità e il significato di queste nozze basta ricordare che Federico, col giuramento di Hagenau, nel 1219 si era impegnato a conservare la Sardegna e la Corsica al Santo Padre (1); che Adelasia, la quale nel governo di Sardegna aveva avuto sempre il primo posto (2), dal marzo del '36 al maggio del '37, in una serie di atti confermati poi dal marito (3), aveva solennemente riconosciute dal Pontefice le sue terre riserbandogli ogni diritto di alto dominio; di più si era obbligata a un censo annuo di quattro libbre d'argento, e intanto aveva lasciata l'incondizionata potestà del Castello di M. Acuto, nel Turritano, al Legato apostolico, che d'ordine del Papa, lo consegnò poi al Vescovo di Amperias (4). Federico II, che « aveva giurato riunire le sparse membra dell'Impero », intendeva precisamente « mantener la promessa »; il titolo di Enzo commenta le parole che si attribuiscono a suo padre, e giustifica l'ira immensa di Gregorio IX: appunto quella supremazia guelfa che pareva stabilita in Sardegna su basi sicurissime, precipitava da un momento all'altro, mentre il campo s'apriva al nemico (5). Come è ben noto, nella primavera seguente la scomunica scagliata dal Papa contro Federico riaccese la lotta più viva; Enzo fu presto richiamato e lasciò volentieri quella terra che troppo era diversa dal suo spirito gentile e cavalleresco, tornando in Lombardia a lungo e infelice battagliare; tuttavia relegò prima la moglie nel Castello di Gocéano e affidò il governo turritano a un vicario che si riconosce uomo del paese: Michele Zanche, benchè non sia additato da alcun documento.

I nemici del nome svevo, i Signori di Arborea e di Gallura, si fecero subito gagliardi; e, a quanto pare, il vicario o, meglio, il giudice di fatto cominciò il suo reggimento tra le difficoltà di una guerra aperta e pericolosa: si sa che ebbe dal Regno di Napoli ripetuti soccorsi d'armati

(1) Cfr. F. LANZANI, Storia dei Comuni italiani delle origini al 1313, Milano, 1882; p. 388.

(2) Conviene notare che Adelasia mantenne sempre l'alta autorità che le derivava dai diritti di sovranità ereditati dagli avi; i documenti le attribuiscono infatti il titolo di regina, mentre Ubaldo ha quello di giudice, che certo si deve intendere per « giudice di fatto », ma non vale più che vicario, governatore.

(3) Cfr. in TOLA, Op. cit., pp. 347-50, i nn. LVII, LVIII, LIX, LX, LXI, LXIII, tutti con data 1236 marzo 3; p. 355, n. LXX, 1237 aprile 8; p. 356, n. LXXII, 1237 aprile 14; p. 357, n. LXXVI, 1237 maggio 3.

(4) Cfr. in TOLA, Op. cit., p. 356, n. LXXIII, 1237 aprile 14; n. LXXIV, 1237 aprile 16.

(5) Degli effetti che subito si fecero sentire dà indizio il doc. in TOLA, Op. cit., p. 359, n. LXXIX, 1241 marzo 17.

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