Slike stranica
PDF
ePub

Della Ragion Poetica, di cui il primo esperimento è del 1696, si levava già a considerazioni che possono oggi meravigliare chi crede che tutta la critica sia recente: della poesia che « è la scienza delle umane e divine cose, convertita in immagine fantastica ed armoniosa » egli ravvisava un solenne monumento nella Commedia. Il signor Bouvy, che già studiò quello che il Vico pensò e scrisse del poema dantesco, qui lo rammenta opportunamente: ma ecco che Scipione Maffei inizia il suo rinnovamento letterario imitando Dante; e l'aveva anche in ciò preceduto di qualche passo Pier Iacopo Martelli, nel cantar la sua figliola morta, e in altre poesie; Antonio Conti cita l'« acutissimo e divino amico nostro Dante »; sorgeva una scuola, misera poeticamente, ma d'intendimento eletto, che si vantava imitarlo; perfino il Cesarotti sentenziava così: « Dotato d'una fantasia inventiva e robusta, si fa creatore della sua lingua, la doma, e l'atteggia in varie guise; affronta con essa le idee più astratte e intrattabili, e le si assoggetta; concepisce un piano vasto, che abbraccia tutto il reale e l'immaginario, ed innalza un immenso edifizio, d'architettura alquanto grottesca, ma che sorprende per l'arditezza e la forza dell'esecuzione anche gli amanti d'un'esatta regolarità. » Grottesco chiamavano allora ciò che oggi gotico; onde il biasimo non è quale parrebbe. Che altro mancava se non che il De Luca esclamasse: «Per te, Dante, son plausi i biasmi altrui? » E il Bettinelli, quando mori penitente per ipocrisia confessata al Carmignani, poteva arrovellarsi nel veder Dante onorato come segnacolo dell'italianità redenta.

ANNUNZI BIBLIOGRAFICI

G. MAZZONI.

Giornale dantesco, diretto da G. L. PASSERINI, a. III, quad. IV. Contiene: S. DE CHIARA, La pena dei suicidi [Nell'Inferno si soffre una pena morale ed una materiale; quest'ultima si fonda sul principio del contrappasso che, di recente si spesso in Dante studiato, è in sostanza, la pena del taglione, ma ora nel significato di contropatire, ora del patire in modo analogo, or anche del patire in tutt'e due le maniere, come notò il Bartoli. Nell'Inf., p. es., la colpa degl'indovini è punita col suo contrario e quella dei lussuriosi con la colpa stessa: nel Purg., contro gl'invidiosi sono « applicate le due leggi insieme ». Duplice, come di questi ultimi, è pur la pena dei suicidi nell' Inferno: liberarono essi stessi l'anima dal carcere del corpo ed è ora eternamente incarcerata in quei nocchi (la colpa punita col suo contrario); tutti gli altri spiriti rivestiranno le proprie spoglie, ma i suicidi non le riavranno piú mai (la colpa punita con la colpa stessa). Ma v'è di piú per essi. Quando la pena sarà più perfetta (Inf. VI, 107), verranno appesi i loro corpi « ciascuno al prun dell'ombra sua molesta », cioè, spiegan tutti, al pruno dell' anima che fu molestata dalla spoglia, dal corpo. Ma, osserva il De Chiara, bisognerebbe esser sicuri che ombra vale qui anima e che molesta è apocope di molestata. Più pianamente, e senza ascriver a Dante un'inutile ripetizione di quanto egli aveva già detto, dovrebbe credersi che dell'ombra valesse qui con l'ombra, e spiegarsi: «< i nostri corpi saranno appesi per la selva; ciascuno, con la sua ombra molesta, al proprio

pruno ». Cosí si accennerebbe alla nuova pena dell'anima (pruno), d'esser cioè eternamente aduggiata dall'ombra del proprio corpo]. E. LAMMA, Del commento allo Inferno di G. Barzizza e di un manoscritto di esso, III-V [Nella parte III del presente studio si esamina il valore storico del commento, per concludere che questo è quasi sempre sproporzionato: prolisso quando men bisogna, brevissimo quando si richiederebbe assai più, specialmente intorno ai personaggi danteschi. Nella parte IV si raccolgono parecchie lezioni errate del testo dato dal Bargigi, e dopo breve esame d'alcune (dove il signor L. sentenzia spesso a capriccio, e gioca di spirito sull'edizione critica della D. C. « che, sia detto a nostro onore, non avremo mai »), si offrono i versi contenenti le trenta lezioni proposte dal prof. Monaci. Nella parte V si annuncia che farà séguito il testo diplomatico delle ventuna carte del cod. imolese, appunto quelle mancanti al cod. parigino (ital.) 2017; il che servirà all'edizione critica del commento guinifortiano, già cosí manomesso dall'avv. Zaccheroni]. L. FILOMUSI GUELFI, Una perifrasi di Dante [L'A. esamina come debba leggersi il v. 107 del XXVI Par. e, escluse tosto due lezioni, non offerte da verun codice, studia le tre: « che fa di sé pareglie l'altre cose >> (dopo breve, ma acuto esame, dimostrata pur essa irragionevole), « che fa di sé pareglio all' altre cose » o, infine, « l'altre cose ». Quest'ultima, quella appunto che conta meno seguaci, pare all'A. da preferirsi : « 1° per ragion d'esclusione ; 2o perché si spiega come da questa lezione possano esser nate le altre » (pareglio fu da' copisti concordato con l'altre cose e diventò pareglie, od ebbe un complemento d'eguaglianza, che fu all'altre cose); « 3° per la chiarezza e precisione del senso che se ne cava: io veggo la tua voglia nel verace speglio, nel sole spirituale, che fa l'altre cose immagini di sé stesso, come il sole corporale e sensibile dipinge talvolta la propria immagine nelle nubi » (perché pareglio deve aversi per parelio, immagine del sole dipinta nelle nubi); « ma nessuna cosa fa lui immagine di sé stessa; in altre parole, io vedo la tua voglia in Dio, a cui le altre cose sono simili, mentre nessuna cosa è simile a lui »]. Chiose dantesche: C. CARBONI, Una pretesa contraddizione dantesca [Si tratta della questione, che di recente fu discussa, come nuova, nella Gazzetta letteraria di Torino, ma ch'è vecchia da quanto il commento del Daniello, e toccata, ma non risoluta, secondo l'A., dal Bartoli: Virgilio, cioè, appena apparso nella selva a Dante, chiede a questo perché non salga il monte e poi gli mostra, invece, la necessità di tener altro viaggio. Non bisogna qui fermarsi al senso letterale, scrive il C., ma ricorrere all'allegorico. Virgilio che per i propri meriti salí il monte, ossia giunse ad essere perfetto, chiede a Dante perché non voglia divenir perfetto anche lui; D. mostra la lupa, il vizio che gli è ostacolo a tal uopo, ed ode allora che gli bisogna una « forte e lunga peregrinazione intellettuale per poter vedere a che conducono i vizi.... prima di gustare l'eterna beatitudine ». - Nella N. Antologia del 1° sett. 95, meglio, ci pare, lo Scarano (La saldezza delle ombre nella D. C.): illustrando questi la ragione addotta dal Bartoli (secondo il quale V. avrebbe rivolta quella domanda a D. per dar coraggio al poeta), afferma che Virgilio tiene qui, come altrove spesso nel poema, «< il vantato metodo sperimentale », col far confessare a Dante stesso la dolorosa sua condizione e con l'aspettare perfino che il Poeta ne pianga (poi che lagrimar mi vide) prima di suggerirgli quel rimedio ch'ei sapeva, già quando gli apparve, essergli necessario. Non altrimenti il clinico chiede al paziente, il cui male ei conosce, qual sia cotesto male; e non altrimenti Beatrice esigerà dal Poeta la confessione di peccati a lei già

[ocr errors]

noti]. Varietà: U. COSMO, Della cosí detta « Cappella di Dante » in Terni [A Terni, nella cappella della vecchia chiesa di S. Francesco, ora abbandonata, si veggono reliquie di affreschi rappresentanti scene de' regni d'oltretomba; l'A. le descrive, brevemente, per mostrare che l'ignoto pittore umbro non dové nemmen conoscer Dante; diversamente n'avrebbe tratto, anche contro sua voglia, partito]. Recensioni di F. RONCHETTI (L. FILOMUSI GUELFI, Qua e là per la D. C.; E. SACCHI, L' « Inferno » di D. e i sette peccati capitali). Comunicazioni ed appunti [C. CARBONI osserva che, assai prima di lui, anche P. Ferroni spiegò « la seconda morte ciascun grida » cosí: « ciascuno dei dannati intesi da D. è reso chiaro della propria infamia », perché D. rivelerà la colpa loro]. Notizie.

Quad. V-VI. Contiene: G. FRANCIOSI, Il balcone dell'orso, p. 187; G. DE LEONARDIS, La Roma di Dante, p. 188 [« Per commemorare, in qualche modo, il giubileo di Roma capitale d'Italia »: il Franciosi intesse un componimento di 24 endecasillabi sopra un'antica tradizione relativa al balcone d'un vecchio albergo d'onde l'Alighieri avrebbe mirato, fra altro, quel ch'ei ricorda all'Inf. XVIII, 28-33; il De Leonardis raccoglie dalle opere del poeta i passi principali intorno a quella Roma, che fu predestinata a' tre grandi periodi della storia, latino, cristiano e nazionale italiano, nella mente di Dio, e che fu madre di Firenze, il cui magnanimo cittadino « sentiva d'essere un rampollo dell'antica schiatta romana » quando nel suo nobile orgoglio sdegnò di sottoporsi alle umilianti condizioni onde sarebbe potuto ritornare dall' esiglio.... E qui, non sappiamo quanto a proposito, i periodi piú sonori della lettera all'amico fiorentino, senza nemmeno sospettare che la critica dello Scartazzini e il documento pubblicato dal Barbi (Bullettino, N. S., II, pp. 16-17) abbiano omai distrutta cotesta leggenda]. R. MURARI, Le guide di Dante e di Boezio e la presentazione scenica di Beatrice e della Filosofia, p. 196 [L'A., che attende già da qualche anno ad un lavoro << su Boezio e l'influenza dell'opera sua sulla mente di Dante », tocca qui, << per saggio, del modo come nella D. C. la persona di Beatrice si presenta al poeta, e come la persona della Filosofia si offre a Boezio consolatrice, per istituirne un raffronto non inutile per la storia e per la genesi del pensiero di Dante »; con esame accurato dell'ufficio che, nella Commedia di Dante e nel De Consolat. philosophiae, esercitano le guide assunte dagli autori, il M. dimostra che la guida di Boezio corrisponde.... a Virgilio,... la potenza della ragione a rigeneramento dell'uomo dal vizio o dalla viltà del dolore; ma nell' attuazione essa risponde anche a Beatrice in tutta quella parte di teologia naturale e di filosofia morale, che sarebbe stata propria di Virgilio, e Dante, per ragioni, piú che altro, di estetica, ha riserbato a Beatrice ». Non si può ammettere infatti l'ipotesi del Conti che Boezio si proponesse di scrivere un secondo trattato nel quale avrebbe assunto a guida la Teologia, anche perché « il modo con cui Dante sceneggia nel Purgatorio la presentazione della persona di Beatrice », risponde a quello tenuto da Boezio nel descrivere come gli si offra interlocutrice la persona della Filosofia » modo che il M. si fa, con acume e dottrina, partitamente ad esaminare]. A. MENZA, Il « Lucifero » di Dante, p. 211 [S'è voluta « provare, esteticamente parlando, la inferiorità del Lucifero di Dante con il Satana del Milton », senza notare ch'essi sono « fondati sopra due concezioni essenzialmente diverse ». Quello di Milton « è bello, è drammatico, perché sveglia in noi il sentimento della grandezza, della forza e della libertà »: quello di Dante,

brutto quanto fu bello, è immobile nel luogo in cui è meno drammatica la vita. Quivi « Dante, volgendosi da ogni dove per vedere in qual luogo si trovasse, gli si offre dinanzi un immenso lago di ghiaccio.... le cui acque, derivate dal misterioso Veglio.... si gettano con impeto in Malebolge, dove stagnano e imputridiscono (?) »: là nel mezzo sorge Lucifero « goffo, malvagio, istupidito, vuoto carname, gigantesco.... senza parola né movimenti ». Qui il M. si fa ad esaminare l'arte del poeta nella creazione del tipo, « essere poetico appunto perché assolutamente prosaico, la negazione della vita e della poesia », ed esamina poi l'individuo in azione azione reale, benché meccanica; nella quale il M. potrebbe trovare la soluzione che cercò invano in «< centinaia di volumi critici sulla D. C. »]. S. PRATO, Alcune voci e modi danteschi appieno efficaci nel volgare, spettanti alla significazione di certi suoni, ricorrenti in scrittori antichi e moderni e nella tradizione popolare, pag. 218 [Lo studio dell'onomatopeia in Dante non è nuovo, ma vien ripreso qui a proposito del tin tin (Par. X, 143), del crich (Inf. XXXII, 30) e dell'o (Purg. V, 27) danteschi, raffrontati con altre espressioni consimili di tutte le letterature, specialmente della drammatica popolare italiana, e scientificamente infine esaminati nelle « attinenze fra le idee e i suoni, loro sensibile espressione »]. Postille dantesche: N. ZINGARELLI, Postille alla D. C., p. 228 [Lo Z. riferisce alcune postille che verso la fine del secolo scorso il dotto leccese Baldassarre Papadia appose alla D. C. sovr' un esemplare del 1544 col commento del Vellutello postille non prive d'interesse, perché ci forniscono un indizio dello spirito dei tempi, indizio non spregevole se pensiamo da quale estrema parte d'Italia venga a confluire con tanti e cosí cospicui di altre parti »]. Chiose dantesche: G. TRENTA, Nota geografica e storica a due versi della D. C., p. 233 [Si tratta del « Quarnaro ch' Italia chiude e suoi termini bagna » (Inf. IX, 113-114): pieno l'animo del politico suo ideale, il poeta dà all'Italia i confini stabiliti da Augusto, il Varo ad occidente, l'Arsia (oggi Arsa) ad oriente, includendo in essa l'Istria, il cui dialetto annovera anzi, nel De Vulg. Eloq., in una col friulano (aquil.). « Questi versi adunque sono, concludiamo con l'illustre Salvatore Betti, autorevole altra testimonianza antica che l'Istria è veramente provincia d'Italia, e che perciò italiana è la città di Trieste senza nessun dubbio ». Ce n'era bisogno?]. MASCHIO il gondoliere, La « concubina di Titone » p. 239 [L'aurora accennata dal poeta (Purg. IX, 1) è quella solare per il Purgatorio: il gondoliere tocca ora la questione e vi tornerà su << a suo tempo, con indiscutibili argomenti »]. P. PоCHHAMMER, Tre questioni dantesche modestamente proposte da uno straniero : I, L'Inferno, p. 240 [La colpa di Filippo Argenti e dei dannati con lui nello Stige è l'accidia di cui non è che una « forma di manifestazione » l'ira, come n'è « un altro modo >> l'eresia: ciò dimostra che non v'ha interruzione, per l'ordine de' peccati capitali, nel quarto e quinto cerchio dell'Inferno, e che v'è « parallelismo assoluto fra l'Inferno e il Purgatorio » rispetto a tutte le colpe]. Varietà: PELEO BACCI, Del notaio pistoiese Vanni della Monna e del furto della sacrestia de' « belli arredi », p. 247 [v. questo Bullettino, N. S., vol. II, p. 158-159]. Polemica: G. DEL NOCE e G. FRANCIOSI, Ancora la « ruina del vento ». p. 250 [L'ingegnere Del Noce crede di dover insistere sull'opinione propria, accennata in questo Bullettino, II, 92 e cfr. 160: il prof. Franciosi risponde a lungo confidando che l'avversario, « anima schietta e cortese, sappia vincere l'amore del proprio pensiero e ricredersi »]. Rivista critica e bibliografica: F. RONCHETTI,

Recensioni di libri di G. Bassi e G. Del Noce, p. 256. G. L. PASSERINI, Bollettino bibliografico, p. 263 [In questo bollettino (num. 474-493), sempre cosí importante ed ordinato, trova posto, fra altro, l'art. che sul « Codice diplomatico dantesco» pubblicò G. Carducci nella N. Antologia, an. XXX, ser. terza, vol. 58]. Notizie, p. 272. A. F.

Sotto il titolo Ancora della lonza di Dante sono comparse nella Rassegna bibliogr. d. letter. ital. (a. III, 1895, fasc. 5-6 e 7-8) due lettere di P. E. GUARNERIO e una di F. CIPOLLA per confermare, contro l'opinione espressa dal Casini in questo Bullettino (N. S., II, 116-20), tanto la derivazione della parola lonza da lynx, quanto la significazione simbolica attribuita dal Cipolla a quella bestia nel primo canto dell'Inferno. Già innanzi alla comparsa di queste tre lettere ci giungeva la seguente nota del nostro collaboratore prof. FL. PELLEGRINI, che è ancora opportuno pubblicare:

<< Per quel poco che alla tesi del Cipolla può giovare la derivazione etimologica di lonza da lyncea, io penso che egli avrebbe ragione di non accontentarsi alle decisioni del Casini, il quale la dichiara impossibile. Egli potrebbe infatti allegare in favor suo l'autorità ben grave di glottologi quali il Diez (Et. W. s. v.), il Körting (L. R. W. 4954), il D'Ovidio (Gröber, Grundriss d. r. Ph. I, 523), il Meyer-Lübke (It. Gr. p. 15); nonchè le considerazioni che rispettivamente fanno, ai luoghi citati, i due ultimi filologi, per dimostrare che o italiano è il riflesso normale dell'upsilon greco accentato, nelle formazioni più antiche. Inoltre, mentre ben si capisce un passaggio di lonza in leonza per la spinta analogica di leone, non sarebbe facile rendersi conto del caso inverso; massime date le forme onza (sp. e port.) ed once (fr.).— Ma pur data questa parentela tra lynx e lonza, ad ogni modo il Casini avrebbe ragione di dire: Ebbene, io mi contento di dimostrare che lonza, leonza s'adoperava ai tempi di Dante per denotare il leopardo e la pantera, mentre lynx traducevasi, e credevasi, lupo cerviero. Ciò mi basta per ricavarne che la lonza di Dante non è la lynx degli antichi. Risponderei a mia volta: neppure il Cipolla afferma che il poeta parlasse di lonza come di vera lince, ché anzi nota a p. 3 dell' estratto : « Alberto Magno dà una descrizione della pantera che corrisponde mirabilmente a quella che D. fa della lonza». Invece egli asserisce che per l'Alighieri la lonza doveva risultare da una fusione della lince, conosciuta letterariamente e però indeterminatamente, con la pantera. E che quest'ultima ipotesi sia da rifiutare, non direi. Ove davvero fosse certo che la parola lynx destasse nei contemporanei di Dante la sola idea di lupo cerviero, aliena da quella di lonza, perchè mai Pietro di Dante e Benvenuto credettero opportuno di commentare « Che di pel maculato era coverta » citando il Virgiliano (Aen. I, 323) « Succintam pharetra et maculosae tegmine lyncis »? Non sembra quasi indubitabile, a chi ricordi qual uso sappia far Dante delle reminiscenze virgiliane, incastonandole con arte squisita nei suoi versi, che maculosa lynx sia la vera progenitrice letteraria della fiera dal pel maculato? Di più, non sempre lonza, leopardo e pantera sono sinonimi nella nostra lingua antica. Per es. nelle Rime di Folgore da S. Gemignano (ed. Navone, p. 32) al v. 12 del son. XV leggiamo « Leggero più che lonza o liopardo »; nel Milione parlasi di un luogo ove« v' ha lonze e liopardi assai »; nel Morgante (14, 18) si trova « La lonza maculata e la pantera » (cfr., per gli ultimi due es., il dizionario Tommaseo-Bellini, sotto lonza). Che cosa arguire da tutto

« PrethodnaNastavi »