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spiegarsi «< in diverse maniere egualmente ragionevoli: o l'odio fra i Sacchetti e i Del Bello persisteva si fiero che neppure il duca d'Atene riuscì a farli riconciliare, e solo ottenne che alla conciliazione s' inducesse il ramo degli Alighieri meno direttamente offeso; o Geri non fu ucciso da un Sacchetti (poichè nulla di certo sappiamo a tale riguardo), e la pace fu conclusa non a riparazione di questa offesa, bensì di altre offese che a noi sono ignote e che potevano interessare piuttosto l'Alighieri che i Del Bello; o, infine, pur essendo questi ultimi più dei primi offesi dai Sacchetti, non vennero menzionati nell'atto di pace perchè ramo secondario della famiglia e quindi compresi tra quegli affini, consanguinei e clienti a nome dei quali Franciscus quondam Allegherii prometteva la pace suddetta ». La cosa è certamente dubbia; tuttavia che Geri fosse ucciso da un Sacchetti par potersi ammettere con sicurezza, avendo in suo favore la testimonianza esplicita e precisa di Pietro di Dante (occiso olim per quemdam Brodarium de Sacchettis de Florentia: cfr. Bull., N. S., II, p. 70).

MARIO FUNAI, Nota dantesca. Castel di Sangro, 1895; 8°, pp. 19. Per nozze Flamini-Fanelli. La nota è al v. 123 del c. XVII del Purg.; ribatte la interpretazione datane dal Poletto, riprendendo quella del Tommaseo. Il Poletto afferma che il verso citato si riferisce non al vizio solo dell'ira, ma a tutti e tre i vizii: superbia, invidia, ira. L'A. invece, spiegato distintamente chi sia superbo e invidioso, osserva che nell'iracondo non vi è, come negli altri due, premeditazione di fare altrui male, ma accensione di sdegno che lo trae ad operare senza che n'abbia coscienza, intento solo a menar vendetta. Ghiotto della vendetta, adunque, non sarebbe sufficiente ad esprimere l'effetto di questo vizio, perchè l'ingiuria patita accende nell' uomo la sete di vendetta e questa lo spinge, come a cosa per lui ormai necessaria, a procacciare prontamente l'altrui danno. Il v. 123 per tanto non può riferirsi a tutte e tre la specie di viziosi, ma solo agli iracondi, ed anzi è quello che più importa per la indicazione del loro operare. L'A. inoltre spiega la parola tal non come tale persona, ma in tale stato: questa sua spiegazione per altro, se dilucida e completa la prima, non ne è, com' egli crede, cosa diversa. Risulta e perchè egli si trova della vendetta ghiotto, conviene che il male altrui impronti ». Noteremo da ultimo che l'A. avrebbe fatto bene ad avvertire che il Tommaseo dà la citata interpretazione nel Dizionario della lingua italiana alla voce improntare, poi che leggendo: « ...... il Tommaseo.... spiega » è naturale che si pensi al Commento alla Divina Commedia, e nel Commento invece è spiegato ben diversamente. P. L. RAMBALDI.

GAETANO SALVEMINI dà conto nell'Archivio storico italiano (S. V, t. XV, pp. 225-264: L'abolizione dell'ordine dei Templari a proposito di una recente pubblicazione) dell'opera Schuld oder Unschuld des Templerordens : Kritischer Versuch zur Lösung der Frage del d.r GIULIO GMELIN (Stuttgart, Kohlhammer, 1893; 8°, pp. xIv-611). L'abolizione di quell'ordine dette a Dante, come è noto, argomento d'invettiva contro Filippo il Bello nel Purgatorio (XX, 91-3); e dal lavoro del Gmelin appar veramente che quell' abolizione fu ingiusta, che la persecuzione del re di Francia fu sleale e interessata, e che l'aiuto datogli da papa Clemente non fu in buona fede. Ma si dimostra anche come il re e il papa furono aiutati nella loro impresa da un insieme di circostanze, parte dipendenti dalle condizioni generali del tempo, parte da difetti veri e propri dell'ordine.

Rime antiche italiane secondo la lezione del codice Vaticano 3214 e del codice Casanatense d. v. 5 pubblicate per cura del dott. MARIO PELAEZ. Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua, 1895; 8°, pp. XXIII-390 (Nella Collezione di opere ined. o rare pubbl. per cura della R. Commissione pe' testi di lingua e diretta da G. Carducci). Contiene tanto l'uno quanto l'altro codice parecchie rime attribuite a Dante. I due mss. sono, com'è noto, dal sec. XVI; ma furon tratti d'esemplari molto più antichi. Il primo appartenne al Bembo: Salvatore Betti ne trasse due sonetti di Dante, che pubblicò nel Giornale arcadico (t. XV e XVI), e se ne servì per emendare la ballata dello stesso poeta Io mi son pargoletta bella e nova (Ivi, t. XV); poi L. Manzoni pubblicò nella Rivista di filol. romanza (vol. 1) la tavola delle rime e i due sonetti Se, Lippo amico, se' tu che mi leggi e Sonar bracchetti e cacciator aizzare. Del codice Casanatense non era mai stata pubblicata la tavola, ma se n'era tuttavia giovato qualche studioso della nostra antica lirica per particolari pubblicazioni che il Pelaez registra: omette però di avvertire che Domenico Carbone diede in luce per nozze Garneri-Bertoldi, fra Rime inedite dei Quattro Poeti (Roma, tip. Barbera, 1872) i tre sonetti Era ne l'ora che la dolce stella, Questa è la giovinetta che Amor guida, Standomi in mezzo d'una oscura valle, dal codice Casanatense attribuiti a Dante; ma che sono invece da ascrivere, il primo a Sennuccio del Bene, il secondo a Dino Frescobaldi, il terzo a Betrico d'Arezzo. I tre sonetti furono dipoi riprodotti nella Illustrazione popolare, vol. VIII (1873), n. 2.

A. ZENATTI, Per l'autenticità della lettera di Dante ai cardinali italiani. Messina, tip. D'Amico, 1895; 4o, pp. 4. Scagliandosi fieramente contro i vizi degli ecclesiastici de' suoi tempi, « ah » tuona Dante nella lettera a' Cardinali « Ah, mater piissima, sponsa Christi! quos in aqua et spiritu generas tibi filios ad ruborem! Non Caritas, non Astraea, sed filiae sanguisugae factae sunt tibi nurus. Quae quales pariant tibi foetus, praeter lunensem pontificem, omnes alii contestantur! ». Vescovo di Luni era Gherardino Malaspina, e lo Sforza nella sua memoria intorno alle azioni di Castruccio in Lunigiana (Atti e Mem. della R. Deputaz. di St. patr. Moden. e Parm., 1891: cfr. Bull. 1a S., n. 10-11, pp. 90), dimostra che Gherardino non solo fu guelfo, e caro al Pastor senza legge, ma anche così aperto nemico del magnanimo Arrigo, che questi lo mise senz'altro al bando dell'impero. Non pare quindi natural cosa, che Dante abbia potuto far così onorevole menzione di cotesto ribelle; e l'autenticità della lettera è divenuta anche per ciò fortemente sospetta. Sennonchè deve parere un po' strano che, biasimando aspramente i prelati, Dante faccia eccezione non per alcuni pochi, ma proprio per uno solo: ciò torna a lode eccessiva per lui, s'ei non sia stato proprio un vero santo. Ma chi sa nulla della santità o della virtù del Vescovo di Luni? « Nella travagliosa vita di Gherardino scrive lo Sforza, se pure qualche fatto non l'ha il tempo volto nell'oblio, nulla ci veggo che giustifichi la lode che gli dà la lettera a' Cardinali d'essere il solo tra gli ecclesiastici d'allora che camminasse sul retto sentiero ». Ma quelle parole della lettera, domanda lo Zenatti, sono proprio una lode? O piuttosto, in miglior armonia con lo spirito e lo stile di tutta la lettera, non dovranno esse venire intese in senso sarcastico? Praeter lunensem pontificem corrisponde perfettamente a « Fuor che Bonturo » e a Trammene Stricca ». Così quella che pareva una forte ragione per negare l'autenticità della lettera, diventa un altro forte indizio per ritenerla veramente dell'Alighieri, del quale è ben degna.

È notevole la rassegna bibliografica fatta nel Giornale stor. d. lett. italiana (XXVI, 195 e sgg.) da F. PELLEGRINI dello studio di G. Salvadori, La Poesia giovanile e la canzone d'amore di Guido Cavalcanti (cfr. Bull., N. S., II, 81-88), per quel che vi si osserva contro l'attribuzione a Dante della canz. Ben aggia l'amoroso e dolce core e l'affermazione che alcune carte del codice Vaticano 3793 siano autografe di Dante o di Guido.

Per le Nozze Flamini-Fanelli il prof. A. D'ANCONA ha pubblicato (Pisa, tip. Nistri, 1895; 16°, pp. 16) Dal carteggio dantesco di Alessandro Torri, conservato presso la R. Scuola Normale Superiore di Pisa, tre lettere indirizzate a quel dantista, una da Vincenzo Nannucci, e due da Carlo Witte.

Pubblicazioni dantesche, delle quali crediamo sufficiente dare il titolo: EUGENIO ZANIBONI, Dante nel Trentino. Trento, Zippel, 1896; 8°, pp. 7-160. ACHILLE DE NICOLA, Anarchia o Beatrice? Nap., tip. Giannini, 1894; 8°, pp. 135. P. LUCHETTI, Applicazione del principio dell'unità della lingua umana alla interpretazione del verso dantesco « Pape Satan, pape Satan aleppe ». Milano, tip. Industriale di G. Pizzi, 1895; 8°, pp. 16.

EMILIANO RAVAZZINI, Significato del verso « Pape Satan, pape Satan aleppe ». Reggio Emilia, tip. Operaia, 1895; 8°, pp. 10 (cent. 50).

ANDREA TANZARELLA, Studio dantesco. Parte I. Roma, tip. Ciotola, 1894; 8°, pp. 73.

Altre recenti pubblicazioni dantesche, delle quali sarà reso conto nei prossimi fascicoli:

N. ZINGARELLI, Dante e Roma. Roma, E. Loescher, 1895; 8°, pp. 68 (L. 1.50). GIUSEPPE COEN, Personaggi storici e mitologici rammentati nella Divina Commedia con riferenza ai luoghi ed alle fonti del poema. Firenze, Bemporad, 1895; 16o, pp. 204 (L. 1.50).

RENZO GATTA, Il Paradiso dantesco, sue relazioni col pensiero cristiano e colla vita contemporanea. Torino, Paravia, 1895; 16°, pp. 203 (L. 2). Prof. ALBERTO SCROCCA, Il sistema dantesco dei cieli e delle loro influenze: esposizione e comento. Napoli, tip. di Gennaro Errico e Figlio, 1895; 8°, pp. VIII-78 (L. 2.40).

GIACOMO POLETTO, Digressioni dantesche. Venezia, tip. già Cordella, 1895; 16o, pp. 81. Estr. dal periodico La Scintilla, a. 1895, n. 15 e segg. Dante Alighieri. Das Paradies (Göttliche Komödie III), metrisch übertragen von dr. med. CARL BERTRAND. Heidelberg, G. Koester, 1894; 8°, (Marchi 4).

pp. XIII-316

A. FIAMMAZZO, Il commento dantesco di Alberico da Rosciate col proemio e fine di quello del Bambaglioli. Notizia dal codice Grumelli raffrontato col Laur. pl. XXVI, sin. 2. Bergamo, Istituto italiano d' arti grafiche; 8o, pp. 67 (L. 2).

GIORGIO TRENTA, L'Inferno e gli affreschi del Camposanto di Pisa attribuiti agli Orgagna, a Buffalmacco, al Lorenzetti e a Giotto, restituiti ai loro veri autori, con documenti inediti. Pisa, E. Spoerri edit., 1894; 8°, pp. 74 (Lire 4).

CARLO DRIGANI, Responsabile

18-1896. Firenze, Tip. di S. Landi

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SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA

(FIRENZE)

La Società Dantesca Italiana, costituita per accomunare gli studi dei dotti italiani e stranieri intorno a Dante e per renderli più divulgati ed efficaci, intende ora principalmente a un'edizione critica delle opere del sommo Poeta.

Il Comitato centrale ha sede in Firenze (Via della Dogana, 1): vi sono o possono essere Comitati regionali, dipendenti dal centrale, dovunque, nella penisola o all'estero, si trovi un numero di Soci sufficiente a costituirli. Dove non sono costituiti i Comitati regionali, i Soci corrispondono direttamente colla Presidenza del Comitato centrale.

La quota annua da pagarsi da ciascun Socio è L. 10; e possono esser Soci anche gli Enti (Istituti d'istruzione, Biblioteche, Municipi, ecc.) e tutti quelli, che pur non essendo speciali cultori di Dante, vogliano concorrere ad onorare con questo mezzo il sommo Poeta. Ricevono il nome di Soci promotori coloro che, oltre alla quota annua danno alla Società per una sola volta lire cento almeno; il nome di benemeriti coloro che per una sola volta le facciano una largizione di danaro, non inferiore a cinquecento lire, ovvero qualche dono di gran valore, specialmente in libri od in opere d'arte, che comecchessia si riferiscano a Dante. Il socio benemerito non è tenuto alla quota annua.

I Soci hanno diritto a un esemplare di quelle pubblicazioni che vengono fatte coi fondi sociali. Quanto alle altre che la Società abbia promosse ed aiutate, sarà loro concesso, nell'acquisto, il maggior vantaggio possibile.

Gli Autori e gli editori di studi danteschi sono pregati di favorirne possibilmente due copie alla Direzione del Bullettino; i direttori di riviste, di fare il cambio con questo, o almeno di mandare i numeri che contengano qualche articolo riferentesi a Dante.

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