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Vol. III, fasc. 4°

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Per i non Soci: L. 1 il fascicolo
ALLA LIBRERIA DI B. SEEBER
Succ. di LOESCHER & SEEBER

FIRENZE

Nuova Serie

Firenze, dicembre 1895 - gennaio 1896 Vol. III, fasc. 3°-4°

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Per i non Soci L. 1 il fascicolo alla Libreria di B. Seeber, Firenze

Sommario: FL. PELLEGRINI: A. Galassini, I cieli danteschi. O. BACCI: R. Gatta, Il Paradiso dantesco. R. FORNACIARI: Di alcuni studi sull'ordinamento morale dell' Inferno. - S. DE CHIARA: A. Meomartini, La battaglia di Benevento tra Manfredi e Carlo d'Angiò. S. MORPURGO: C. Appel, Das Sonett Guido Cavalcantis "I' vegno il giorno, ecc.,, . - L. ROCCA: A. Fiammazzo, Il commento dantesco di Alberico da Rosciate col proemio e fine di quello del Bambaglioli. – E. G. PARODI: E. Sulger-Gebing, Dante in der deutschen Litteratur bis zum Erscheinen der ersten vollständigen Übersetzung der D. C. - Annunzi bibliografici. (Si parla del Giornale dantesco, a. III, q. 7-10, e di pubblicazioni varie di M. Scherillo, D. Comparetti, L. Polacco, A. Agresti, A. Fiammazzo, S. Rocco, A. De Gubernatis, O. Bacci, E. Valle, B. Wiese, ecc.).

ADOLFO GALASSINI, I cieli danteschi. Firenze, tip. Min. Corrigendi, 1894, (Estr. d. Rassegna Nazionale, A. XVI, fasc. Nov.-Dic. 1894).

Il saggio presente, contrassegnato dal modesto sottotitolo di Pensieri, non deve andar confuso con altri scritti danteschi ahi! troppo numerosi che « nati il mattino e al vespero già vecchi » hanno speciale ragion d'essere nella vanità o nella scarsa erudizione dei loro autori. Qui, per contrario, pagine lungamente meditate svolgono una teorica originale d'importanza ben notevole per la retta comprensione dell'intero Poema e, in modo particolare, della terza cantica; la quale, nel suo disegno complessivo e in certe allegorie, offre tante difficoltà che tuttora attendono d'essere chiaramente affrontate e risolte. Non dispiacerà pertanto di sentir parlare, anche un po' in ritardo, di questo libro con la debita diffusione. Ma avvertiamo fin da principio, che eviteremo volentieri troppo recisi giudizi e, come richiede un lavoro di tanta coscienza e riflessione, ci adopereremo soprattutto a far si che il lettore sia invogliato a procurarsene diretta conoscenza, col riferirne le idee fondamentali. Còmpito, per vero dire, non lieve: giacchè il libretto che abbiamo sotto mano in certe parti procede serrato logicamente e rende arduo il riassunto, in cert' altre dà luogo a digressioni non inutili certo, ma piuttosto coordinate al tema che necessarie. Ond' è nostro avviso che, in una ristampa, potrebbe guadagnare in perspicuità, ove fosse liberato da ogni accessorio e mirasse soltanto a far persuaso chi legge di quegli asserti che ne costituiscono la base.

La distribuzione logica delle pene infernali e dei modi d'espiazione delle anime purganti ci è stata offerta dal poeta medesimo, con ordine

2. Bull. Soc. Dantesca.

metodico di evidente chiarezza. Tuttavia, già nella prima cantica, non ogni particolare resta spiegato con pari diffusione e qualche cosa si lascia indovinare al seguace ingegno di chi ascolta nella seconda, si passa sotto silenzio l'ordinamento dei tre gironi più elevati nella terza non vien più fornita una classificazione analoga, che pure sarebbe così utile.... << Messo t'ho innanzi, omai per te ti ciba! ». Ebbene, una dimostrazione coordinata a quelle dei canti XI Inf. e XVII Purg., e riguardante la terza cantica, forma il nobile scopo della ricerca del nostro autore. È vero, egli osserva in primo luogo, che una tal quale distribuzione dei beati nei varî cieli fu universalmente accettata finora dai dantisti: e così, seguendo alcuni accenni non sempre determinati appieno, è consuetudine di chiamare spiriti votivi mancanti quelli che si presentano a Dante nel primo cielo, operanti o attivi quelli del secondo e, via via, amanti, sapienti, militanti, giudicanti, e contemplanti quelli dei cieli rispettivamente superiori, fino a Saturno. Più sopra lo Scartazzini vorrebbe porre, nei tre cieli rimanenti, gli spiriti trionfanti, per una sua induzione, senza che a questo nome dia conferma alcun luogo del Poema. Ma è manifesto che la suesposta classificazione, se in qualche modo è sufficiente a denominare la qualità dei pochi spiriti che Dante incontra nei varî cieli, non regge ad una critica spassionata, che s'argomenti di trovare la ragione universale del Paradiso dantesco. Si può ammettere, per esempio, che la Luna sia destinata a quei soli spiriti che, per circostanza accidentale di loro vita, si legarono con voti, ai quali poi furono costretti a venir meno? che Venere sia popolata soltanto da quelli dediti a terreni amori, onde a tempo si francarono? e Giove da re soltanto o da giudici? Se cosi fosse, troppe anime buone non troverebbero sede adeguata in nessuno dei cieli che precedono lo stellato! nè, per converso, dobbiamo dimenticare che anche nelle ruote celesti « pur l'anime che son per fama note » si svelano a Dante, secondo le parole di Cacciaguida. Di più l'analogia con le altre cantiche deve in questo caso esser fatta valere. A quel modo stesso che nell'Inferno si vedono tra i lussuriosi sol quelli i quali, per il loro vizio, perdettero la vita e tra gli eretici soltanto gli Epicurei ed i Fotiniani, pur essendo certo che le due classi di peccatori devono essere molto più ampiamente suddivise e rappresentate nella loro totalità in questi cerchi; così non è forse lecito fin d'ora il dubbio che, anche in alcuni cieli, Dante siasi incontrato in certi dati gruppi di spiriti, senza escludere con questo che altri gruppi, legati coi primi da somiglianza di merito, siano nel medesimo luogo ospitati? Non è, in una parola, quasi evidente che certe appellazioni, sul tipo di spiriti amanti, spiriti giudicanti, sono troppo limitate e specifiche, per credere che s'addicano alla generalità degli spiriti che adornano un dato cielo? Questo è il punto di partenza del G., e sarebbe difficile non riconoscerne in massima la giu

stezza.

La Commedia secondo il nostro autore, va coordinata ad un'armonia unica, anche più stretta di quella che vi si suol riconoscere comunemente :

l'allegoria delle tre fiere e delle tre donne benedette, che curano del Poeta nella corte del Cielo, pervade le tre cantiche e le assomma in mirabile unità d'intendimento. Esse hanno lo scopo complessivo di perducere homines de statu miseriæ ad statum felicitatis, di quella duplice felicità che agli uomini è concesso di raggiungere: felicità terrena, alla quale conduce la pratica delle virtù cardinali, e felicità celeste, conseguita mediante le tre virtù più eccelse, le teologali. L'uomo che nel corso della sua vita terrena si smarrisca nella selva selvaggia e voglia poi liberarsene, avrà evidentemente a vincere il contrasto dei vizi che s'erano impadroniti di lui. Quali saranno essi? A fil di logica, devono essere quelli che più direttamente s'oppongono alle virtù necessarie e sufficenti al conquisto della felicità terrena; la quale, secondo la divinazione Platonica confermata dalla dottrina cristiana, ha d' uopo anzi tutto d'una virtù che all'uomo animale ragionevole - governi la mente, cioè della prudenza. In secondo luogo si fa necessaria una virtù che impedisca la corruzione del cuore, la quale seguirebbe tosto a quella della mente, cioè la fortezza. A sua volta, la corruzione duplice dell'animo e del pensiero porterebbe seco il pervertirsi della vita animale, al che si oppone la temperanza. Somma ed effetto di queste tre virtù è giustizia, ultimo grado di perfezione a cui l'uomo in terra possa aspirare. Le tre fiere, secondo la geniale interpretazione del nostro, altro non sarebbero pertanto se non simboli dei tre vizi diametralmente contrarî alle tre virtù accennate qui sopra, nell'ordine loro progressivo. Alla lonza, contrapposta a prudenza, daremo bensi il valore d'invidia, ma nel senso più etimologico della parola, quasi errore dell' intelletto, << spirito del sofisma, facile a mutarsi dal bianco al nero, come il pel macu⚫ lato della belva, agile e presto ad ogni dimostrazione, bello, seducente « di fuori.... ». Il leone sarà il pervertimento della fortezza, cosi d'animo (superbia) come di corpo (violenza): la lupa, avversa a temperanza, non può essere che la cupidigia dei beni terreni in generale, compresa la lussuria, perchè molti son gli animali a cui s' ammoglia ». Le tre donne. benedette, a lor volta, contrastano similmente i tre vizi: Beatrice, che distolse Dante dalle bassezze terrene, è nemica della lupa: Lucia, protettrice della vista fisica e spirituale, abbatte la lonza: Maria, simbolo della misericordia celeste, vince nel leone tutte le forze avverse al bene. A questa stregua i cerchi II-V dell'Inferno (incontinenti) sarebbero il regno della lupa, che perverte le leggi di natura ma, da sè sola, non le elimina e però men biasimo accatta. Lonza e leone si dividono l'interno della città di Dite, con predominio della prima, dove predomini malizia, e del secondo, dove prevalga violenza. Con eguale criterio nel Purgatorio (ma in ordine inverso, perchè le colpe più gravi si purgano più in basso) Dante, dopo varcata la sede degli spiriti deboli che sono sotto la balia di Catone, incontra prima chi peccò per malo obbietto, chi cioè segui la lonza, per aberrazione di mente; poi chi si volse al bene con poco vigore, traviato dal leone, che si oppone a fortezza; da ultimo chi, con vigore soverchio, si volse ai beni

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