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terreni, per colpa della lupa, contro cui il poeta si scaglia nel V girone del Purgatorio. E la virtù delle tre donne benedette soccorre a Dante an che in questo secondo regno. Prima Maria manda i due angeli nella valletta fiorita, poi Lucia solleva il poeta alla porta del Purgatorio, terza Beatrice lo salva dalle tentazioni della femmina baloa, manifesta sorella della lupa infernale (1). Questa parte preliminare della dimostrazione (pp. 11-23) meriterebbe d'essere studiata e discussa separatamente (2): noi per ora ci siamo contentati di riferirne in poche parole i concetti più necessari ad intendere il seguito, e passiamo subito all'ordinamento teorico del Paradiso, che il G. propone. Egli prende, per il momento, le mosse dal cielo secondo, di Mercurio, come da quello intorno a cui il poeta si spiega con maggiore evidenza; e riconosce che gli spiriti in esso contenuti non possono essere chiamati altrimenti che attivi od operanti. Sono dunque i seguaci della simbolica Lia, contrapposti a quelli di Rachele « contenti nei pensier contemplativi », che hanno loro sede in Saturno. Quattro cieli restano tra i due ora detti (Venere, Sole, Marte, Giove) e tre di sopra (Stelle fisse, Primo mobile, Empireo), al quale proposito è buono tener presente che nella cabala medioevale quattro era simbolo di mondo, tre di cielo. E si noti che nei primi quattro cieli s'adagiano a perfezione le virtù cardinali, proprie della vita terrena, nei tre superiori le teologali, proprie della celeste! Per vero, quale affermazione più ovvia di questa, che l'acquisto del cielo dipenda dalla pratica della virtù? non già, ben inteso, che basti aver praticato una data e singola virtù per arrivarvi.... bisognerà essere stati sommariamente virtuosi: ma come nel Purgatorio gli uni hanno a purgare più le macchie di un dato vizio che non degli altri, cosi anche la distribuzione nei varî cieli sarà dipendente dal predominio d'una data virtù nell'anima del beato, virtù specialmente coltivata o per disposizione d'animo, od anche per vario stato di vita. Ciò riconosciuto, chi estenda l'analisi ai quattro cieli tra Mercurio e Saturno partirà da Venere: dove troverà degli spiriti, quivi ospitati non già perchè furono famosi amanti, ma perchè riuscirono a combattere la loro passione, volgendola a bene. Essi vinsero la lupa, anzi furono in quest' arringo i più abili combattenti, perchè la sconfissero persino nella lussuria, nella forma men grave sotto cui possa manifestarsi, e che perciò chiede maggiore sforzo di volontà ad

(1) Il parallelismo assoluto, che l'A. trova tra le tre donne benedette del c. II Inf. e queste del Purgatorio, porta, come si vede, a dare con sicurezza il nome di Beatrice alla femmina onesta della visione. Rimane tuttavia oscuro perchè mai il poeta non la riconosca o non provi almeno, al suo cospetto, un turbamento adeguato alla occulta virtù che da lei moveva (Purg. XXX, 38).

(2) Domanderemmo allora, per esempio, come i superbi del Purgatorio (erranti per malo obbietto) diventino in questo regno seguaci della lonza, mentre l'autore ha dimostrato prima che il leone, non la lonza, è pervertimento della fortezza d'animo, cioè genera superbia.

essere estirpata (1): certo in altra parte di Venere (Dante ne traversa una sola sezione) saranno spiriti che vinsero la lupa e nella gola e nell'avarizia (sobri e parsimoniosi), tutti ad un modo seguaci di quella virtù, che alla lupa riconoscemmo specialmente contraria, tutti cioè spiriti temperanti. Il Sole tiene le anime governate dalla virtù che regge a infallibil segno la sapienza, vale a dire le anime prudenti, tra le quali si segnalano per loro eccellenza quelle dei dottori in scienze sacre, che fanno triplice corona intorno a Beatrice ed al poeta. Sommo grado di prudenza raggiunge chi sappia abbracciare la dispetta povertà, onde in questo cielo e non altrove ne ammiriamo l'elogio. Salomone, il perfetto uomo di stato, che quivi s'interza con S. Tommaso e S. Bonaventura, riceve elogio di regal prudenza al v. 104 del c. XIII. In questo cielo la lonza è dunque distrutta. Il leone invece è vinto nel cielo superiore, dove fortezza predomina, necessaria a tutti, ma più ai guerrieri; per cui Dante si trattiene con un uomo d'arme, che diede somma prova d'essere spirito forte sostenendo il martirio. In Giove regge la più alta delle virtù cardinali, giustizia; e sarà bene pertanto rettificare la comune appellazione di spiriti giudicanti, che si suol dare. alle anime di questo cielo, sostituendovi l'altra più comprensiva di spiriti giusti. Che se tale virtù è più propria dei regnanti, e per conseguenza gli spiriti « per fama noti » che il poeta nomina sono di sovrani, non manca nemmeno un rappresentante della privata giustizia in Rifeo, justissimus unus, secondo la nota frase di Virgilio. Ecco dunque l'ordinamento, a nostro credere ingegnosissimo, del G. per le anime dei primi cieli (2); ora potremo assorgere alle sfere più elevate, non senza aver prima rivolto il pensiero a quel cielo, che per solito si dice degli spiriti votivi mancanti. Per il nostro autore invece esso forma come un Antiparadiso (cfr. Antinferno e Antipurgatorio), con questo tuttavia di differente, che le anime del primo cielo furono tarde, deboli, ma buone; operarono tanto da meritarsi il cielo e da non esserne escluse: sicchè, a rigor di termine, vero Antiparadiso sarebbe piuttosto il Paradiso terrestre, mentre la Luna potrà affermarsi dimora di spiriti deboli che raggiunsero virtù sufficiente.

Al cielo di Venere s'appunta l'ombra della terra (Par., IX, 118) ed in questo, come nei due sottostanti, le anime si presentano a Dante ad una ad una, conservano reminiscenza di amori terreni ed hanno tal forma che, più o meno manifestamente, offre traccie di parvenza corporea. In

(1) Si confronti, bene osserva il G., coi tre gironi superiori del Purgatorio dove avarizia, gola, lussuria, si purgano in ordine graduale di gravità; e la lussuria è sopra, perchè men odio in cielo acquista.

(2) Ci sia lecito per altro avvertire, che al lettore rimane in tutto ciò un punto oscuro: se in Mercurio compariscono gli spiriti attivi, senza più, i quattro cieli immediatamente superiori non fanno sorgere forse l'idea d'una ripetizione? Non sono essi, per verità, popolati da spiriti che furono specialmente attivi in una data virtù naturale? E allora, perchè non vanno tutti in Mercurio?

essi premiasi l'uomo che operò bene « perchè onore e fama gli succeda », che diresse a buon fine le azioni della vita animale. Quindi, se si voglia tripartire anche il regno dei beati analogamente agli altri due, questa ne sarebbe la prima sezione, forse governata da Beatrice. Nei tre cieli subito seguenti, la sembianza umana è del tutto aliena alle anime, che non s'offrono più individualmente al poeta, ma gli si presentano in moltitudini (ghirlande nel Sole, croce in Marte, aquila in Giove) e questa seconda sezione premia l'uomo perfetto in quanto è razionale, governato cioè da Lucia. Nei cieli più eccelsi, cieli di virtù soprannaturali, gli spiriti si presentano in una vera plenitudine. In Saturno essi volteggiano sullo scaleo, poetica immagine della vita contemplativa, saliente dalla terra al cielo. Dante vi trova dei monaci, appunto perchè la contemplazione è conveniente, più che ad altri, a coloro che della vita animale. vollero farsi scala all'eterna. Sicchè il Poeta ammirò nei primi sei cieli il trionfo delle virtù cardinali, ora avviate per mezzo del settimo al regno delle virtù teologiche. Ed ecco che in Saturno acquista chiaro concetto della vanità delle cose terrene paragonate alle eterne (Par., XXII, 124 s.), ma di quest'ultime gli manca ancora un'esatta conoscenza; è bensi corretto dal falso, ma il vero non gli è aperto: tace al suo orecchio l'armonia ineffabile dei cieli superiori e non giunge al suo sguardo il sorriso di Beatrice (1). Un sol uomo fu capace di trapassare dal finito all'infinito, Gesù Cristo; e perciò, appena Dante sale al cielo ottavo, Cristo trionfante qui considerato come vero uomo gli apparisce davanti, a significare che Egli solo può schiudere all'uman genere la via del sovrannaturale. Subito dopo il trionfo di Cristo, il Poeta è rifatto possente a sostenere il riso della sua guida, riode l'armonia dei cieli ed i tre apostoli gli si presentano e lo esaminano sulla fede, sulla speranza e sulla carità (2). Queste tre virtù abbellano il cielo intero. Ma se, a norma del fin qui esposto, pare opportuno che reggano specialmente certi dati cieli, loro conviene meglio questo sommo scompartimento, che il G. ama chiamare regno di Maria, donna della misericordia. Varie pagine (55-63) intendono, dopo ciò, a dimostrare con minuta analisi metafisica che alla. fede, quasi esordio ed ingresso alla vita religiosa, spetta il primo dei tre

(1) Non ci persuadono le ragioni che il G. escogita a p. 53 per ispiegare il corredo di mitologia « che si direbbe posto a ingombrare la purezza del canto XXII ». Per noi, se Dante chiama il Sole figlio di Iperione e Marte figlio di Maia, ecc. ciò non avviene per ragioni allegoriche e recondite, ma soltanto per consuetudine erudita allo stesso modo che, nella presenza immediata di Dio, chiama Elice l'Orsa maggiore (XXXI, 32), allude al carro di Fetonte (XXXI, 125), ed a Nettuno, ammirante l'ombra d'Argo (XXXIII, 96).

(2) Adamo, crede il G., s'aggiunge ai tre Apostoli quasi rappresentante dell'umanità per far intendere a Dante, ormai dotato delle virtù soprannaturali, che cosa sia l'uomo, in tutta la sua pienezza.

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cieli superiori; alla speranza, già volgente verso il fine supremo senz'essere ancora il termine dove s'appaghi lo spirito, conviene il cielo penultimo; alla carità « ragione suprema d'ogni prima origine e d'ogni ultimo fine » il cielo Empireo, dove Maria è meridiana face. Non crediamo opportuno seguire il filo di questa dimostrazione, per varie cause: in primo luogo per essere come ben riconosce il G. medesimo - << la distinzione tra le virtù teologali sottilissima e la separazione impossibile»; poi perchè, più che rassumere, ci toccherebbe riferire; da ultimo perchè, non presentandosi ormai più al poeta vere e distinte classi di spiriti, ci sembra quasi del tutto sufficente al nostro assunto la convinzione generica, che i tre cieli più alti possono simboleggiare le tre più alte virtù. Sicuro, che disporle secondo l'ordine dell'esame subito da Dante, anche per le ragioni addotte dal G., resta il partito più probabile. Quind' innanzi l'autore cammina su di un terreno che egli stesso non si perita di riconoscere « quanto mai pieno d'incertezze e di pericoli ». Sforziamoci a nostra volta d'esporre qual sia la materia da lui trattata, piuttosto che il metodo della trattazione, affine di non inciampare, per amore di una certa brevità, in pericoli anche più gravi. Prima (pp. 65-76) svolge l'ordinamento complessivo del Paradiso in relazione con le scienze del Trivio e del Quadrivio e con le angeliche gerarchie seguendo, com'è naturale, il Convivio e il c. XXVIII Parad. ma cercando di mostrare, a volte evidentemente, a volte con degli sforzi di sottigliezza, che corre un reale parallelismo tra l'essenza e le caratteristiche delle virtù proprie ai varî cieli, le classi d'angeli ad essi preposte, le scienze corrispondenti. Nel complesso questa parte giova a recare conferme non disprezzabili alla fondamentale proposta del G. « d'un nuovo ordinamento dei cieli secondo le virtù », ma ci sembra assai confusa ed oscura in quanto parla dei ternarî degli angeli. L'ultimo tratto della memoria (pp. 77-95), chiusa con un sugoso epilogo (pp. 96-99), espone una nuova ricerca intorno alla disposizione degli spiriti nella Rosa celeste, ossia regno della Carità, virtù che abbraccia e assomma tutte le altre. Peccato che nemmeno qui l'autore sappia raggiungere quella lucidezza, che in cosi fatti argomenti è dote preziosissima! Sarà forse per ciò che la lettura di queste pagine ci lascia irresoluti e non convinti? - Le anime elette sono distribuite da Dante nella Rosa celeste secondo un determinato ordine: chi distingue la metà inferiore del vasto anfiteatro dalla superiore, troverà in basso i bambini, in alto gli adulti: chi invece lo divida mediante una partizione perpendicolare alla suddetta, vedrà che i credenti in Cristo venturo occupano quella metà che trovasi a sinistra di Maria e giunge fino a San Giovanni Battista, a lei diametralmente opposto; mentre i credenti in Cristo venuto tengono l'altra metà. Ora il G. suppone che Dante avesse in pensiero anche una terza divisione della Rosa, alla quale avrebbe alluso con indizi abbastanza chiari, senza farla spiegare apertamente da S. Bernardo. Analoga a quella accennata tra Cristiani ed Ebrei,

sarebbe tracciata per maniera che Maria e il Battista non formino più i limiti della linea divisoria tra le due metà risuitanti, ma siano a lor volta al centro delle due nuove sezioni. In altri termini, la Rosa si supponga partita verticalmente in quattro settori di uguale ampiezza, due costituenti nella loro somma la metà destinata agli antichi, due quella destinata ai nuovi beati: se prenderemo il settore degli Ebrei a sinistra di Maria, più il settore dei Cristiani alla sua destra, otterremo ancora una metà della Rosa, ma con Maria nel centro; mentre l'altra metà avrà nel centro il Battista: e questo complesso genererà la partizione nuova, vagheggiata dal nostro autore. Su quali dati il G. appoggia la sua ipotesi, e qual senso simbolico potranno acquistare i due emisferi così risultanti? Inspiratrice dell'ipotesi è anzi tutto l'analogia con quel tratto del Convivio (III, 5) dove Dante, nel dar ragione della struttura del mondo, immagina al polo artico una città di nome Maria, all'antartico un'altra di nome Lucia. « Queste donne sono intese dagli studiosi come simbolo della misericordia e della giustizia divina, che sono davvero i due sostegni dell'universo; e da ciò trarrei volentieri argomento ad intitolare le due metà della Rosa, regno della Giustizia e regno della Misericordia » (1). Altri argomenti alla sua tesi ricava il Galassini dalle parole di San Bernardo, quando definisce la Rosa col titolo di imperio giustissimo e pio (XXXII, 117): nonchè dal numero, dal sesso e dalla condizione delle anime nominate da Dante, come assise ai fianchi o ai piedi della Vergine e di S. Giovanni Battista. Se non che noi, prima di poter seguire fiduciosi il G. nelle ingegnose e sottili elucubrazioni che ci offre su questi varî punti, siamo in diritto di rivolgergli una domanda pregiudiziale che, per quanto ci è dato vedere, non trova risposta nelle sue pagine. Come e perchè metà giusta delle anime beate già appartenenti agli Ebrei devono trovarsi nella metà della Rosa che è regno della Misericordia, la quale « è tutta celeste », e metà invece in quella della Giustizia che « è divina ed umana »? O perchè non dovremo invece ammettere che tutti indistintamente gli Ebrei, per godere del regno celeste, fruirono in pari grado della Misericordia divina? Non fu tutta misericordia di Dio se l'angelo Gabriello

<< .... venne in terra col decreto

della molt'anni lagrimata pace,

che aperse il ciel del suo lungo divieto >>?

E se, per un istante, vogliamo ammettere col G. che nella << parte australe dell'empireo » (cioè nel lato della giustizia, di S. Giov. Battista

(1) L'autore, è bene avvertirlo, si sforza di spiegare che se nella Rosa a Maria non si contrappone Lucia, ma il Battista (che ha Lucia al suo fianco), ciò costituisce un perfezionamento e non un cambiamento dell'idea simbolica svolta nel suddetto brano del Convivio.

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