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mente che altro è giudicare se un fatto è avvenuto, ed altro vedere quali sono gli effetti legali che la legge fa derivare dal medesimo fatto. Ora questo è un vero giudizio di diritto. Il Presidente non ha bisogno di sapere se l'imputato ha agito per gelosia, invidia od altro: ma vero o non vero che sia, ha tutto il dovere di guardare se questo fatto è fra quelli ritenuti discriminanti o scusanti dalla legge, e quando non lo trovi, deesi ricusare di proporre la quistione a' giurati, fra l'altro, per l'antichissimo detto che frustra probatur quod probatum non relevat.

La gelosia, e le altre cause che secondo la nuova definizione concreta, precisa ed obbiettiva della legge non tolgano o diminuiscono l'imputabilità, possono certamente valere come circostanze attenuanti. Ma appunto perchè queste sono vaghe ed indeterminate, non se ne pone il quesito a' giurati, che possono accordarle o negarle, secondo loro pare, anche non richiesti.

E che la Corte si abbia avuto un adeguato e giusto senso nelle nuove disposizioni del Codice si può vedere dalla sua giureprudenza, sebbene non stata sempre eguale, sulla incompatibilità o non possibile coesistenza di alcune nozioni d'inimputabilità o di scuse con altre, o sulla possibile loro coesistenza con aggravanti o nozioni di diritto che le distrugga, e che si vorrebbero derivare dallo stesso fatto. Al che non si poteva venire, senza muovere da un criterio giusto e legale di ambedue le nozioni.

Cosi la forza quasi irresistibile fu deciso non poter stare con la premeditazione nell'istesso fatto; perchè in

fatti chi opera per premeditazione, cioè con volontà non solo libera ma ripiegantesi sopra se stessa, non può dire di essere stato costretto da un'altra forza esterna (1).

Per l'istessa ragione che uno stesso fatto non può dar luogo a due costringimenti e quindi a due scuse, poichè sempre il più grave assorbe in se il meno, fu detto che l'eccesso di difesa sia incompatibile con la provocazione, e che perciò è erroneo il verdetto che le affermasse entrambi simultaneamente (2).

Possono invece coesistere la premeditazione ed il vizio parziale di mente (3).

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L'omicidio in rissa non consente quistione di preterintazionalità, perchè punendosi in tutti quelli che vi han preso parte, pur rimanendo ignoto il vero autore, non si può far quistione intorno allo stato di volontà di un ignoto.

Il che per vero non pare al tutto certo: ignoto rimane l'autore effettivo dell' omicidio, ma se si ammette il concorso di tutti, cioè la volontà, perchè questa non si può ritenere in tutti modificata da un fatto di costringimento, o di eccesso di fine?

La legittima difesa non può stare con la premeditazione (4). Possono invece coesistere la premeditazione ed il vizio di mente (5).

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L' inimputabilità per costringimento può essere riconosciuta anche in altri reati, che per lo più sono effetti di volontà libera. Cosi non commette furto chi in una urgenza, per salvare parecchi cittadini che sono in pericolo di morire pel freddo, si appropria ed usa del combustibile altrui (1).

Bene ha pure la Corte interpretato il vero significato del giusto dolore di cui nell'articolo 51 ritenendolo come un caso di scusa per provocazione (§ 137, 138, 139). In una sentenza si cavò da questo principio la conseguenza inadeguata che poichè in un verdetto ci era la quistione dell'impeto d'ira, questa comprende quella altresi del giusto dolore. Il che non è esatto.

E meglio, in una seconda sentenza si disse appunto il contrario, rigettando il ricorso in cui si pretendeva che si fosse violata la legge formolando separate le due quistioni dell'impeto d'ira e dell'intenso dolore (2).

Ma il principio che l'intenso dolore non è che provocazione e che però non scusa se la vittima del reato non è stata causa anche remota (nel che differisce dall' impeto) del dolore che spinge al reato, fu nettamente riconosciuto.

A chiarire l'assurdo di un contrario concetto, basta Osservare quanto faceta cosa sarebbe se taluno, allegando di essere in istato di intenso, ed anche legittimo dolore, per una disgrazia familiare, o perchè ha fatto una grave perdita di danaro, o perchè un' inondazione gli ha danneggiato i poderi, pretendesse alla scusa per aver ucciso

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il primo che gli capitò innanzi, che di tutte le sue disgrazie non avesse la benchè menoma colpa.

Per rispetto alla provocazione quasta fu dal Codice allogata fra le regole generali con pericolo che si possa invocare in tutti i reati, non solo in quelli di violenza contro le persone, ma quando è palese che non possa esservi alcuna causa cogens. (§ 130) Il pericolo fu notato dal Senato, che avrebbe voluto limitarla, com'era negli antichi Codici, е come è naturale che sia, a' fatti che ledono la persona, e secondo che è detto nello stesso Codice, negli articoli 376 e 377. La Corte di Cassazione ha in questo modo interpretato che non ostante che la provocazione fosse possa fra le regole generali, nondimeno non scusa che in quei reati a cui è applicabile, come le minaccie, che in fine sono delitti contro la persona. Non già che si debba dar luogo all'assurdo di trovare un furto, uno stupro, un falso provocati (1).

Delle quali fatte interpretazioni del Codice se va lodata la Cassazione, è giusto pur dire che trovò, in parecchi casi, ove nella nuova legge non si era immutato dagli antichi, la giureprudenza delle quattro altre Cassazioni penali soppresse.

Ma è anche a notare qualche sentenza, che la Corte, ha dato, dipartendosi da' veri principii altra volta stabiliti.

Cosi il praeter intentionem, l'eccesso di fine, effetto dell' errore, è detto scusa, cioè conseguenza del costringimento (2). E fu ritenuto, il che è enorme e confonde

(1) 6 Ottobre 1892 Brunetti.

(2) 16 Nov. 91 Guidoni.

rebbe ogni nozione di legittima difesa, che due, che si offendono a vicenda, e nell' istesso momento in cui lo fanno, possano essere dichiarati entrambi in istato di difesa; quando è evidente che all'aggressore, che non ha potuto essere che uno, non può competere nè l'essersi trovato. in necessità, nè l'avere agito per difendersi, nè l'essere la sua difesa legittima. Che se il primo aggressore rimane ignoto, vuol dire che la discriminante resta non provata, e non si applica. Il che è certo meglio che renderla assurda e contradditoria, come era il verdetto de'giurati che l'aveano ritrovata simultaneamente in due corrissanti e che la Corte trovò regolare rigettando il ricorso del P. M. (1).

Concorso di pene In quanto al concorso delle pene, la Corte ha tenuto il vero principio, cioè che nello stesso fatto, sotto la medesima spinta criminosa, non si possa conoscere l'effetto di due reati, e si debba solo applicare la pena più grave, di un solo delitto a' sensi dell'art. 78 del Cod. Penale, e quindi farsi il cumulo delle pene, anche se una sia data da legge speciale.

Perciò nel caso d'incendio colposo per avere appiccato il fuoco alle stoppie de'campi, senza le necessarie cautele, le pena della contravvenzione alla Legge di Pubblica Sicurezza, che prescrive quelle cautele, va assorbita nella pena dell' incendio; perchè unico il fatto. E sempre per questa ragione di unica spinta criminosa, chi tira un colpo di arma da fuoco a taluno ed uccide invece un altro, non

(1) 9 Feb. 91 · La Rosa.

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