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è responsabile che dell' omicidio, e la pena del tentativo in chi voleva offendere, rimane assorbita nella più grave (1).

Ma per lo contrario, non una, ma più volte, la Corte ha ritenuto che il reato di porto d' arma dell'art. 464 del Codice, debba punirsi con due pene, anche con quella stabilita dalla Legge del 19 Luglio 1880, perchè in questa legge è dichiarato che la pena è indipendente di quella del Cod. Pen. (2).

Ora in questo si vedrebbe innanzi tutto rinnegato il principio posto dalla Corte dell' unico fatto e dell' unica spinta criminosa che fa applicare un unica pena; principio generale a cui una legge speciale non può derogare, se ben s'interpreta l'art. 10 C. P. comunque questo sia scritto in modo equivoco, e forse a rovescio di quel che voleva dirsi (§ 57). Ma il più certo è che la legge del 1880 non contiene l'ipotesi della sola asportazione dell'arma, e perchè avrebbe dovuto farlo? ma punisce la contravvenzione al divieto di caccia tentato o consumato con l'arma, senza pagare la tassa della licenza.

Infatti questa non è che una legge di tassa, che accresce quella pel porto di talune armi: o ne riscuote altre, come pel bastone animato.

Questo una legge di tassa può farlo, e che non può fare? ma nell'interesse del fisco, non della sicurezza pubblica. Rimarrebbe sempre impossibile concepire intellettualmente ed in modo legale, il perchè lo stesso fatto può

(1) 5 Dicembre 91. Campanossi. 15 Luglio 92. Santonocito. (2) 8, e 20 Gen. 92, Gherardi e Pili, e molte altre, non essendoci giureprudenza più frequente e concorde.

esser preveduto e punito dal Codice Penale, e nel tempo stesso da un'altra legge posteriore, e darsi due pene. Se veramente la legge che sopraggiunge lo faccia, non lo può se non all'inevitabile condizione di derogare alla precedente.

Or che la legge di Luglio 1880 non sia altro che una legge fiscale è manifesto da che se ne riferisce a quella del 13 Settembre 1874, gli articoli della quale, modifica, o come si dice, per non spaventare i contribuenti, rimaneggia per aumentare le tasse prescritte. Cosi fu per quelle de' titoli di nobiltà, o degli stemmi, ove, a questi chieri di luna, alcuno ne avesse il capricció, per quelle delle società commerciali, per l'ammissione al gratuito patrocinio, ed infine per la licenza delle armi, per la caccia, la pesca ecc. In quanto alle armi, la legge ha potuto accrescere la tassa della licenza, ma non creare una pena nuova da aggiungersi a quella del Codice Penale. La pena nuova l'ha stabilita quando alla contravvenzione di portar l'arma senza licenza, si aggiunga l'altra di esercitare con essa arma la caccia. Caccia, consumata od almeno tentata, di cui l'arma può essere una prova, quando è buona a cacciare; ma senza provare l'uso di essa per la caccia, la doppia pena, rimarrebbe sempre assurda.

Ciò è chiaro anche dalle parole della legge: la tassa è posta sul permesso annuale di portare armi da fuoco non proibite, anche per uso di caccia. Il che vuol dire che non è applicabile alle armi da fuoco, di corta misura, che non sono da usare per la caccia o ad altre armi, di cui si può aver licenza, come i bastoni animati, anche per la stessa ragione che non sono buoni alla caccia.

Ed infine l'art. 2, della stessa legge dice chiaro che

l'esercizio di atti o diritti contemplati in essa è punita con multa eguale al doppio della tassa, senza pregiudizio delle penalità portate dal Codice Penale in caso di reato in esso contemplato. Di che è chiaro che la pena che è nel Codice Penale rimane intera pel fatto che in esso è reato, ma che quella della legge speciale non risguarda il medesimo fatto, ma l'altro della contravvenzione al caso speciale, come la caccia, a cui la legge speciale impone una nuova pena.

Cumulare le due pene sull'istesso fatto è un non senso giuridico che la Corte di Cassazione avea riconosciuto, come sopra è detto.

Complicità -La teorica sulla imputabilità de' concorrenti ad uno stesso reato è quella in cui si è, con più studio, voluto nel Codice innovare l'antica dottrina, ed è quindi riuscita la più dubbia e perplessa di tutte. Nell' ipotesi di concorso di più in uno stesso reato, i Codici aboliti, seguendo la tradizione antichissima, non pure definivano i fatti esterni del concorso, ma questo misuravano nella sua efficacia con presumere taluni di questi fatti come assolutamente necessarii alla consumazione del reato; ed annoverarne altri che potevano e non potevano reputarsi necessarii (§ 180 e 181).

Il Codice, pel solito orrore alle definizioni legali e pel poco conto in cui vi son tenute dottrine antichissime, confermate da lunga giureprudenza, non enumera nessun atto di concorso, contento a dir complici o meglio concorrenti in un delitto gli esecutori e cooperatori immediati all'esecuzione, e coloro che determinano altri a commetterlo,

(art. 63). E nell'art. 64 enumera taluni fatti, che ritiene di minore importanza, cui non si dà la medesima pena dell'autore del reato, se non quando siano necessarii. Rimane sempre lasciato all'arbitrio del giudice se vi fu derminazione, e questa si può negare, anche ne'casi più evidenti, ed in cui le antiche leggi la presumevano, come ad esempio nel mandato; e si può trovare dove non è, come nel caso di un semplice consiglio, che non ha fatto mai concorso punibile. (§ 174) Delle quali erronee diffinizioni non si può trovare traccia in Corte di Cassazione perchè si risolvono in una ricerca di fatto, di prova, in cui la Corte non ha nulla a vedere.

Qualche cosa della elasticità della voce determinazione appare p. e. dal non certo principio assunto dalla Corte che non è illegale ritenere che taluno commetta il reato per motivi proprii ed insieme per la determinazione fatta. nascere in lui dal complice (1).

Fuor di dubbio, si possono avere più cagioni che spingono al reato, ma, come ritiene la stessa Corte, è sempre la più grave quella che determina, e quindi supposto che la più grave sia la personale e propria del colpevole, l'istigazione del complice rimane inutile e però non punibile. Ora è possibile di fare un giudizio sull'efficacia comparativa delle spinte?

Ammetterle entrambe, senza questa ricerca, per me, è contraddizione. Nel fatto ritenuto da' giurati, e giudicato dalla Corte, l'autore dell'omicidio avea avuto la scusa della provocazione, cioè dichiarava il verdetto che avea agito

(1) 13 Agosto 91. Ricci.

nell'impeto ed immediatamente alla provocazione. Quando dunque, e come il complice l'avrebbe potuto determinare, ed in guisa che la sua opera vincesse in efficacia quella di una diretta e presente?

E la Corte ha dovuto spesso cercare, non senza ambagi e discussioni il vero e legale significato di quello che nel Codice è definito. Chi sono e in che differiscono fra loro gli esecutori ed i cooperatori di cui si dice nell'art. 63? quando la cooperazione è immediata? in che questi esecutori o cooperatori immediati si distinguono da chi presta assistenza ed aiuto durante il fatto, come nel 3o n. dell'art. 64?

Nel trattare della legalità delle quistioni poste al giuri, la Corte ha dovuto occuparsi di queste gravi ricerche, e se è riuscita a stabilirne un concetto giusto, si vede che non lo ha fatto se non co' criterii ei concetti dei Codici aboliti. Dichiarò infatti che ben si può proporre la quistione con l'antica formola se siasi facilitato, aiutato od assistito, come era nel Codice abolito. Come ben disse che la quistione della premeditazione non definita nel Cod. attuale possa proporsi con la stessa formola antica. Di che taluno dubitava, e ne faceva una colpa al Presidente delle Assisie (1).

Altro caso dubbio: in fatto di complicità corrispettiva fu dichiarato che in essa il cooperatore immediato è lo stesso del complice necessario nella complicità ordinaria. Ma nel sistema del Codice il cooperatore non è mai complice, e volendolo ritenere come tale, la necessità del suo concorso

(1) 3 Luglio 91. Gatti.

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