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non si poteva presumere, ma è forza che fosse affermata dai giurati come in ogni caso di complicità ordinaria. E la dubbia giureprudenza di negare la minorante dell'art. 138, cioè della complicità corrispettiva, agli esecutori o cooperatori immediati fu seguita dalla Corte in altre sentenze, ritenendo che la diminuzione di pena da cui la legge esclude il solo cooperatore immediato, si debba negare anche all'esecutore. Tutte perplessità che nascono dal non essere chiara la differenza che pone il Codice fra esecuzione e cooperazione (1).

In altri casi riguardanti la complicità, la Corte, ha bene e rettamente deciso che i complici in uno stupro non godono del beneficio dell'art. 352, cioè che non cessa contro di loro l'esecuzione della sentenza se lo stupratore abbia sposato chi fu oggetto del delitto, ma dopo la condanna (2).

Vista la lettera della legge che nel secondo inciso dell'art. 352, cioè del matrimonio dopo la condanna, fa cessare l'esecuzione senza distinguere fra l'autore e i complici, il principio può parere troppo rigoroso. Ma guardando alla ragione della legge, è cosa pur troppo giusta: quando l'autore del reato può in qualche modo riparare il danno fatto, i complici non han ragione di reclamare per questo suo fatto personale la remissione della loro pena (§ 77).

I complice può esser dichiarato di avere agito con

(1) 25 Marzo 91 Siggiano e 21 Sett. Arfino; 4 Sett. 91 Merola; 11 Genn. 92 Filomeno.

(2) 25 Giugno 91 Luberti.

premeditazione (1). Niuna contraddizione né logica né le gale lo vieta, salvo che la ricerca è più difficile nel caso di complicità corrispettiva. Queste sono poche delle principali quistioni intorno alle complicità risolute della giurisprudenza della Corte Suprema. Chi sa quante saranno le interpretazioni dubbie ed ingiuste che sono passate ne' giudizii, che non furono impugnati da ricorsi.

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Concorso di reato La Corte ha ritenuto in regola che un fatto che aggrava il delitto, non costituisce altro reato; come la malattia comunicata alla vittima di atti di libidine (2).

Interpretando i non molto felicemente espressi art. 78 e 79, chi nel medesimo punto esplodendo più colpi di arma da fuoco uccide e produce mancato omicidio (anche in persone diverse) viola più volte la stessa disposizione penale (3).

Non par quasi credibile, ma in talune Corti di Assise la disposizione dell'art. 79 fu invocata come una scusa, e fu chiesto se ne proponesse il quesito a' giurati, come di una mera ricerca di fatto. Laddove gli art. 78 e 79 regolando la pena hanno una norma pel giudice, che naturalmente non può prescindere da' fatti materiali stabiliti, ma non è obbligato a trarne definizioni legali, che non ne vengono a rigor di logica giudiziaria.

Cosi la Corte, pur ritenendo che una rapina fu accom

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pagnata da omicidio, ben potè ritenere in diritto che questo non è un'aggravante del furto con violenza, ma un reato distinto, secondo l'art. 77. Come bene avea invece altra volta dichiarato che la violenza che fa rapina è quella che ha per scopo di commettere il furto sulla persona, non quella più grave che si consuma contro la persona (1).

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Reati speciali Infanticidio La Cassazione ha riconosciuto che nel sistema del Codice l'infanticidio è un reato sui generis, che ha per elemento essenziale di essere commesso per cagione di salvare l'onore. Quando questo non sia, è un omicidio, come ogni altro (2).

L'interpretazione è giusta, e del fare dell' infanticidio un'aggravante, come era negli antichi Codici, con la scusa della ragion d'onore, o di farne un reato speciale solo quando concorre la scusa, si disputò molto nella formazione de' diversi progetti del Codice. Prevalse infine l'opinione tenuta dalla Corte; la quale allogando l'infanticidio, cui non fu spinta l'onore, fra gli omicidii ordinarii, ne ha tolto una vera e necessaria aggravante di cui tennero conto i Codici antichi, che è l'essere il reato sempre il prodotto della premeditazione, non potendo un essere di cinque giorni, provocare e suscitare l'impeto o porgere altro pretesto alla sua morte; quando è escluso il solo che può esservi, nella offesa che reca alla stima della famiglia la sua nascita illegittima. Al che si aggiunge la

(1) 15 Luglio- Chiaiese.

(2) 13 Ottobre 1891 Pugliesi.

facilità di consumare il reato, la difficoltà di scovrirlo, considerazioni che dovrebbero far sempre accrescere la pena (§ 297).

In fatto di maltrattamenti in famiglia, che come sono definiti, nel Codice all'art. 391, si stenta a distinguere dalle ferite o percosse, o da atti di semplice correzione, la Corte ha posto in chiaro che questi debbano ad ogni modo costituire una serie di atti, che confermino l'abitudine, la quale per se stessa costituisce il delitto (1).

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Questo

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni reato, difficile a diffinire, ma il cui concetto è semplice, cioè l'usurpare la potestà del giudice, e risolvere una controversia con l'opera del privato, secondo gli antichi Codici, poteasi commettere con violenza o senza alla persona; la violenza adoperata verso le cose restringevano a pochi fatti tassativi e più gravi, i quali di più includevano implicitamente la violenza personale. Demolire fabbricati deviare acque, abbattere alberi, siepi, ripari, quasi non si può, senza offesa anche della persona a cui appartengono. Come si sa nel sistema del Codice nuovo, categorie enumerazioni speciali, definizioni sonosi ritenute cose da fuggire. Cosi si è scritta nell'art. 235 la frase generica, più comprensiva, ma non più chiara, di violenza sulle cose.

Ed ecco la Corte ha ritenuto che violenza sia qualunque via di fatto sulle cose, sicchè ritenne applicabile l'art. 235 ad un tale che non avea commesso altra vio

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lenza ad un albero, che di averne raccolto i frutti, già

maturi (1).

A questa guisa, chi trovato un asino che pretende, esser suo, se lo tira dietro per la cavezza, commette una violenza, cioè una via di fatto, contro l'animale, che occorrendo, nella sua lealtà asinina, confesserebbe di non essersi accorto di essere stato vittima di alcuna violenza ne grave ne lieve.

Trovare dunque un caso di violenza alle cose, e trovarla in qualunque forma dell'esercizio del preteso diritto, può dar luogo a questi equivoci, che prima non erano possibili (§ 248).

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Pubblico ufficiale Avean ragione i compilatori del Codice di tenere per pericolose in dritto le definizioni, a segno dal cassare quella, p. e. della premeditazione donde tante sentenze ed opinioni contrarie nel caso di proporne i quisito ai giurati, (§ 240) perchè una volta che ha voluto diffinire chi sia da reputare, per legge, pubblico ufficiale, lo han fatto in guisa cosi larga e comprensiva, che quasi riesce difficile trovare chi non può dirsi tale. Tutti i rivestiti di funzioni pubbliche, siano permanenti, siano temporanee, stipendiate o gratuite, a servizio dello Stato, delle Provincie e de' Comuni, o di un Istituto sottoposto per legge alla tutela dello Stato, Provincia o Comune, i notai, gli agenti della forza pubblica, gli uscieri, oltre i giurati, testimonii ed altri che vi si equiparano, sono pubblici ufficiali, e per questa loro

(1) 23 Novembre 1891 Gasbarro, e nello stesso giorno in causa Bernolei, ricorrente in ambedue il P. M.

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