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Pubblicato il Codice Penale italiano, dopo un quarto di secolo di lavoro, ch' era riuscito a farne sei Progetti, senza che alcuno sembrasse perfetto e maturo, si sollevarono, com'è naturale, molti dubbii, e si fecero lunghe e vivaci discussioni per sapere se quel lavoro sterminato avesse poi prodotto, se non tutta, che è quasi impossibile, almeno una perfezione maggiore a fronte de' quattro Codici penali che fin allora aveano regolato la penalità. Queste quattro legislazioni veramente eran due, il Codice Sardo, con qualche modifica avuta in Napoli ed il Codice Toscano, e tutto lo sforzo pareva rivolto solo ad unificarli nelle non gravi ed essenziali differenze che potevano esserci. Ma in Italia, unificare ha spesso, o quasi sempre, senso di distruggere quel che ci è, per riedificare il nuovo, che appunto in quanto è nuovo e solo perchè tale, si presume esser l'ottimo. Il nuovo Codice, se non sempre nella essenza, specialmente in quanto al metodo della redazione ed allo stesso linguaggio legale in uso

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e presso noi e presso le legislazioni di tutto il mondo civile, da tempo immemorabile, si volle fosse quanto più era possibile, diverso dall' antico. Il che in un libro che per forza si dee interpretare da molti, e per ora da tutti quelli educati al metodo ed al vocabolario ricevuto non fu poco e poco pericoloso mutamento. (§ 46, 47) (1).

Per questo si è giunto all'ottimo? Lasciando da parte i quasi infiniti appunti che si sono fatti dalla dottrina, meglio è guardare all'attuazione prattica che il Codice ha avuto, in quasi tre anni, alle quistioni che ha fatto nascere nella giureprudenza, a quello in che veramente ha riformato in meglio gli antichi Codici; e, se ne riesce qualche serio inconveniente di possibilità di errore, che sia stato già notato ed abbia prodotto i suoi perniciosi effetti nella realtà delle cose, si può meglio vedere che ci è di vero ne' lamenti che si fanno e nel richiedere che in talune parti sia il Codice riformato.

Or questo non si può fare in modo più sicuro che riscontrando la giureprudenza della Corte di Cassazione che appunto per procedere più autorevolmente, fu creata unica, in tutta Italia.

Veramente con esaminare la giureprudenza, non si riesce a dar giudizio di tutta la parte generale e sistematica introdotta nel nuovo in difformità degli antichi codici; p. e. se si è fatto opera utile, e sopratutto civilmente morale a dare un solo nome a tutti i reati, ed

(1) I § chiusi fra parentesi si riferiscono a quelli del mio libro, Principii del Diritto penale applicati al Codice Italiano.

un solo alla pena, se nel misurare la durata di questa, abbandonato il sistema dei gradi de' codici antichi, non si sia creato un problema complesso di aritmetica per ogni caso o di pena unica applicata o di concorso con altre, per ogni computo di aggravamento o di attenuante della pena ordinaria; se non siasi indebolito e reso contennendo il rigore della pena, con lo stabilire, a priori e per regola generale, che a un certo punto dell' espiazione essa sotto certe condizioni, abbia a cessare per un buon terzo della sua durata, art. 14, 16 C. P. e se questo invilimento della pena non pure ha accresciuto i delitti, ma li ha resi un fatto quasi ordinario della vita, commettendosi per le più lievi cagioni, e per istinto di malvagita spontanea, alla luce del sole, in mezzo a strade popolose e verso chiunque, senza nessuna preoccupazione degli agenti del potere, anzi andandovi incontro.

E la pena di morte (dimanda che va fatta sotto voce) si è scelto bene il tempo di abolirla, anche com'era solo nominalmente, appunto quando la società intera è minacciata da sterminio e distruzione da chi assume pubblicamente il nome di anarchico, cioè di nemico di qualunque siasi forma di governo, ed uccide e minaccia e fa stragi, con le bombe, con gl'incendii e simili?

Anche senza chiederlo alle statistiche penali ognuno sa facilmente, se i reati puniti altra volta di morte, dopo l'abolizione di questa, siano diventati più frequenti, o più rari, come si diceva dovesse avvenire pe' costumi fatti più miti appunto dall' aver tolto da' giudizii lo spettacolo di una pena sanguinosa e barbara.

Ma queste o simili discussioni sulle idee e i criterii

fondamentali vanno lasciate alla dialettica della dottrina, del buon senso sociale, e basta accennarle a chi può porvi rimedio.

La giureprudenza va esaminata nell'interpretazione delle teoriche generali del Codice, come sopratutto in quella sull'imputabilità, la complicità, le scusanti, il modo come funziona il sistema penale nell' applicazione concreta della pena, nel cumulo di più pene, nella facilità di misurarle nel crescere, come dello scemarle, secondo i criterii e le nuove norme in esso stabilite. Ed infine in qualche caso più grave, intorno all'essenza e la definizione di ciascun delitto in particolare.

Questa parte di applicazione concreta ed in cui la teorica s' incarna con la realtà delle cose, può dare concetti più sicuri e sulla giustezza della interpretazione, e laddove questa fosse riuscita perplessa o dubbia, sul testo del Codice, che vi porge addentellato,

Imputabilità. -Sono notissimi gli errori e gli scandali giudiziarii del giuri per rispetto alle due fonti d' inimputabilità, cioè l'errore ed il costringimento.

In quanto al primo, le formule degli antichi codici che disegnavano chiaramente l'imbecillità assoluta, la pazzia, il morboso furore, furono sostituite nel Codice sardo dalle vaghe e generali espressioni di privazione o vizio di mente, derivanti da qualunque causa. Fu tolto cosi alle cagioni d' inimputabilità il carattere d'infermità, di anormalità al tutto fisiologica, che si impone all' animo dell'agente; e la privazione di mente od il vizio derivante. da qualunque causa, si ritenne facilmente che potessero

derivare da modificazioni anche al tutto subbiettive. La legge non intendeva questo; ma lo dicevano bene i giudicabili e facilmente ne furon persuasi i giurati. Quindi la gelosia, l'amore, la libidine, l'odio, il dispetto entrati e riconosciuti come legittimi efficienti da produrre l' inimputabilità, si trovarono non mancare quasi in nessun caso, salvo nel solo improbabile di un reato senza causa alcuna.

Il nuovo Codice è tornato nettamente al principio vero delle cause fisiologiche perchè vuole l'infermità della mente. Forse andava meglio detto, come nel primo Progetto dell' istesso ministro Zanardelli, deficienza o morbosa alterazione di mente, perchè in modo più chiaro poneva un concetto diverso dalla gelosia, dall' invidia e da tutte le altre cagioni che non tolgono la scelta, e quindi non producono inimputabilità, nè in tutto nè in parte.

Cosi a chi ferisce od uccide una donzella, perchè gli avea promesso di sposarlo, e poi si era ritratta, per la buona ragione che suo padre si è opposto al matrimonio, visti i pessimi costumi del futuro sposo, la Corte di Assisie può ben negare di essere il caso di proporre ai giurati la quistione dell' infermità della mente, perchè la sua non è ammalata di altro che di cupidità e di sdegno irragionevole ed inescusabile, proprio di lui, e che non sta con le cause che sempre e tutti fanno cadere nel reato; com'è la infermità fisiologica, che la legge riconosce quale unica causa di giustificazione.

E questo va detto anche per l'altro capo d' inimputabilità, per costringimento, che fu fonte di altri più numerosi, più assurdi ed ingiusti verdetti.

Non vi è reato quando l'imputato vi fu tratto da una

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