sa». 12. al mio p. Riprende umilmente' tone in un son. rimproverando Amore, « Che come vinto e prigione. - 13-14. Soggetto di non fier' quella che contra te pone Suo li fu onore sono questi due ult. vv. Guit- senno e suo talento e te guerria? >>> Cfr. il son. 1 di Buonaccorso da Montemagno. Gran dire fan certi commentatori su questo giorno dell' innamoramento: cfr. una lettera di L. A. Ridolfi nella stampa rovilliana del 1574 e il T nelle osservaz. a q. son. Ecco la questione compendiata dal S: « Altrove dice il p. d'essersi innamorato il di 6 d'aprile 1327. Or questo giorno cadde quell'anno in lunedí; e la morte del Salvatore sappiamo in cambio che avvenne in giorno di venerdi. Il T però concilia quest' apparente contraddizione dicendo, che in quest'anno la quintadecima luna di marzo in cui mori il Salvatore fu appunto a' 6 d'aprile, e che a questa il p. volle alludere non at giorno della settimana ». Cfr. ancora G. J. Ferrazzi, Manuale dantesco, v 701. IV Patria dell'amata. Ella ha onorato al mondo il suo luogo natale di per sé umile: e che vi nascesse fu provvidenza di Dio, il quale anche in ciò volle dar segno come gli piaccia di esaltar l'umiltà. Ci sono intorno a q. son. un ragionamento di Ant. M. Amadi (Padova, Percacino, 1563), altro di Giov. Colle nell'Accademia Bellunese (Venezia, Deuchino, 1611), dieci lez. di Bened. Averani nell'Accad. della Crusca (Ravenna, Landi, 1707) e una lez. accadem. di Bart. Sorio (Riv. ginnas. Milano, 1855, р. 184). L' Alfieri nota i vv. 1-2, 9-14. 4 8 Quel ch' infinita providenza et arte 1-2. Non è mera amplificaz. della parola Dio, ma dichiaraz, della sapienza del creatore nel comporre a regolata varietà le cose, a seconda de' suoi altissimi fini. Di qua l'esempio dell'umile Palestina antepo Cic. Somn. Scip. 10 «Est hominum generi prosperus et salutaris ille fulgor qui dicitur Jovis, tum rutilus horribilisque terris quem Martem dicitis». Dei cinque pianeti, per quello che Tolomeo ne scrive, Giove sta alla metropoli dell' universo e dei po-e Venere sono benigni e felici, Saturno e veri pescatori prescelti a bandire il vangelo, Marte crudeli. e feri, Mercurio tale quale e da ultimo la conchiusione della nascita di egli si trova accompagnato (G). Laura in un picciol borgo anziché in più con-avverare colla luce dell'evidenza le prospicua città (C). - 2. magistero. Opera della fezie contenute nelle carte del vecchio tecreazione (L). L'arte è nella mente, il ma-stamento. 6. Non potevasi che dopo la gistero nel fatto. - 3. Prova dell' arte (CV), venuta di G. C. intendere pienamente i micriò: cred: come Dio da Deo, io da co. Fu'stici sensi dei profeti dell' antico patto (Cr). anche della prosa, e vive in qualche dialetto toscano. - 4. Prova della provvidenza (Cv). Per le diverse qualità de due pianeti intende tutta la varietà del mondo (G'). 5. Ad 8. 11 Salvatore a Pietro nella lavanda (Joan. XIII 8) « Si non lavero te, non habebis partem mecum ». - 9-11. 11 p., Famil. It 2 <<< «Quis Quis enim non advertat quantum magi Pure intorno al picciol borgo hanno molto discusso gli eruditi. Chi volle, men rettamente a giudizio nostro, riconoscerlo in Avignone o in qualche sobborgo di tal città: altri posero in campo varie borgate: ultimamente F. Flamini (Giorn. stor. della lett. ital. xxi 353 e segg., Torino, 1893) ha messa fuori l'opinione che sia da credersi al poeta quattrocentista napolitano F. Galeota il quale dice che Laura fu di Caumont: «Vignon, CoMONTO là dov' ella nacque, Rodano e Sorga ancor vid' io passando, E dove scrisse e dove arse cantando Il mio maestro quanto a Laura piacque ». V Nome dell'amata Laureta (Loretta), che poi per dignità poetica dirà Laura. Dal suono delle sillabe divise trae argomento di lode. L'Alfieri nota i vv. 1-2, 7-8. 2. Non è reïterazione ma dichiarazione, | aver regia cuna: come altrove « Alma real potendosi chiamare alcuno senza nomarlo dignissima d'impero » (Cr). Dante Purg. xxx (T). 70 < Regalmente nell'atto ancor proterva [Beatrice] >>. encontro. Il P. amava, forse per un ricordo della pronunzia provenzale, di usare queste forme con en o em iniziale, da un etimologico in. poi. Nella seconda sillaba. - 6. impresa: di lodarvi (L). -7-8. Ма l'ultima sillaba, cioè ta, grida taci, perciocché a lodarla si ricercano ben altre forze che non sono le tue (L). - 12-4. Apollo si sdegna che una lingua mortale presuntuosa 14 Ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami venga a parlare del lauro (che è la pianta coluisti. Quam ob causam tantopere sive caesaream sive poeticam lauream, quod illa hoc nomine vocaretur, adamasti; ex eoque tempore sine lauri mentione vix ullum tibi carmen effluxit: non aliter quam si vel Penei gurgitis accola vel Cyrrhei verticis sacerdos existeres ». Fu de' primi che facesse il p., essendo solito degli amanti che poeteggiano e de' poeti che amoreggiano il fantasticare di primo slancio sopra i significati del nome dell'amata; invenzione però che gli antichi non la prezzarono molto, non ostante che alcuni di loro, come Marziale ed Ausonio, ne lasciassero qualche esempio (T). Sul costume di dire in versi il nome della donna amata, cfr. F. D'Ovidio, Madonna Laura (Nuova Antol., vol. XVI, 16 luglio e 1o agosto 1888). Pierre Milon «En amor trob pietat gran, E'l ditz un pauc en sospiran, Car la prima lettra d'Amor Apellon A, e nota plor, E las autras qu'apres van M, O, R, et en contan Ajestas las e diran mor. Donc qui ben ama plangen mor». Pur oggi trova egregi sostenitori l'ipotesi del des che la donna cantata dal P. fosse Laura Noves moglie ad Ugo de Sade. VI Ardenza della sua passione ed onestà di Laura. 4 . 8 11 Sí travïato è 'l folle mi' disio L'Alfieri nota i vv. 1-11. A seguitar costei che 'n fuga è volta Che, quanto richiamando piú l'envio 1. travïato. Il folle desiderio traeva il p. | la della ragione è restio, né per qualsivoglia a seguitare Laura mentre la ragione dicevagli che dovesse fuggirla come ella fuggiva lui. -3-4. Il p. impacciato da amore su cammino vizioso e combattuto dalla ragione faceva un correr lento rispetto a Laura che volava nella via delle virtú e sciolta da amore. leggiera. In senso quasi di libera. Ènuovo e da notare. - 5. Che ec. Spiega come e quanto sia traviato il desio. envío: invio: cfr. v 5.-6. sec. str. Della ragione. 7. dargli v. Trarlo colla briglia per voltarlo indietro (L). Assomiglia il p. l'appetito suo ad un cavallo, che abbia due vizi contrari, sboccato e restio, dicendo, che per la via della concupiscenza è sboccato e senza curar di freno vassene a briglia sciolta, ma per quel industria può fare che si ritragga della seguita traccia e che ad essa si pieghi; mercé però d'amore, spirito che a chi l'ha in corpo tali effetti di sua natura cagiona. Odi l'istessa comparaz. del cavallo sboccato in Ovid. [am. II 9] « Ut rapit in praeceps dominum, spumantia frustra Froena retentantem, durior oris equus» (T). Platone [nel Fedro] disse, l'animo umano esser simile ad un carro tirato da due cavalli, un bianco e un nero, e in sul carro pone il rettor di quello: per lo bianco cavallo intese il raziocinio, per lo nero lo irrazionale appetito, per lo rettore la mente (V). E cfr. Dante, Conv. Iv 27. - 9. a sé racc. Tira a sé pigliandolo co' denti (Ai). 12-4. Entra in una nuova allegoria. Il desio lo trasporta a vederstando. Gustandosi, essendo gustato. Ha forLaura dalla quale altro non avendo se non disdegno, se ne torna con doppia amarezza nel cuore (Bgl), Il lauro non dà frutti dolci ma bacche amare onde, a chi ne gusti, s'inaspra il dolore anzi che si allievi. Gu-cantando rumpitur anguis ». za passiva. Purg. XIII 3 «Lo monte che salendo altrui dismala». Decam. nov. v 7 « Essendo da'famigliari menato alle forche sputando ». Anche in latino, Virg., ecl. VIII VII Conforta un amico a perseverare negli studi delle lettere e della filosofia. Ci sono su questo son. due lezioni fatte all'Accad. fiorent., l'una dal Varchi, 15 apr. 1543 (Pr. fior. Lez. vol. II), l'altra da Ann. Rinuccini (Firenze, Torrentino, 1561); una lettura di F. Patrizio (La città felice e altri opusc., Venezia, Grifio, 1553), un discorso di A. Porri (Venezia, Nicolucci, 1596), una lez. di L. Giacomini (Opusc. ined. di autori tosc., Firenze, 1837, vol. I), un commento del Menagio (Mescolanze, Venezia, Pasquali, 1736) e una lez. di Bart. Sorio (Riv. ginn., a. 11, Milano, 1855, p. 313). - L'Alfieri lo nota tutto. 1. Questo luogo si conosce chiaramente esser cavato di Livio, il qual dice dei soldati d'Annibale a Capua, dopo la rotta di Canne, dec. III, lib. III « ... il sonno, il vino e le vivande delicate, e le meretrici, e l'ozio che per la consuetudine ogni dí piú dilettava, in tal modo avevano indebolito e fatto effeminati i corpi e gli animi, che da quel tempo innanzi si difenderon con la riputazione delle già acquistate vittorie molto piú che con la presente virtú e forze >> (Gir). Il p. altrove, epi. II 11 « Ventris amor studiumque gulae somnusque quiesque Esse solet potior sacrae quam cura poesis». Cfr. Inf. ΧΧΙV 47. - 3-4. Perché, dovendo gli uomini, come razionali, vivere secondo la ragione e le virtú, noi per lo contrario, tratti dall'uso e dall'essere cosí allevati, viviamo secondo il senso e le passioni (Var). Nostra natura è quasi smarrita, è quasi uscita dal suo corso, per esser vinta dall'usanza. Pone Platone nel Protagora, che naturalmente l'uomo non è inclinato al male ma al bene. (dC). Altrove, al n. xxvIII 111 « Né natura può star contra 'l costume». Inf. XI 99 « natura lo suo corso prende Dal divino intelletto». 5-6. Par da intendere col Var e T, che il p. tenga qui l'opinione degli astrologi, che le nostre inclinazioni e costumi dipendano dagl' influssi celesti. Cfr. IV 4 e cxxVIII Iinta dall'abitudine ta 52, anche Purg. XVI 58 e segg. Quanto agli studi, era sentenza che « Saturnus ratiocinandi artem, Sol sciendi opinandique naturam, Mercurius interpretandi et pronuntiandi vim praebet ». (Cfr. Dante, Conv. II 14). Alcuni, come il Cv. e il Menagio, intendono ben. lume per cotali scintille d'amore al buono e al vero di cui parla Cicer., Tuscul. III 1, che natura diede all' uomo, « quos [igniculos] celeriter malis moribus opinionibusque depravatis sic restinguimus, ut nusquam naturae lumen appareat: altri intendono la ragione l'intelletto o l'ingegno: il dv, la filosofia. 6. s'informa: prende forma e qualità, si regge e governa (Var). - 7. per: come. Purg. xiv 37 « Virtú cosí per nimica si fuga Da tutti ». Chi poetando faccia scorrere bei fiumi di parole (Bgl). Ha messo il p. due difficoltà di quel secolo circa la poesia e le belle lettere: l'una che procedea dal costume degli uomini inveterati nell' ozio, e l'altra dagl'ingegni atti a quegli studii, che allora parevano denegati dal cielo: sicché stillando a goccia a goccia in quel tempo il fonte delle Muse e ritrovandosi a fatica chỉ un epigramma sapesse comporre, veder sorgere un ingegno a cui desse Panimo di derivarne un fiume, cioè di comporre un poema, per cosa mirabile s' additava (T). Il Caro, in 8. 11 14 Qual vaghezza di lauro? qual di mirto? una let. a Tomm. Machiavelli degli 11 mag-❘ non è facile la spiegazione. Se il verso è in La persona cui il Petrarca si volge, probabilmente rispondendo per le rime a un sonetto, è ancora ignota: che non sia il Boccaccio, come molti degli antichi commentatori ammisero, fu già dimostrato nel Saggio p. 3-4, ove si mise anche da parte Giustina Levi-Perotti da Sassoferrato, di cui si avrebbe un sonetto di proposta a questo, ma è falsificazione del sec. XVI. Secondo G. Salvo Cozzo (Cultura, a. 1888, n. 15-16), l'amico sarebbe Tommaso Caleria da Messina, già nel cinquecento additato da Giulio Camillo Delminio e che fu amico del Petrarca e da lui lodato in latino per gli studi suoi: ipotesi che può parere più probabile. VIII Ne fece una S' introducono a parlare certi uccelli presi dal p. nel vicinato di Laura e mandati a regalare ad un amico. - Forse erano colombi; dappoiché nell'ecl. vIII il P. (Amicla) si fa dire « niveas laqueis viscoque columbas Gaudebas damasque plagis tentare fugaces ». esposizione Lod. Dolce (Dialogo sui colori, Venezia, Giolito, 1557) ed una lez. accadem. Bart. Sorio (Riv. ginnas., a. 11, Milano, 1855, p. 476). L'Alfieri nota i vv. 1-4, 6, 11. 1-8. Noi passavamo liberi e in pace per questa vita caduca che ogni animale desidera, senza timore d' insidie né di sciagure, appiè dei colli ove prese la bella vesta delle membra terrene, cioè dove nacque, colei che spesso desta dal sonno quello che ci manda a te in dono, cioè il p., e lo desta addolorato e piangente (L). - 1. la b. vesta: il bel corpo. Purg. 1 71, della morte di Catone, lasciasti La vesta ch' al gran di sarà si chiara». Il dC avverte che è detto secondo le dottrine platoniche le quali pone vano l'anima vestirsi del corpo quando si 1 ! |