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za del monte e salita nel Purgatorio s' alleg giava per le scalee ec. Nel 1266 Messer Monfiorito da Codertu fu podesta di Firenze, e per molte c manifeste baratterie che commise, fudeposto dalla signoria, e preso, e confessoe fra l'altre cose d'aver scritto il detto Mess. Niccola d'alcuno che dovea essere condannato; il quale Messer Niccola eru allora nel priorato, e il quale, di consentimento del detto Mess. Baldo, sotto pretesto di ve dere il processo fatto contro a detto Mess. Monfiorito, mandò per lo Libro alla Camera, e

trassene

fuori segretamente il foglio dove si toccava la detta materia, della qual cosa al tempo del presente priorato per solenne e segreta inquisizione indi fatta, furono condannati.( An.)

Essendo un Ser Durante de' Chermontesi dogniere e Camarlingo della Camera del Sale del Comune di Firenze, trasse il detto Ser Durante una doga dello stajo, a applicando a se tutto il sale, o pecunia, che di detto avanzamento perveniva. ( Id.)

CANTO XIII.

ARGOMENTO.

Giunto Dante sopra il secondo balzo, ove si purga il peccato della Invidia, trova alcune anime vestite di cilicio, le quali avevano cuciti gli occhi da un filo di ferro; e vide tra quelle Sapía donna Sanese.

Noi

oi eravamo al somino della scala, Ove secondamente si risega

Lo monte, che salendo altrui dismala. Ivi così una cornice lega

D' intorno'l poggio, come la primaja,
Se non che l'arco suo più tosto piega.
Ombra non gli è, nè segno, che si paja:
Par sì la ripa, e par sì la via schietta,
Col livido color della petraja,

Se qui, per dimandar, gente s'aspetla,
Ragionava il Poeta, i' temo forse,
Che troppo avrà d'indugio nostra eletta.
Poi fisamente al sole gli occhi porse :
Fece del destro lato al muover centro,
E la sinistra parte di se torse.

O dolce lume, a cui fidanza i' entro
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci
Dicea, come condur si vuol quinc' entro.
Tu scaldi 'l mondo: tu sovr' esso luci:
S'altra cagione in contrario non pronta,

Esser den sempre li tuo' raggi duci.
Quanto di qua per un migliajo si conta,
Tanto di la eravam noi già iti
Con poco tempo, per la voglia pronta :
E verso noi volar furon sentiti,
Non però visti spiriti, parlando
Alla mensa d' amor cortesi inviti.
La prima voce, che passò volando,
Vinum non habent, altamente disse,
E dietro a noi l' andò reiterando.
E prima che del tutto non s'udisse,
Per allungarsi, un' altra: I' sono Oreste,
Passò gridando, ed anche non s'affisse.
O, diss' io, padre, che voci son queste?
E com' io dimandai, ecco la terza,
Dicendo: Amate, da cui male aveste.
Lo buon maestro: Questo cinghio sferza
La colpa della 'nvidia, e però sono
Tratte da amor le corde della ferza,
Lo fren vuol' esser del contrario suono!
Credo che l'udirai, per mio avviso,
Prima, che giunghi al passo del perdono,.
Ma ficca gli occhi per l'aer ben fiso,
E vedrai gente innanzi a noi sedersi,
E ciascun è lungo la grotta assiso.
Allora più che prima gli occhi apersi ;
Guardámi innanzi, e vidi ombre con manti
Al color della pietra non diversi.

E poi che fummo un poco più avanti,
Udi' gridar: Maria, ora per noi;

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Gridar, Michele, e Pietro, e tutti i Santi. Non credo, che per terra vada ancoi Uomo si duro, che non fosse punto Per compassion di quel, ch' i' vidi poi: Che quando fu' si presso di lor giunto, Che gli atti loro a me venivan certi Per gli occhi fui di grave dolor muate.

Di vil ciliccio mi parean coperti,
E l'un sofferia l'altro con la spalla,
E tutti dalla ripa eran sofferti.
Così li ciechi, a cui la roba falla,
Stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
E l'uno 'l capo sovra l'altro avvalla.
Perchè in altrui pietà tosto si pogna,
Non pur per lo sonar delle parole,
Ma per la vista, che non meno agogna:
E come agli orbi non approda 'l Sole,
Cosi all' ombre, dov' io parlava ora,
Luce del Ciel di se largir non vuole :
Ch'a tulte un fil di ferro il ciglio fora,
E cuce, si com'a sparvier selvaggio
Si fa, però che queto non dimora,
A me pareva andando fare oltraggio,
Vedendo altrui, non essendo veduto;
Perch'i' mi volsi al mio consiglio saggio,
Ben sapev'ei, che volea dir lo muto :
E però non attese mia dimanda :
Ma disse: Parla, e sii breve e arguto.
Virgilio mi venía da quella banda
Della cornice, onde cader si puote,
Perchè da nulla sponda s' inghirlanda :
Dall'altra parte m' eran le devote
Ombre, che per l'orribile costura
Premevan sì, che bagnavan le gote.
Volsimi a loro, ed: O gente sicura,
Incominciai, di veder l'alto lume,
Che'l disio vostro solo ha in sua cura :
Se tosto grazia risolva le schiume

Di vostra coscienzia sì che chiaro
Per essa scenda della mente il fiume,
Ditemi (che mi fia grazioso e caro)
S'anima è qui tra voì, che sia Latina :
E forse a lei sara buon, s'i'l'apparo.
O frate mio, ciascuna è cittadina

D'una vera città: ma tu vuoi dire, Che vivesse in Italia peregrina. Questo mi parve per risposta udire

Più innanzi alquanto, che la dov' io stava :
Ond' io mi feci ancor più là sentire.
Tra l'altre vidi un' ombra, ch'aspettava
In vista; e se volesse alcun dir: come:
Lo mento a guisa d'orbo in su levava.
Spirto, diss' io, che per salir ti dome,
Se tu seʼquelli, che mi rispondesti
Fammiti conto o per luogo, o per nome.
I' fui Senese, rispose, e con que‡si
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimando a colui, che sè ne presti.
Savia non fui, avvegna che Sapía
Fossi chiamala, e fu' degli altrui danni
Più lieta assai, che di ventura mia.
E perchè tu non credi, ch'i' t' inganni,
Odi se fui, com'i'ti dico, folle.
Già discendendo l'arco de' mie' anni,
Erano i cittadin miei presso a Colle
In campo giunti co' loro avversari :
Ed io pregava Dio di quel, che e' volle.
Rotti fur quivi, e volti negli amari
Passi di fuga, e veggendo la caccia,
Letizia presi ad ogni altra dispari,
Tanto, ch'i' leva 'n su l'ardita faccia,
Gridando a Dio: Omai più non ti temo
Come fa 'l merlo per poca bonaccia.
Pace volli con Dio in su lo stremo

Della mia vita: e ancor non sarebbe
Lo mio dover per penitenzia scemo
Se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe
Pier Pettinagno in sue sante orazioni,
A cui di me per caritate increbbe.
Ma u chi se' che nostre condizioni

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Vai dimandandò, e porti gli occhi sciolti,

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