apparisce che il Muratori non ha inteso affatto il sentimento di questi versi, siccome m'accingo a dimostrare ai meno accorti. E in prima dico e affermo che, se il Petrarca, in luogo di quello che detto ha, avesse posto la semplice voce Dio, egli avrebbe fatto due gravissimi errori il primo si è che nulla detto avrebbe, appetto a quello che dice, perciocchè travalicando il pensiera di chi legge dalla voce Dio alle seguenti idee collegate, non si poteva in su la prima riposar tanto ch'avesse spazio d'aggrandir l'idea di quel vocabolo quanto alla magnificenza del rimanente si conviene. Il secondo crrore sarebbe stato che, non essendo per cosi alto e magnifico ingresso la mente del lettore sublimata, vano sarebbe riuscito l'intento suo di colpir di maraviglia chi legge pel confronto degli opposti si lontani. O quanti studi e vigilie s'hanno a consumare in un poeta prima che possa comprendere la mente, e ritrarre il sermone di chi l'ode, gli altissimi intelletti sotto il velo delle parole ricoperti! Oh! se lo sapessero coloro che di tutti e di tutto parlano con tanta scurrilità.. Ma torniamo al nostro principale proposito, cioè a dimostrare che il Muratori non ha pur traveduto il sentimento di questi versi. Dico adunque che nella parola Quel ch'infinita provvidenza ed arte Mostrò nel suo mirabil magistero, è stato intendimento del Poeta di farne, benchè di volo, considerare che quanto per mente o per occhio si gira fu opera del sovrano architetto, che sua infinita provvidenza mosse e regolò il tutto. e che splende in ogni parte impresso il suo valore. Di queste amplificazioni della parola Dio, che paiono al Muratori fatte ad empiere, se ne trovano, la Dio mercè, senza novero in Dante: Quell'uno e due e tre che sempre vive Non circonscritto e tutto circonscrive; e tanti altri. Il sentimento che chiude il Poeta ne' due seguenti versi, non meno sublime e profondo del precedente, è degno di quell'alto intelletto ond'egli emerse, voglio dire il Petrarca; poiche, dopo aver tocco il generale, discende a quei particolari, i quali rincalzan do la prima idea, raddoppiano l'attenzione della mente, e l'aggirano nell' infinito, dove tutte le parti del gran volume della creazione aperte gli sono dinanzi . Dico che scende ora il Poeta a dichiararne, che l'infinito valore produsse non solo l'unità, e quell'ordine dell'universo che lo fa al creatore stesso simigliante, ma le parti tutte dell'universo medesimo. e di queste le diverse sorti, le proprietà, le differenze di ciascheduna, dall'aggregamento delle quali l'universal forma si compone di questo nodo, che porta in sè effigiato l'aspetto del creatore. Ora vedi da te e per te, se il Muratori ha inteso questo luogo, e che caso s'ha a fare di quello ch'ei scrive del Poeta, o lusinghi, o strazj; e s'io non avrei ben dello scimunito, se non sarebbe proprio un non saper che farsi della vita, a volerla spendere dietro a così fatte melensaggini. Queste cose le ha scritte il Muratori per modo di ricreazione, a sfumare la fatica e la noia degli altri suoi gravi studi; e giurerei che ho speso più tempo io ad intendere due canzoni del Petrarca, che il Muratori non ha fatto trascorrendo il tutto dall'un capo all'altro. Così ha fatto forse il Tassoni; ma l'autorità di tanto uomo avendo luogo di ragione nella vulgare schiera dei dotti, e negli imparanti massime, forza è che il vero si faccia manifesto, e insieme il suo contrario, affinchè l'intento di chi studia il Poeta non sia in parte scemo d'effetto, che goda il lettore i dolci frutti della sua fatica, e, fugate le poche nuvolette che il suo bello aspetto n'adombrano, rimanga il secondo astro dell'italico cielo dell'intera sua bellezza e lume in eterno sfavillante. Se, cammin facendo, venissi qua o là ad abbattermi nel Muratori, non SI dica ch'io rompa però il mio proponimento, se, non potendo dare addietro, a voler passare oltre, gli do di cozzo, e vo via. Q. 2. Venendo in terra; vestito di nostra umanità, questo creatore e sovrano dell'universo. A illuminar le carte, a interpretare i sensi delle sacre carte sotto il velo delle profetiche note celati. Tolse Giovanni, ec.; non fece suoi seguaci i re, i principi della terra, ma quattro straccioni pescatori, com'era Giovanni e Pietro. Fece lor parte; diede loro una parte; gli fece partecipi della celeste gloria. -- T. 1. Alf. n. —Di sè... a Roma non fe' grazia, ec.; forma del dire gentile affatto; vale non fece a Roma, capo del mondo, la grazia di nascere nel suo seno, ma si fece a Giudea. Stato, condizione. Dispiace al Tassoni questa comparazione tra Roma, donna deł mondo, e Giudea, provincia a lei suggetta. Vorrebbe che il Petrarca avesse detto che, siccome non scelse Dio per luogo di sua nascita Roma, ma Bettelem, cosi a far nascere questo sole di bellezza non ha scelto Parigi, ma Cabrieres, picciol borgo nell'Avignonese. Puoi rispondere che tra Roma e Giudea, allora serva, l'opposizione era appunto quella degli estremi, e pel resto, che il Petrarca si volle esprimere da quel poeta che egli era, e non altrimenti. T. 2. Alf. n. salvo ed or di picciol borgo. Tale si è il procedere della divina mente, pervenendo per mezzi vili alle più alte imprese. Un sol. Dante, Paradiso x1, di san Francesco d'Assisi : Di quella costa, là dov'ella frange Più sua rattezza, nacque al mondo un sole. Tal; un sole tale. Natura; l'umana natura, che è l'artefice d'ogni bellezza nella sua materia. Onde; riferisce i due nomi anzi detti, e in diversi riguardi, significando per la quale natura, e nel qual luogo; arditezza di costruzione da non imitarsi da chi è da meno del Petrarca, e pari suoi. SONETTO V. Q. 1. Alf. n. i due primi versi. Quand' io movo, cc.; mostra che non può profferire il nome della sua donna, che non sospiri. Che nel cor ec., dov'è scritto più saldo che in marmo, Laudando ec. Ordina: il suono dei primi dolci accenti suoi incomincia udirsi di fuori dalle labbra laudando. Vuol dire che il primo suono di quelli che quel nome compongono, ch'è la prima sillaba, esce fuori laudando; e però quel primo suono ci avverte che voi siete da lodare. Il Tassoni che biasima questo poetico scherzo, e pur non è tale che si possa dire indegno del Petrarca, non ne ha capito il costrutto, e però dice che loda, e non lodando gli pare che fosse da dire che cominciava ad udirsi nella La se prima sillaba del nome di Lauretta, come disse dell'ul tima, che taci, e non tacendo, sigr.ificava. Ma andando stretto al costrutto di sopra, ogni fanciullo s'accorge dell'errore a che mena il critico la sua cieca volontà. Q. 2. Alf. n. che farle onore, col v. seg. conda sillaba di quel nome è re, iniziale di regale o regio, che fa intendere esser Laura di reale stato; onde, per aggiungere all'altezza delle sue lodi, raddoppia l'animo alla grande impresa, che pur lascia, avvertito dall'ultimo suono del nome, ch'ell'è maggiore delle sue forze. Che farle, ec., perocchè il farle onore è soma, o carico da altre spalle che le sue. Al primo di questi versi: come! sgrida il Tassoni, stato reale, se già l'ha descritta nata povera, e bassamente in un vilissimo borgo? A questo non rispondo, perchè io credo resoluto che non dal Tassoni si scrivesse, ma si da alcun lavorante della stamperia, onde usciron prima in luce queste cose belle. Ma ecco una critica del Tassoni, e Dio sa come n'usciremo, maravigliosa ad ogni cuor sicuro. Al verso raddoppia all'alta impresa ec., ei dice che il chiamar per nome una donna sospirando sia un' alta impresa, e che ci vogliano le forze d'Ercole, a me non mi si attaglia. » Nè anche a noi, signor Tassoni, si confà che voi ci vogliate far tanti Calandrini, voglio dire farci credere che voi siete orbo affatto, mentre vedete lume pur troppo. Certo voi sapete che l'alta impresa, di che intende il Poeta, si è quella di lodare degnamente colei, il cui nome non si può da lui senza sospiri profferire. Altri per avventura, che non è nè voi, nè un altro voi, domanda: e chi tel dice? al quale rispondo: il Poeta, in questo stesso verso, chiaro come il sole. Ma io nol vedo, soggiunge; ed io replico ogni bue non sa di lettera; o meglio: quest'orzo non è fatto pe' tuoi denti. Alla parola ma, taci, grida il fin, che ec., il Tassoni scrive: « Loda, dice il principio; taci, grida il fine: a me paiono contraddizioni spigolate senza profitto. " Qui fa vista il criticante di non accorgersi che, con questo ingegnoso per avverso, viene il Poeta ad iscusarsi del suo dire improporzionato all'altezza del suggetto, del quale a un tempo dimostra l'eccellenza maggiore d'ogni lode; e così piglia, come dicesi a giuoco, due combe con una fava; siccome forse mi si perdonerebbe se, il Muratori essendo del parere del Tassoni, mi venisse detto ch'io piglio qui de oche con un torso. T. 1.O d'ogni, ec.; o donna degna d'ogni reverenza, ec. Il Tassoni, alla voce reverire, prorompe: « E qui pure, o io trasogno, o il P. improvvisa. Ha detto di sopra che la sillaba re significa stato reale e qui dice che insegna a reverire; tanto poteva insegnare a recere." Appunto, gli si risponde, perche significa stato reale, e reale per virtù e valore, essa insegna a riverire. Ma l'ultima parola che chiude il dire di questo critico, ci dimostra che scrisse queste cose, che aveva la pancia stirata ben bene: che gli venga il male dell'affogaggine! Alla parola pur ch'altri vi chiami, e' dice: ma perchè questa necessità di chiamarla? non era l'istesso il nominarla semplicemente, o cantare o leggere il suo nome?" Appunto, signor mio, perch'era una cosa stessa, o chiamarla, o nominarla, ec., egli adopera un vocabolo, il cui significato, per analogica declinazione, all'uno, siccome all'altro di questi sentimenti agevolmente si piega. T. 2. Adunque chi profferisce quel nome, stimolato a lodarvi e riverirvi dai primi suoni di quello, così farebbe, se non fosse che forse Apollo si disdegna che presuntuosa lingua mortale osi voler parlare de' suoi rami sempre verdi. Dice suoi, per essere l'alloro albero diletto al nume. La sostanza delle critiche del Tassoni a quest'ultimo ternario si è; 1.0 perchè questo concetto potesse stare, avrebbe dovuto dir di sopra che il nome della sua donna significa lauro in che Laura fu trasformata; ma non l'avendo detto, come c'entra Apollo? 2.o che, quando c'entrasse, egli non s'avrebbe a sdegnare che un mortale lodasse e onorasse Falbero in cui si trasmutò la sua innamorata; 3.o che anzi egli avrebbe a sdegnarsi che gli uomini non lodassero e onorassero colei che fu da lui amata, o l'albero in che mutossi. Si risponde al primo dire, che il Poeta presuppone chiaro quello che il Tassoni vorrebbe pur espresso. Al secondo, che, se il Tassoni avesse mai sentito lo stimolo della gelosia, di |