Slike stranica
PDF
ePub

od attività alcuna atta a produr l'effetto, anzi solo che nei luoghi, nei quali siamo costretti a soggiornare, nelle occupazioni, dalle quali non possiamo dipartirci, nulla ha potere e virtú di distrarci. Questo bisogna aver bene presente. Come è chiaro, in cauda venenum est! Il nostro A. si sforza, sempre e in ogni modo, di adattare alla sua ipotesi tutte le circostanze, di qualunque natura esse siano, arzigogolando perfino su dati di fatto irrefutabili e, magari, creando de' criteri psicologici di sua esclusiva proprietà! In verità, habemus reum confitentem! Egli dice: ".... ho cominciato a lavorare d'ipotesi.... cercando fondarle sopra l'interpretazione degli scritti e di alcune circostanze certe della vita di Dante,.

2

E quale sia l'interpretazione che l'Imbriani dà degli scritti e delle circostanze certe della vita del Poeta, ora noi ci accingiamo ad esaminare. La pietra angolare dell'ipotesi, come abbiamo già osservato, è l'affinità, o, meglio, l'identità, la corrispondenza fra l'episodio della Francesca dal Poeta cosí soavemente eternato nel canto V dell'Inferno, l'episodio dell'amore per una donna, chiamata Pietra, da Dante cantato nel ciclo delle cosí dette Rime Pietrose. Naturalmente, non v'è argomento, per quanto tenue, del quale l'Imbriani non si serva, spesso molto cavillosamente, per riafforzare la sua tési.

Bastino i seguenti esempî, i quali, fra l'altro, dimostreranno, ancóra una volta, con tutto il rispetto che ho per un egregio cultore de' nostri studî, quale è stato l'Imbriani, quanto poco costrutto di conclusioni nette e logiche si possa ricavare da una serie di premesse male impostate e, quel che è più grave, peggio dimostrate. Dippiú, l'Imbriani non si limita soltanto al còm- | pito del letterato imparziale e severamente storico; egli, cioè, non si accontenta di accumulare fatti su fatti, osservazioni su osservazioni per cavarne fuori delle conclusioni precise e obiettive; sibbene, per entro a tutto questo cumulo di fatti e di osservazioni, fa serpeggiare il motivo di una psicologia erotica tutta sua propria, la quale potentemente contrasta con le circostanze reali e con la loro oggettiva interpretazione. Egli, p. es., si do

1 Op. cit., pag. 481.

2 Op. cit., pag. 491.

[blocks in formation]

2

Cosi anche, quand'egli afferma che "la situazione della Francesca non è piú pietosa di quella d'infiniti altri dannati, pe' quali Dante non si commuove gli si può chiedere se la situazione della Francesca non sia altrettanto pietosa. E, giacché per lui costituisce, fin dal principio del suo lavoro, una verità assiomaticamente inconfutabile il fatto che, se Dante prova tanto dolore, che la mente gli si chiude dinanzi alla pietà dei due cognati, gli è perché dové ricordarsi di aver commesso un peccato simile, è naturale egli si sforzi a tirar fuori argomenti per persuadere che, se Dante preferí a tanti altri esempî di lussuria funesta quello offerto dai due cognati, non poté assolutamente farne di meno, poiché un rivolgimento interno, di tutta quanta la sua psiche nel luogo, dove per l'anima sua e per l'eterna salvazione cominciava l'opera del sentito pentimento, in esso significantissimo esempio additava al Poeta resosi colpevole, nell'istessa maniera, dell'istesso peccato, le funeste conseguenze mondane (uccisione violenta) e ultramondane (dannazione eterna). Ricollegando, quindi, questa sua induzione ipotetica a tutto il piano di ricostruzione morale della Divina Commedia, l'Imbriani prosegue, imperterrito, per molte e molte pagine, sottoponendo a minuta analisi l'episodio di Paolo e di Francesca, e ricamandovi su delle osservazioni psicologiche, la inesattezza delle quali è prezzo dell'opera rilevare, e discutere brevemente. Dice il nostro A.: Per qual motivo Dante si indusse ad eternare.... la memoria di Paolo e Francesca? Qual forza, qual necessità, qual ragione gli fece preferire quello esempio di lussuria funesta a tanti altri, che le storie gli offrivano? Fra gli scandali di que' tempi, perché giusto quello? Non ce n'era dei Fiorentini, forse? Come si vede, l'Imbriani è troppo esigente, ma, nello stesso tem

1 Op. cit., pag. 493. 2 Op. cit., pag. 511. 3 Op. cit., pag. 515.

po, anche troppo incauto nelle sue domande! Noi rispondiamo a questa sua speciosa inquisizione, prima di tutto con l'osservare che, in una discussione, gli argomenti ex silentio non hanno avuto e non avranno mai molta importanza: giacché, che ne sa, lui, l'Imbriani, che di scandali simili a quello Riminese ce ne fossero allora, a Firenze? In secondo luogo poi, solamente chi, come l' Imbriani, è preoccupato di vedere e di trovare nei due episodî, della Francesca e della Pietra, una grande corrispondenza, è costretto, dinanzi ad una creazione cosí limpida come è quella della bella Riminese, a smarrirsi nei particolari, ad abbandonarsi a sciarade e a indovinelli, a fantasticare su tanti forse e tanti perché! Poco a noi importa, specialmente nel caso che ci occupa, indagare come e perché Dante fu condotto alla concezione di questa creatura tutta sua; poco anche a noi importa il sapere se e che cosa il Poeta abbia mutato o alterato della tradizione storica, 1 1

2

Se non che, dal fatto che la critica veramente oggettiva e imparziale si disinteressa, in massima, di siffatte questioni, l'Imbriani non deve credersi autorizzato ad affermare, p. es., quanto segue, a proposito dell'età dei due amanti: Paolo di 45 anni, ammogliato e con figli, Francesca di 30: “.. la poesia se ne va. Tutta la splendida fantasia di Dante, crolla. L'aureola ond'egli ha fregiati i due cognati sparisce. E non avanza piú, se non una tresca volgare e, quasi, stomachevole,. Veramente, io non so come definire ed apprezzare una critica, la quale, partita da considerazioni assai complesse e intonate ad una certa relatività, finisce, poi, col tener conto di un solo termine fra i tanti de' quali consta l'esempio addotto. Perché mai, infatti, ritenere che, ove noi andiamo a scrutare bene in fondo la relazione amorosa dei due cognati, scopriamo che essa non fu, in fine, se non una tresca volgare, ecc.? Noi non possiamo, e, artisticamente parlando, noi non dobbiamo considerare e giudicare l'episodio della Ravennate sol in sé stesso: cosí riguardato, forse l'Imbriani non avrebbe mica torto a darne quel giudizio, che, cosí bruscamente, ne dà nelle parole or riferite. Il fatto, assolutamente per sé, sia quello che si

1 DE SANCTIS, Nuovi Saggi Critici, Napoli, Morano, 1888, pag. 3-4.

2 Op. cit., pag. 519.

voglia: non di esso dobbiamo occuparci e preoccuparci, sibbene della maniera con la quale Dante, impadronitosene, ne ha fatto una creazione poetica, artistica, che oltrepassa e trascura i confini della pura cronaca, per quanto veritiera e sudicia e volgare essa sia, e fissa nelle divine terzine del Canto V dell' Inferno, la dolente rappresentazione dantesca dell'eterno femminino. 1

2

Dunque, non già relativamente a Dante e all'arte sua, l'episodio della Francesca vuol essere ritenuto volgare e, quasi, stomachevole: Dante, con l'arte sua, ripeto, ha saputo fare di meno, per sublimarlo, d'ogni elemento reale. E andiamo innanzi. L'Imbriani finiamo ora di notarlo non sa capire qual ragione avesse Dante a preferire gli amori dei due cognati a quelli di tanti altri sventurati amanti; ed ecco che, con le seguenti parole, finalmente ne ritrova il motivo. Egli dice, a proposito della reminiscenza del Guinizelli "Al cor gentile ripara sempre amore, espressa da Francesca con il verso แ Amor, che al cor gentil ratto s'apprende: "Supponiamolo (Dante) innamorato della cognata e supponiamo che in Francesca e in Paolo raffiguri e confonda la Pictra e sé, ed allora le ragioni, sto per dire, la necessità della reminiscenza balza agli occhi di ognuno,. Eh! l'Imbriani, al solito, fa presto a supporre! Se non che, io, veramente, non capisco come si possa fare a raffigurare Dante in Paolo, la Pietra in Francesca, dal momento e non tengo conto di altre considerazioni che i fattori, per dir cosí, di questo parallelo sono cosí mai diversi fra loro, e per la loro natural essenza, e, quel che più importa, per il modo differentissimo, con cui la loro passione (lecita in Dante per la Pietra, illecita in Paolo per Francesca, si noti bene questo) nacque e si svolse. Tale condizione logica di fatto l' Imbriani non vuole considerare, e, con grande disinvoltura, poco piú giú3 afferma "... Era colpa, nella Pictra, se amore a nullo amato amar perdona? „. Dinanzi a questa affermazione, per quanto interrogativa, due supposizioni si possono fare: o l'Imbriani, cammin facendo, ha interamente dimenticato il motivo, l'intonazione generale di tutte le canzoni, contrastante energicamente alla sua speciosa argomentazione, ovvero,

3

1 DE SANCTIS, op. cit., pag. 5.

2 Op. cit., pag. 524.

3 Op. cit., pag. 525.

anche per questo riguardo, egli continua a seguire il solito suo sistema di considerare sol soggettivamente cose e persone! E che io non m'inganni, stanno a provare queste altre due osservazioni del nostro A., che riporto ad illustrazione finale della sua ipotesi. Egli risponde ad una serie di domande che si fa: "Che la dannata Francesca chiami tempo felice quello della vita peccaminosa, si comprende; ma questa curiosità morbosa nel Poeta,... quella lubrica descrizione.... a che? Ei particolari? perché inventarli e dipingerli con tanta efficacia? Lo scandalo Riminese, che non aveva nulla di particolarmente bello e scusabile, sarebbe stato prescelto da Dante e ricoperto di tanta poesia, come quello che rappresentava la sua stessa situazione, lo sdrucciolo pericoloso, nel quale Dante si era messo. Vedi, dove saresti trascorso! vedi dove conduceva la malnata (?!) passione, da te concetta! Spècchiati in Paolo!

ecc.

2

È la critica dei perché, che alla fine scappa fuori! è il tormentoso desiderio del critico, freddo anatomizzatore, che vuole ricercare le più riposte fibre del cuore umano, non già con l'analisi psichica scevra di ogni preconcetto, di ogni pregiudizio, sibbene con l'alambicco delle ipotesi soggettive, delle deduzioni aprioristiche. Ben altrimenti F. De Sanctis ricerca e spiega la genesi psichica dell'episodio della Francesca; e io non saprei quale altra migliore confutazione opporre alla ricostruzione di V. Imbriani, delle sue seguenti parole: "La donna, che nella fiacchezza e nella miseria della lotta, serba inviolate le qualità essenziali dell' essere femminile.... sentiamo che fa parte di noi, della comune natura, e desta il più alto interesse, e cava lagrime dall'occhio dell'uomo, e lo fa cadere come corpo morto. Francesca, nel suo primo racconto, lascia un'immensa lacuna: tra il suo innamoramento e la morte giace tutta una storia, la storia dell'amore e del peccato, e la vereconda giovane si arresta e tace. Ma Dante china il capo e rimane assorto, finché Virgilio gli dice: che pense? né può rispon. dere súbito, e, quando può, risponde come trasognato e parlando a sé stesso, né può volgere la parola a Francesca senza lacrime. A che cosa pensava Dante? Ma era tutta

1 Op. cit., pag. 525-526.

2 DE SANCTIS, op. cit., pag. 8, 15, 17, 18.

questa istoria dell'amore e del peccato che gli si volgeva nella mente. Il peccato è il piú alto patos della tragedia, perché questa contradizione dell'amore non è posta fuori, ma nell'anima stessa degli amanti.... Di questa tragedia, sviluppata nei suoi lineamenti sostanziali e pregna di silenzî e di misteri, Musa è la pietà, pura di ogni altro sentimento, corda unica e onnipotente, che fa vibrare l'anima fino al deliquio. E la Musa è Dante, che dà principio al canto già commosso; che usa le imagini più delicate, quasi apparecchio alla scena; che al nome delle donne antiche e de' cavalieri rimane vinto da pietà e quasi smarrito; che si sente già impressionato alla sola vista di quei due che insieme vanno; che a renderne la figura, trova un paragone cosí delicato e pieno di imagini cosí gentili; che alle prime parole di Francesca rimane assorto in una fantasia piena di dolore e di dolcezza, e tardi si riscuote ed ha le lagrime negli occhi; e che alla fine cade come corpo morto.... In questa graduata espressione di pietà è necessario un perché? Perché deve ricordarsi di un peccato simile da lui commesso! Questa grossolana spiegazione non ci rivela un uomo straniero nel chiostro ad ogni affetto umano e avvezzo a udir colpe nel confessionale? Dante è l'eco, il coro, l'impressione; è l'uomo vivo nel regno dei morti, che porta colà un cuore d'uomo e rende profondamente umana la poesia del so

praumano,

1

In conclusione, dunque, qual giudizio definitivo, complessivo si deve portare della ipotesi dell'Imbriani? Per parte mia, io credo che in un sol caso essa sarebbe accettabile e corrispondente al vero: se si supponesse e si desse per dimostrato (dopo però averlo dimostrato) che Dante, pur affermando di non voler manifestare il nome dell'amata, in realtà dica una grossolana bugia: dica, cioè, il contrario di quanto in effetti avvenne. D'altronde, giacché mi pare di aver messo abbastanza bene in rilievo la deficientissima analogia tra il caso e il tipo di Francesca e il caso e il tipo della Pietra, dichiaro che io non rigetto l'ingegnosissima ipotesi dell'Imbriani, né la definisco una supposizione gratuita e cervellotica soltanto per amor di contraddire, o perché ritenga e voglia fare, di Dante, un San Luigi Gonzaga. Né, tanto me

1 Cfr. op. cit., pag. 2.

no poi, credo, con il Carducci, che nel suo studio l'Imbriani contraddica a tutto e a tutti, ma romanticamente, senza giungere ad alcun che di positivo. Bensí, perché, anche ammesso (e ciò io credo fermamente) che Dante del soavissimo ed umanissimo peccato della lussuria contaminato si sia non una volta sola in vita sua, e specialmente nel singolarissimo periodo del Traviamento, è innegabile che dall'esame delle Canzoni cosí dette Pietrose, dall'episodio della Francesca, dal giudizio che della intera situazione psicologica del Poeta nel Canto V dell'Inferno e in tutte le canzoni bisogna portare, dal tipo di femmina raffigurato ed espresso nella Pietra, e dal tipo | di femmina raffigurato ed espresso in Francesca, tanto mai diversi fra loro; da tutto, insomma, il complesso di fatti e di ragioni, si deve concludere che l' Imbriani, il quale era sulla strada buona fino a quando si era limitato a confutare l'asserzione dell'Amadi, impelagatosi, come egli stesso dice, nelle ipotesi, non ne ha saputo uscire vittoriosamente. Del resto, io non so se questa istessa sorte non sarebbe toccata a chiunque altro avesse tentato, come l'Imbriani, di squarciare il denso velo che nasconde ai nostri occhi il vero nome e il vero essere della Pietra.

Altri tentativi di simil genere sono stati fatti e anch'essi hanno miseramente naufragato. Ciò che ci accingiamo a vedere, esaminando l'ipotesi del De Chiara.

IV.

L'ipotesi di S. De Chiara

L'ipotesi che il De Chiara propone non è, tutta quanta, di sua esclusiva proprietà; e non è nemmeno molto recente. Per tacere di altri, già il Carducci aveva manifestato, con circospezione e peritanza, qualcosa di simile, quando scriveva: "Ma se l'amore in quelle Rime (le Pietrose) cantato fu della donna o della pargoletta a cui distogliendosi a Beatrice si tosto come questa fu in su la soglia di sua seconda etate, colei di conseguente dev'esser tutt'una con la giovane molto bella e pietosa della Vita Nuova „. Questa stessa ipotesi

1 Op. cit., pag. 212 e seg.

tornò, poi, ad avanzare il Finzi.' La conclusione, alla quale il De Chiara arriva, è la seguente: la donna cantata (si è visto come) da Dante nelle Canzoni Pietrose (che il De Chiara crede siano solamente le quattro or ora esaminate) è una persona sola con la Donna Pietosa o Gentile, che dir si voglia, della Vita Nuova (cap. 34-40). Il De Chiara ritiene che la bontà della sua ipotesi scaturisca molto evidente dall'esame delle Canzoni Pietrose e dal paragone fra quel lasso di tempo, in cui Dante fu innamorato della Pietra e quell'altro, in cui gli occhi del Poeta cominciaro a dilettarsi troppo di vederla (la Donna Gentile). Il nostro A. ragiona cosí:

I.) Dopo aver esaminate le varie ipotesi sulla identificazione della Donna Gentile con questo o quell'altro personaggio, ed espresse delle buone considerazioni a proposito dell'ipotesi dello Scartazzini (il quale, com'è noto, riprendendo l'idea già avanzata dal Balbo, dal Fraticelli, ecc., sostiene la Donna Gentile sia Gemma Donati), continua: "quella vana tentazione, adunque, quella vanità, quell'obietto vaneggiato, quegli alquanti di, accennano, senza dubbio, ad un amore potente sí, ma passeggero; ad una cocente passione, di cui il Poeta volle e seppe guarire Ora, appunto l'ultima frase presenta una confutazione dell'ipotesi: parmi, infatti, che dall'esame delle canzoni sia resultato abbastanza chiaro che il Poeta ha tentato di sfuggire la bella donna ("Ch'io son fuggito per piani e per colli Per potere scampar da cotal donna...,) dunque la volontà (quella volontà che di tanto in tanto, fa capolino in simili passioni) c'era; quindi il volle guarire può passare in qualche modo, sebbene il Poeta ci dica anche (prima canz.): "Ed io della mia guerra Non son tornato un passo arretro

Né vo' tornar; ché se'l martirio è dolce La morte de' passare ogni altro dolce,. Ma quel seppe..., no, e poi no! Rammentiamo l'intonazione generale di tutte le Canzoni, i versi or ora citati, nei quali è da notare specialmente il "Né vo' tornar.. ... motivato cosí energicamenie dagli ultimi due versi. E v'ha di piú: l'intera canzone mostra come il Poeta solo perduri nell'amore, mentre tutti gli animali son d'amor disciolti. E rammentiamo anche i versi:

[ocr errors]

1 Storia della Letteratura Italiana ad uso de Licei, Torino, Loescher, 1880, vol. I; Cfr. Giornale Storico della Letteratura Italiana, I, pag. 128.

Ed io che son costante più che pietra
in ubbidirti per beltà di donna;

Ver me, che chiamo di notte e di luce
solo per lei servire, e luogo e tempo,
né per altro desío viver gran tempo;
El mio disío però non cangia il verde
sí è barbato nella dura pietra....

II.) Riportate le parole del Fornaciari, (il quale, giustamente, all' opinione manifestata dal Carducci osserva: "Poté questo amore (per la Donna Gentile) degenerare in lascivo ed illecito? e che sappiamo noi di questo? Chi ci assicura che certe canzoni a cui allude il Carducci, siano scritte per questa donna, vedendole specialmente cosí diverse da quelle dirette a lei, ?) il De Chiara cerca di confortare l'opinione del Carducci, dicendo che "la diversità, che al Fornaciari par tanta, dipende esclusivamente da un progresso cosí nella passione, come, di conseguente, nel modo di significarla „. Ed egli crede di motivare questa sua affermazione, obiettando al Carducci che, se l'amore per la Donna Gentile si scuopre nei suoi incominciamenti di ben altra natura che quello per la Pietra, ciò non dipende dalla voltabilità della donna, sibbene dal fatto che ell'era una savia donna, che non volle accondiscendere ai desiderî del Poeta, pel quale aveva sentito semplicemente pictá, non amore. Orbene, chi dice al De Chiara che la donna delle Canzoni Pietrose "aveva sentito semplicemente pietà, ecc.... per Dante? ma, se tutte e quattro le canzoni (per non parlare de' sonetti) stanno a provare il contrario! se, appunto perché il Poeta riscontra in lei la mancanza di ogni sentimento, scrive le poesie, ed invoca Amore, perché infonda almeno un po' di PIETÀ nel cuore della donna fredda come neve che si sta gelata all'ombra, che ognora impetra Maggior durezza e piú natura cruda; che cotanto de 'l mio mal par che si prezzi, quanto legno di mar che non leva onda; sicché non par ch'ella abbia cuor di donna, ma di qual fiera l'ha d'amor piú freddo....; cosi foss'ella un di pictosa donna ver

me.... ecc.

III.) Il De Chiara séguita a sviluppare il suo pensiero accennato nelle parole su riferite: แ .... insomma, nelle Pietrose, abbiamo una donna che dapprima, quando non sa che Dante l'ama, gli si mostra pietosa; ma, poiché si fu accorta dell'amore che destava, gli si mostrò sdegnosa e crudele. La stessissima situazione nella Vita Nuova; la donna gli si

mostra gentile e pietosa, anzi di una vista pietosa e di un colore pallido quasi come d'amore; ma il Poeta dice ai suoi occhi: non vi illudete, non è amore, è semplice pietà.... y. Ma, nella Vita Nuova, si risponde all'egregio De Chiara, c'è almeno pietà! nelle Canzoni Pietrose non c'è nemmeno questa! Anzi, si può dire che, facilmente, questa amorosa pietà li poté degenerare in amore vero e proprio; perché, si badi, nel caso della Vita Nuova, il Poeta era riamato, il racconto stesso non solo escludendo qualsiasi dubbio in proposito, ma lasciando travedere che, questa volta, l'amore incominciò da parte della donna, ed a poco a poco si comunicò al Poeta. Di maniera che, anche questa circostanza costituisce una differenza sostanziale fra l'amore per la Donna Gentile e quello per la Pietra: questa, dotata di una bellezza sensuale, affascinante, induce forte desiderio di possesso carnale nel Poeta; quella, invece, sa che Dante ha provato un gran dolore per la morte di Beatrice, lo vede pensoso, e, come suole avvenire in simili casi, ella si muove a pietà per la sventura toccata ad un'anima cosí gentile, come suppone debba essere quella di Dante, che non sa consolarsi della morte della donna amata. Epperò, ella infonde amore. nel Poeta, il quale, d'altra parte, crede di trovare fra lei e Beatrice una rassomiglianza non foss'altro che a causa del pallore, lascia che il suo cuore, ancóra sanguinante, si bèi di questo amore cosí sereno, cosí gentile, e, fiducioso, si abbandona all'amore di questa donna, dalla quale si ripromette qualche consolazione al dolore acerbissimo provato per la morte della fanciulla venuta di cielo in terra a miracol mostrare.

È vero che la figura della Donna Gentile. apparve nel momento in cui Dante cercava di uscire da quello stato eminentemente psicopatico verificatosi per la dipartita da questo mondo di Beatrice; nel momento, in cui il cuore del Poeta, chiuso da tanto tempo ad ogni amore terreno, non domandava di meglio che schiudersi ad un altro affetto; ma d'altronde, Dante non provò per lei quel sentimento che si prova una volta sola in tutta la vita, e le cui energie egli aveva esaurite nell'amore per Beatrice, sibbene un sentimento più semplice, piú passeggero. E ben doveva esser cosí, perché ella non venival mica a rimpiazzare il posto lasciato vacante da Beatrice, ma a questa veniva a suc

« PrethodnaNastavi »