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per tant' oro le parole del Boccaccio relative a Gemma Donati, ma anche a Dante riferisce la fiera moglie » di Jacopo Rusticucci (Inf. XVI, 45) come risulta da una lettera a Lady Byron. Vedi anche nel Don Juan (Canto VIII) le allusioni alle mogli ed alle ispiratrici dell'Alighieri e del Milton, e nella Prophecy of Dante il crudele accenno alla « fatal she..... the cold partner, who has brought Destruction for a dower..... ».

(18) Cfr. George Macaulay Trevelyan, English Songs of Italian Freedom (Longmans Green, 1911), Introduzione. (19) Certo il Byron ebbe contezza della sdegnosa lettera di Dante, che il Foscolo nel saggio sul Petrarca dice « lately discovered », in risposta agli amici fiorentini che gli offrivano patti umilianti pel ritorno in patria (1316).

(20) Il Byron qui trascura o ignora il fatto che precisamente Piero, Jacopo e Beatrice gli furono compagni negli ultimi anni.

(21) Vedi le appassionate parole al « Padre Dante » di Jacopo Ortis, risoluto ad uccidersi, sulla tomba di Ravenna; scena che certo non fu ignota al Byron.

(22) In questa pietosa immagine è quasi il germe delle molte future dello Swinburne (nel Canto d'Italia e nei Canti Antelucani) che pure contro il Byron ostenta un cosi ingiusto disdegno.

CAPITOLO IX.

Percy Bysshe Shelley.

Dante, il poeta della tenerezza.

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Il Paradiso Terrestre.

Vita Nuova.

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L' Epipsychidion e la

Echi danteschi nel Prometheus

Unbound e nel Triumph of Life. Dante nelle lettere di Mrs. Shelley e nei Shelley Papers del Medwin.

Di tutti i poeti inglesi lo Shelley è - forse eccettuato, se pure, il Milton - colui che il pensiero di Dante soggiogó maggiormente, ma in modo tutto particolare. Ateo impenitente, parrebbe, ed era, il meno atto ad ammirare i mezzi e il fine della Commedia: ma laddove l'odio al cattolicismo fa che il Voltaire sfiguri nel suo ghigno e il poema e il poeta, il disdegno d'ogni religione, che cosi violento parla nella Rivolta dell' Islam e nel Prometeo liberato, non entra affatto nell' anima del loro autore rispetto a Dante. A ragione o a torto, egli considera il suo mondo ultramondano come una « moderna mitologia » (1), e lui stesso quasi sacerdote d'un più sereno culto: quello della Bellezza.

Concetto ormai abusato sino al fastidio, ma per lui vera essenza d'ogni pensare. La sua vita stessa, tanto diversa da quella del « comune gorgo de

l'anime » (2), troncata al modo onde s'invola un dio, ne fa fede, come ogni suo scritto. «È facile calcolare il grado di progresso morale ed intellettuale, che il mondo avrebbe raggiunto, anche se il Locke, il Hume, il Gibbon, il Voltaire, il Rousseau ed i loro discepoli non avessero mai vissuto », egli scrive in quella Defence of Poetry per la quale tolse il nome da quell' altro amante d'ogni bellezza, Philip Sidney (3), e ch'è la più matura delle sue prose, «ma eccede ogni immaginazione il concepire quale sarebbe stata la condizione del mondo, se nè Dante, nè il Petrarca, il Boccaccio, il Chaucer, lo Shakespeare, il Calderon, Lord Bacon, e il Milton, avessero mai esistito; se Raffaello e Michelangelo non fossero mai nati; se la poesia ebraica non fosse mai stata tradotta; nè un rifiorire dello studio della letteratura greca mai seguito; se nessun monumento dell'antica scultura ci fosse mai stato tramandato, e se la poesia della religione del mondo antico fosse stata estinta insieme con la sua fede ».

L'entusiasmo per la civiltà, faro di luce in tutte le sue manifestazioni, di fronte a cui neppur la vita degl' individui ha valore, ecco il suo credo; ed in questa civiltà, nell' arte che n'è l'espressione a lui più cara, non tanto il grandioso egli ammira, quanto l'armonioso, il luminoso, il tenero; come dimostra l'ingiusto suo giudizio su Michelangelo, varie volte ripetuto, di fronte alla più misurata e soave pittura di Raffaello (4). La musica delle sfere, quale l'immagina Platone, ció che vibra e canta e luce in noi, l'inafferrabile, l'eternamente divino, è per lui la bellezza;

e perciò si dispera innanzi a Dante, che seppe coglierla ed immortalarla nel verso. Il Medwin, suo affine, che gli fu compagno tra i castagneti e le pinete presso alla marina toscana ove s'era fatto un nuovo paradiso, testimonia di questo suo sgomento nel riconoscere l'arte dantesca.

Forse il primo impulso a studiarla potè essergli venuto dal Godwin, il futuro suocero della terribile filosofia distruttrice, che nella sua Vita del Chaucer parla dell'Alighieri con manifesta conoscenza e con giusto apprezzamento, come « d'uno dei genii sovrani della poesia..... non affetti dalla debolezza dei tempi loro » (5). Ma lo studio dello Shelley sin da principio non si limitó al Poema, come quello della maggior parte de' predecessori. Fin dal '16 egli traduce dal Canzoniere il celebre sonetto, già con molta grazia imitato dall' Hayley (6), « Guido, vorrei che tu e Lapo ed io », sebbene in qualche punto gliene sfugga il senso esatto (7) e (con che dimostra come amorosamente seguisse tutta la scuola del dolce stil nuovo) questo del Cavalcanti medesimo, uno de' più alti e forse efficaci, nell'accorato ammonimento, che mai sieno stati scritti in lingua alcuna :

Returning from its daily quest, my Spirit
Changed thoughts and vile in thee doth veep
[to find:
It grieves me that thy mild and gentle mind
Those ample virtues which it did inherit
Has lost.....

(I'vegno il giorno a te infinite volte

E trovoti pensar troppo vilmente:

Allor mi duol della gentil tua mente
E d'assai tue virtù che ti son tolte.....)

Nè basta. Se non è fallace il ricordo di un amico, Percy tracció sulla finestra appannata della sua casa di Londra, prima di confermare nel matrimonio la non platonica sua unione con la figlia del Godwin e della celebre Wollstonecraft, queste parole:

What Mary is when she a litlle smiles
I cannot even tell nor call to mind

It is a miracle so new, so rare

con evidente imitazione della Vita Nuova (Son. XI):

Quel ch'ella par quando un poco sorride
Non si può dicer nè tenere a mente
Si è nuovo miracolo e gentile.

E Dante diventa quasi il lare familiare degli innamorati nell'ultima loro dimora, in Italia. « C'è » scrive il poeta « un luogo solitario fra queste navate (del duomo di Milano, che gli appare << superiore a quanto avesse immaginato l'architettura. capace di produrre ») ove la luce del giorno è fioca e gialla sotto le finestre istoriate, e l'ho prescelto per visitarlo, e per leggervi Dante ». Poteva immaginarsi luogo più mistico? Ed ecco il discepolo dei greci, che prima di venire in Italia aveva tradotto, in pochissimi giorni, il Symposium, e ne' suoi giri usava portare Eschilo per vademecum, confessa (8): « Forse Dante creó immagini

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