Slike stranica
PDF
ePub

Escluso che la selva rappresenti solamente vizî, ricorro ora ad alcune citazioni per mostrare che ha un valore ben più largo e diverso quale si riscontra:

Dal canto XIV del Purgatorio dove l'ombra di Guido del Duca predicendo la crudeltà di Fulchieri da Calboli sopra a gentiluomini e capi di parte bianca, dice (verso 64): Sanguinoso esce dalla trista selva; e intende per selva la città di Firenze della quale il Fulchieri era podestà. Così infatti è interpretato dall'imolese Paolo Costa, Brunone Bianchi e da altri; onde accettando pure tale naturalissima interpretazione, mi sarà concesso di considerare anche la selva in discorso siccome significante una città, confortato da un luogo del cap. XXIV tratt. 4. del Convito, ove, discorrendo delle qualità che deve avere l'adolescenza all' entrare nella città del ben vivere, aggiunge: «È dunque da sapere, che siccome quelli che >> mai non fosse stato in una città, non saprebbe tener le vie senza » insegnamento di colui che l'ha usate; così l'adolescente che entra »> nella selva erronea di questa vita non saprebbe tenere il buon cammino, se dalli suoi maggiori non gli fosse mostrato ». Ove se ben si guarda, città e selva significano una medesima cosa; vale a dire, la società umana, che, quantunque buona per natura contiene insieme mescolati i germi del male.

Ammesso ciò, ricorriamo a sant' Agostino, il quale, nel libro XIV, cap. I della Città di Dio scrive, che tutte le nazioni del mondo compongono due società d' uomini che si possono appellare secondo la scrittura, due città, l'una di quelli che vivono secondo la carne, e l'altra di quelli che vivono giusta lo spirito; locchè si può parimenti esprimere, secondo l'uomo e secondo Dio. Coteste distinte società hanno presa la denominazione di città della terra, ovvero città schiava, o Gerusalemme terrestre la prima, e di città del Cielo, o città libera, o Sion, o Gerusalemme celeste l'altra. Ma perchè la natura corrotta dal peccato partorisce i cittadini della città della terra, e la Grazia quelli della città del Cielo, noi ritroviamo, scrive Agostino, due cose nella città della terra; essa medesima, e quella del cielo che ella rappresenta.

Dunque la selva dantesca sarebbe questa città terrena; questa

società che vive secondo l'uomo, a cui il poeta dà il nome di Egitto e nella quale trovandosi pur alcuni di quelli che vivono spiritualmente, ne risulta chiarito il motivo che fa dire al poeta:

Ma per trattar del bene ch'ivi trovai

dirò dell' altre cose, ch' io v' ho scorte.

E questo bene, e l'altre cose, ci manifesta nei molti e svariati trattenimenti avuti nei tre regni; mentre che della selva propriamente non è più fatta menzione, fuorchè per caso al canto XX de 11' Inferno.

suo

Fin qui ne ho considerato l'essere morale siccome società umana; è mestieri di riguardarla ancora dal punto di vista del confine materiale, localmente assegnatogli nel poema rispetto al monte, e alla sua diserta piaggia o falda che annunzia il cominciar dell' erta, per fissare quando il poeta ne sia uscito, o piuttosto da qual punto lo si debba stimare fuori di essa. La lettera ce lo indica apertissimo se si raccostano i versi 2, 10 e 13-15, la cui sostanza è: che egli, non sapendo bene come fosse entrato nella selva oscura in cui si trovò a trentacinque anni, distinse però benissimo che a piè del colle terminava quella valle che gli aveva di paura il cuor compunto. E quella valle è la stessa selva; chè non s'ha da intendere quale spazio di terreno racchiuso tra monti, poichè qui v’ha un monte solo; ma come luogo basso, nel senso di valle di pianto e di miseria qual è chiamato questo mondo. Or dunque si deve considerare il poeta assolutamente fuori della selva dal momento che pose il piede nella piaggia deserta, da ove poi riprende via per tentare l'erta del colle.

A tale minuto accertamento di confine non sarei venuto, se alcuni fra i commentatori che ho citati in principio, chiosando le parole:

Ma per trattar del ben ch' ivi trovai,
dirò dell' altre cose, ch'io v'ho scorte,

non l'avessero spostato o avvolto nelle nebbie dell' indefinito,

[ocr errors]

falsando così il senso letterale di quei due versi, da rendere impossibile il servirsene per una ragionevole allegoria. «< Perocchè, » scrive l'autore nel Convito, la litterale sentenza sempre sia sug» getto a materia dell'altre, massime dell' allegoria: impossibile è prima venire alla conoscenza dell'altre che alla sua ». Ma questa letterale sentenza nè si dee cogliere, nè si può conoscere da una frase o da un passo, che sono parti di un discorso, se non ci facciamo prima un'idea abbastanza chiara del suo insieme; e tanto più poi dobbiamo andare guardinghi dal sentenziare sovra essi, quando non solo quel che immediatamente segue, ma altri luoghi ancora di quel dire, vi sieno manifestamente contrarî.

Che più? Le chiose su quei due versi, che qui riproduco, daranno ragione alla mia critica, poi che si vedrà come siano mal fondate.

[ocr errors]

Spone dunque il padre Lombardi: «Ma per trattare, ecc... Adopera elissi, e dee intendersi come se detto avesse: Ma >> lasciando di descrivere l'orridezza della selva, per trattare del >> bene (del celeste aiuto) che in quella trovai, dirò dell'altre cose » che vi ho vedute; cioè del luminoso colle, che al termine della » selvosa valle gli si appresentò, e delle tre fiere che la salita ad » esso impedirono ».

[ocr errors]

Scrive Pietro Fraticelli: « Il bene è la cognizione del vizio acquistata per gli insegnamenti di Virgilio, del quale narrerò in » appresso. Dell' altre cose, cioè del colle, delle tre fiere ecc....». Dice Brunone Bianchi: «Il bene è Virgilio, guida al gran viaggio ch' egli è per descrivere. Vero è che Virgilio non fu da >> lui trovato nella selva, ma la selva gli fu cagione di ritrovarlo. » Dell' altre cose. Intendi per opposto al bene, cioè delle cose non » buone, orribili, quali sono le tre fiere, di che deve necessaria>> mente dire prima di raccontare il fortunato incontro con Virgilio ». Questi pareri poco dissimili nella forma, sono sostanzialmente identici nel criterio generale che allarga il significato dei versi in questione sino a comprendervi il gran deserto, ove Dante implora l'aiuto di Virgilio contro la rovinante azione della bestia senza pace. Ma oltre al fatto che contro a tali sentenze stà la esplicita di

[ocr errors]

chiarazione, secondo la quale appiè del colle ove il poeta giunge terminava la valle cagione della paura che gli aveva il cuor compunto e quella paura altro non era che la tanta e amara rinnovata nel pensiero dal dire della selva selvaggia e aspra e forte onde valle e selva esprimendo una medesima cosa, ne risulta che il poeta, allorchè si trova nel deserto a piè del monte, deve ritenersi uscito dalla selva. E valga il vero:

1. Dai versi 52-60, ove Dante nel gran deserto perde la speranza dell'altezza, perchè la lupa a poco a poco lo ripingeva là dove il sol tace. Or qual è il luogo sottinteso, il là dove il sol tace, se non la selva che egli ha chiamata oscura? E se la lupa lo rigettava nella selva, non è questa una prova che già ne era uscito?

2. Dalla inchiesta che Virgilio rivolge allo sgomentato pellegrino (verso 76), del perchè ritornasse a tanta noia; mentre appunto gli veniva siffattamente impedito il cammino, che volto s'era per paura. Ma il ritornare a tanta noia, era il ritorno a quella notte (verso 21) che vi passò con tanta pietà; e quella notte la passò nella selva: da onde si ha pure che Dante era fuori di quel luogo oscuro, poichè ritornare, equivale a ridursi ove s'era prima.

3. Dall'insieme dei versi 49-54 del canto XV dell' Inferno, e de' quali la semplice lettura basta da sola per qualsiasi dimostrazione.

Lassù di sopra in la vita serena,

mi smarrii, gli risposi, in una valle,
avanti che l'età mia fosse piena.

Pur ier mattina le volsi le spalle:

questi m'apparve, tornando io in quella,

e riducémi a ca' per questo calle.

Adunque l'espressione letterale dei dibattuti versi sarà senza più, come già l'ho dichiarato, che il bene e il male di cui trattano sta tutto nella selva; vale a dire, là entro a quel luogo che ha per confine la piaggia deserta; onde nè le tre bestie, nè Virgilio non vi hanno punto a che fare.

Ciò stabilito, vediamo la portata del terzetto seguente:

Io non so ben ridir com'io vi entrai;

tant' era pien di sonno in su quel punto,

che la verace via abbandonai.

Il poeta dunque non sa bene determinare come avvenisse la sua entrata in quella selva, o quanto dire la sua partecipazione ad essa, perchè in quel frangente poco vegliando sopra di sè e quasi dimentico delle vestigie che la Beatrice aveva impresse innanzi a lui per menarlo in dritta parte, abbandonò la verace via. Ma quando fu che egli stornava quell'attività intellettiva dell' animo la quale gli veniva da buon influsso della stella, e per larghezza di grazia divina, sì che

Fatto avrebbe in lui mirabil pruova?...

Quel punto lo si rintraccia susseguente da presso il trasumanamento della sua donna, se ben si legge la parte della scena che ha luogo nell'alta selva vuota, dove più acri Ella muove al suo fedele i rimproveri dicendo di lui alle sustanzie che le facevano

[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small]

Ecco il tempo in cui Dante abbandonò la verace via, nella quale Beatrice lo aveva prima guidato,

Mostrando gli occhi giovinetti a lui.

« PrethodnaNastavi »