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quale tengono discordi gli stati, ignoranti i popoli, conturbate le coscienze, oppressa la libertà. Oltre a che, se il Piemonte intendea ottenere per mezzo della lega uomini, armi e danari per formare il regno dell'Alta Italia; era appunto questo ingrandimento della Casa di Savoia e la costituzione di questo regno dell'Alta Italia che Roma volea impedire per mezzo della lega. Così Pellegrino Rossi, il quale come scrittore aveva condannato l'antico artifizio della corte romana, di appoggiarsi alle provincie meridionali dell'Italia per impedire che un principe diventasse potente nelle settentrionali, o alle provincie settentrionali quando la temuta potenza sorgeva nelle meridionali, or da ministro proseguiva la maledetta politica di opporre a' Longobardi i Normanni, agli Svevi di Sicilia i Lombardi, a'Visconti gli Aragonesi e agli Aragonesi i Visconti. E questo suo intento, che alcuni lodano come sapientissimo, e che gli avvenire condanneranno come poco italiano e poco savio, svelava apertamente in un suo discorso acerbissimo, pubblicato nella gazzetta di Roma, del tenore seguente: « Nel numero 187 del giorno 18 settembre, dicemmo ai nostri lettori essere lo stabilimento della lega politica fra le monarchie costituzionali dell'Italia il sempre fermo desiderio del governo pontificio, ed aver noi viva speranza di veder fra breve posto ad effetto questo gran pensiero, del quale Pio IX era stato spontaneo iniziatore, ed era assiduo promotore. Bensì conchiudevamo augurandoci (e ben scorgevasi che l'augurio non era scevro di tema) di non vedere anche in questo le umane passioni ed i privati interessi contrastare all'opera santa, e render vana la pura carità di patria che l'ispirava. Ma è pur forza dirlo: gli intoppi incontransi appunto là, dove ogni ragione volea che si trovasse facile consenso e coopera.

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zione sincera. Ed è pur là (tanto sono i tempi nostri infelici!) che odonsi acerbe parole accusanti il pontefice, quasi più non volesse la lega, ch'egli primo immaginava e proponeva. E perchè queste accuse? La risposta è semplice, ed è che il pontefice iniziatore della lega non ha ciecamente aderito alla proposta piemontese. Ora per chi ben legge, a che tornava questa proposta ? A questo: decretiamo la lega in genere; mandateci uomini, armi e denari; poi, tostochè sia possibile, i plenipotenziarii de' collegati si riuniranno in Roma per deliberare sulle leggi organiche della lega. Or prima di tutto gioverebbe dirne chiaramente qual territorio intende il Piemonte che Roma e la Toscana gli garantiscano. Se l'antico o il nuovo, se quel che possiede o quello che sperava poter possedere. Se l'antico, niuna obbiezione può farsi. Se il nuovo chi non vede che Toscana e Roma, facendosi sole garanti di siffatte magnifiche accessioni, farian sorridere l'Europa? Nè dicasi essere questo un patto nazionale, una condizione dell' indipendenza italiana; avve gnachè l'autonomia dell'Italia non supponga necessariamente l'imperio della Casa di Savoia dal Panaro alle Alpi. Se quest'imperio è una delle forme politiche, che l'Italia indipendente poteva prendere, non è la sola nè vuolsi qui esaminare se quella forma fosse da preferirsi a tut. t'altra, nè se estendendola a più che Piacenza e la Lombardia, non avesse alcun che d'inopportuno e di eccessivo. Sia pure che la forma fosse ottima quando fu immaginata. Oggi le condizioni sono altre, e tanto fra loro diverse, quanto sono il possedere e il ripigliare. Che che ne sia, certo è che l'ingrandimento del Piemonte non è cosa da stipularsi così su due piedi. Fosse pur ottima in sè e salutare all'Italia, non sarebbe risoluzione di sufficiente peso ne' consigli europei, che se fosse

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opera volenterosa, comune e maturamente deliberata di tutti gli stati indipendenti della nostra penisola, della vera lega italiana. Era adunque pensiero precoce, immaturo portarlo come patto preliminare e condizione di una lega incompleta e appena delineata. Nè può non dirsi lo stesso della fissazione dei contingenti d'armi e denari. Come fissarli se prima non sappiasi quali e quanti sono i collegati, e a quali cimenti possa trovarsi la lega, e quali amicizie o inimicizie possa sperare o temere? Si tace di Napoli. Ma Napoli è sì gran parte dell'Italia, che il tacerne è vano. I patti della lega sono necessariamente altri, secondo che Napoli ne fa, o no, parte, o secondo che, non facendone parte, s'è amico, nemico o neutrale. Chiaro è che utile sarebbe al Piemonte potersi dir capitano di due o tre eserciti aggiunti al suo. Nelle trattative ch' ei provocava capitolando a Milano, e accettando poscia la mediazione straniera, men difficile gli riuscirebbe forse ottenere alcuna parte dei vasti territori ch'ei desiderava. E l'Italia in mezzo alla sciagura, ove l'hanno tratta gli errori e le follie di tanti, proverebbe, vero è, alcun conforto nel vedere il regno piemontese alcun poco ingrandito. Pur pure ove si pensi all'Italia più che ad altro, più sano e sincero e patriottico consiglio sarebbe stringere prima saldamente la lega, e la. sciare intanto agli stati collegandi agio di riformar solidamente gli eserciti. Ma le leve in massa, ma l'impeto supplente al sapere e alla disciplina?..... Parolone che non fanno spavento a nessuno, e non alimentano certo le speranze di chi riflette. E perchè dunque il Piemonte, che al pensiero della salute d'Italia aggiungeva pur quello, non meno animoso, della propria grandezza, non vide 100 mila volontarii rannodarsi al suo esercito regolare? Il governo piemontese sa quel che valgono contro le truppe stanziali le truppe collettizie: sa che il valore non basta a vincere le guerre, e sa, che ove pur volesse tirar la spada dalla vagina, e chiamare Italia alle armi, dritto dell'Italia sarebbe voler sapere come la guerra sarebbe governata e da chi? Ma il governo piemontese è savio, e' pensa alla pace, desidera la pace, negozia la pace: e a chi potesse dubitare della sincerità di questo desiderio additerebbe in prova Venezia, non difesa dai Piemontesi. Noi non sappiamo, nè abbiamo curiosità di sapere, che cosa esso speri o tema di questi suoi negoziati, nè quali siano le istruzioni palesi o secrete de'suoi negoziatori, nè quali le condizioni alle quali alla fin fine è preparato a terminare la quistione. Pur vero è che sarebbe cosa troppo singolare stringere una lega, al segno di promettere contingenti fissi di soldati e di danari, durante una negoziazione intorno ai destini italiani della quale uno solo de' collegati conosce i misteri e con. siglia i principali negoziatori italiani, vogliamo dire i Pie montesi. Il governo sardo sente tanto avanti in politica ed in cortesia, che al certo non isconosce essere necessario e conveniente, ove voglia stipularsi il patto capitale di qualsiasi lega politica, cioè a dire, l'obbligo dei contingenti, di dir prima a' collegati: Ecco a che ne sono, ecco le mie istruzioni, ecco i limiti ne' quali ho stimato doversi rinchiudere gli arbitrii de' negoziatori e dei mediatori: ditemi il parer vostro, accordiamoci in uno stesso giudizio ed allora o daremo a negoziatori comuni istruzioni e poteri, o daremo ai negoziatori particolari di cadauno stato collegato istruzioni conformi. O il Piemonte vuol far da sè anche in diplomazia, e la lega, se può stipularsi subito in massima, non può ordinarsi per patti ed obblighi speciali e positivi, che quando il mistero dei negoziati sarà svelato e la pace conchiusa, o sciolte le trattative; o il Piemonte intende negoziare qual collegato, e si affretti di aderire alla lega, e di spedire a Roma i suoi plenipotenziarii. Del che non sembra, a dir vero, gran fatto desideroso. Li manderà, si dice, tosto che sia possibile. Confessiamo umilmente la pochezza del nostro ingegno: non ci è dato intendere tosto che sia possibile! Ma che può mai impedire sei, otto, dieci persone (ne scelga cadauno stato quante vuole, e come vuole) d'imbarcarsi a Genova, e di sbarcare a Civitavecchia! Chi può impedirle di recarsi a Roma, e qui deliberare sulle cose italiane? La Dio mercè, Roma può assicurare la vita, le sostanze, la libertà dei suoi ospiti. Quel tosto che sia possibile è per noi un enigma, un indovinello, nè vogliamo cercarne la chiave. Per noi il Congresso Italiano in Roma è, non diciamo cosa possibile, ma facile e ad un tempo urgente e necessaria. Il progetto pontificio è piano, semplicissimo. Si può riassumere in brevi parole: Vi è lega politica fra le monarchie costituzionali e indipendenti italiane, che aderiscono al patto: i plenipotenziarii di cadauno stato indipendente si adunano sollecitamente a Roma in congresso preliminare per deliberare sui comuni interessi, e porre i patti organici della lega. Cosa fatta capo ha. Per questa via retta e piana si può aggiungere lo scopo. Per tutt'altra non si può che dilungarsene. L'Italia già vittima di tanti errori avrebbe da piangerne uno di più. Conchiudiamo: Pio IX non si rimuove dall'alto suo pensiero, desideroso quale sempre fu di provvedere efficacemente, per la lega politica italiana, alla sicurtà, alla dignità, alla prosperità dell'Italia e delle monarchie costituzionali della penisola. Pio IX non è mosso nè da interessi particolari, nè da antiveggenze ambiziose: nulla chiede, nulla desidera se non la felicità dell' Italia e il

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