S'allegra per le lusinghiere parole dettegli da un amico in presenza di Laura.
Due rose fresche, e colte in paradiso L' altr'ier nascendo il di primo di maggio, Bel dono, e d' un amante antig antiquo e saggio, Tra duo minori egualmente diviso: Con si dolce parlar, e con un riso Da far innamorar un uom selvaggio, Di sfavillante ed amoroso raggio E l'uno e l'altro fe' cangiare il viso. Non vede un simil par d'amanti il Sole, Dicea ridendo, e sospirando insieme; E, stringendo ambedue, volgeasi attorno. Così partia le rose, e le parole: Onde 'I cor lasso ancor s'allegra, e teme. O felice eloquenza! o lieto giorno!
La morte di Laura sarà un danno pubblico, e brama perciò di morire prima di lei.
L'aura, che 'l verde lauro, e l' aureo crine Soavemente sospirando move, Fa con sue viste leggiadrette e nove L'anime da lor corpi pellegrine.
Candı la rosa nata in dure spine!
Quando fia chi sua pari al mondo trover Gloria di nostra elate! O vivo Giove Manda, prego, il mio in prima, che 'l suo fine;
Si ch'io non veggia il gran pubblico danno, E 'l mondo rimaner senza 'I suo Sole; Nė gli occhi miei, che luce altra non hanno;
Nè l' alma, che pensar d' altro non vole; Ne l'orecchie, ch' udir altro non sanno Senza l' oneste sue dolci parole.
Pensando a quel dì. in cui lasciolla si trista, teme della salute di tei.
Qual paura ho, quando mi torna a mente Quel giorno ch'i' lasciai grave e pensosa Madonna, e'l mio cor seco! e nen è cosa, Che si volentier pensi, e si sovente.
I'la riveggio starsi umilemente
Tra belle donne, a guisa d'una rosa Tra minor Gor, nè lieta, nè dogliosa, Come chi teme, ed altro mal non sente.
Deposta avea l' usata leggiadria,
Le perle, e le ghirlande, e i panni allegri, E'l riso, e 'l canto, e'l parlar dolce umano.
Cosi in dubbio lasciai la vita mia:
Or tristi augurii, e sogni, e pensier negri Mi danno assalto; e piaccia a Dio, che'n vano.
Laura gli apparisce in sonno, e gli toglie la speranza di rivederla.
Solea lontana in sonno consolarme Con quella dolce angelica sua vista Madonna: or mi spaventa, e mi contrista; Nè di duol' ne di tema posso aitarme:
Che spesso nel suo volto veder parme Vera pietà con grave dolor mista; Ed udir cose, onde'l cor fede acquista, Che di gioia, o di speme si disarme.
Non ti sovven di quell' ultima sera, Dic' ella, ch' i' lasciai gli occhi tuoi molli, E sforzata dal tempo me n'andai? I'non tel potei dir allor, nè volli; Or tel dico per cosa esperta e vera: Non sperar di vedermi in terra mai.
Non può creder vera la morte di lei; ma se è, prega Dio di togliergli la vita.
O misera ed orribil visione!
È dunque ver, che 'nnanzi tempo spenta Sia l'alıma luce, che suol far contenta Mia vita in pene ed in speranze bone?
Ma com'è, che si gran romor non sone.. Per altri messi, o per lei stessa il senta? Or già Dio, e Natura nol consenta; E falsa sia mia trista opinione.
A me pur giova di sperare ancora
La dolce vista del bel viso adorno, Che me mantene, e'l secol nostro onora.
Se per salir all' eterno soggiorno Uscita e pur del bell'albergo fora; Prego, non tardi il mio ultimo giorno.
Il dubbio di non rivederla lo spaventa sì, che non riconosce più sè medesimo.
In dubbio di mio stato, or piango, or canto; E temo, e spero; ed in sospiri, e'n rime Sfogo 'l mio incarco: Amor tutte sue lime Usa sopra 'l mio cor afflitto tanto.
Or fia giammai, che quel bel viso santo Renda a quest'occhi le lor luci prime? (Lasso! non so, che di me stesso estime ) O li condanni a sempiterno pianto?
E per prender il Ciel debito a lui, Non curi, che si sia di loro in terra, Di ch'egli è 'l Sole, e non veggiono altrui? In tal paura, e 'n si perpetua guerra Vivo, ch'i' non son più quel, che già fui; Qual chi per via dubbiosa teme, ed erra.
Sospira quegli sguardi, da cui, per suo gran danno, è costretto di allontanarsi.
O dolci sguardi, o parolette accorte;
Or fia mai 'l dì ch' io vi riveggia, ed oda? O chiome bionde, di che 'l cor m'annoda Amor, e cosi preso il mena a morte:
O bel viso a me dato in dura sorte,
Di ch' io sempre pur pianga, e mai non goda: O dolce inganno, ed amorosa froda; Darmi un piacer, che sol pena m'apporte.
E se talor da begli occhi soavi,
Ove mia vita, e 'l mio pensiero alberga, Forse mi vien qualche dolcezza onesta; Subito, acciò ch' ogni mio ben disperga, E m'allontane, or fa cavalli, or navi Fortuna, ch'al mio mal sempr'ė si presta.
SONETTO CXCVI.
Non udendo più novella di lei, teme sia morta, e sente vicino il proprio fine.
I' pur ascolto, e non odo novella Della dolce ed amata mia nemica; Nè so, che me ne pensi, o che mi dica: Si 'l cor tema, e speranza mi puntella.
Nocqne ad alcuna già l'esser sì bella: Questa più d' altra è bella, e più pudica. Forse vuol Dio tal di virtute amica Tôrre alla terra, en ciel farne una stella;
Anzi un Sole: e se questo è, la mia vita, I miei corti riposi e i lunghi affanni Son giunti al fine. O dura dipartita, Perché lontan m'hai fatto da' miei danni? La mia favola breve è già compita, E fornito il mio tempo a mezzo gli anni.
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