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se parten volentera e tostamente per gire ov' en nascute :

da me fanno partute e venen 'n vui, dove son tutte e piui.

Per ora, mi basta avere accennato un campo possibile di ulteriori ricerche, e passo a rispondere alla seconda domanda: a quale fonte attinse Dante e i suoi compagni d'arte la teoria degli spiritelli ?

Il passo famoso della V. N. esclude a priori una fonte d'intonazione platonica, per le irriducibili differenze già notate fra platonici e aristotelici intorno alla sede dei tre spiriti. Dunque, Dante, che anche per la teoria degli spiriti mostra d'essere strettamente peripatetico, non può avere attinto ad un libro come quello attribuito ad Ugo da S. Vittore, in cui si propugna la teoria Platonica. Ma s'è facile eliminare le fonti assolutamente improbabili, può parere invece difficile determinare, a prima vista, in modo certo e sicuro, la fonte peripatetica probabile, perché come nota Alberto, Aristotile s'era opposto recisamente a Platone« cum toto Peripateticorum coetu, quem sequuntur Avicenna, Averroe, multis rationibus astipulantes sententiae Aristotilis et Platonis dogma improbantes », cosí che ai tempi di Dante, anche a proposito degli spiriti, la dottrina aristotelica si poteva chiamare con ragione « quasi cattolica opinione ». Intendo accennare alla teoria dei tre spiriti, perché la nozione elementare dello spirito non c'era bisogno d'impararla e studiarla sui libri: era, per cosí dire, nell'aria, era principio indiscusso di cui le cosí dette scienze naturali e le teorie occulte usavano ed abusavano. Ma la Teoria dei tre spiriti si può dire che fosse entrata anch'essa nel patrimonio scientifico comune? E, dato anche che fosse, si può forse escludere a priori, come ha notato giustamente il Flamini contro il Boffito, che Dante, << oltre alla pura e semplice nozione scientifica suddetta, non possa aver avuto presente, nel

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1 De Spiritu.... t. II, c. I. Anche nel De Somno et Vigilia, lib. I, t. I, c. VII, dopo avere esposto succintamente la teorica della distinzione e dell'origine degli spiriti, avverte : « Hoc autem quod diximus, est sententia Peripateticorum omnium ».

2 Opuscolo cit., p. 5.

3 G. BOFFITO, Il « De principiis Astrologiae » di Cecco d'Ascoli, ecc. Suppl. n. 6 del Giorn. stor., pp. 16-7.

dettare il secondo paragrafo della Vita Nuova, qualche passo di scrittore ove fosse per di piú descritto il funzionare di quei tre spiriti, in guisa analoga a quella onde il poeta ha.... tratto partito pe' suoi artistici intendimenti > ? Evidentemente no; ma quale passo? e, prima di tutto, di quale scrittore?

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L'Alighieri, « di tre lustri piú giovane di Pietro d'Abano », prima che attingesse da questo varie nozioni di cosmografia, di fisiologia, di fisica, di filosofia naturale insomma », a Padova, durante il suo esilio, poteva, aveva anzi avuto certamente sott'occhio, se non tutti, alcuni almeno dei libri naturali di Alberto. Ora, quale di questi è stato la fonte vera di Dante? Il De Spiritu et Respiratione, dove svolge e tratta diffusamente e di proposito la teoria? Il De Somno et Vigilia (I, VII) dove ne dà un riassunto chiaro, preciso, completo? O accenni fuggevoli e sparsi del De Animalibus, del De Anima, del De Sensu et Sensato...? In verità, Dante aveva l'imbarazzo della scelta anche tra gli scritti di Alberto Magno: anche solo per quel che riguarda l'opinione di Galeno, ne poteva, volendo, trovare la confutazione generica, dirò cosí e di principio, nel De motibus Animalium, (lib. I, t. II, c. II), dove batte in breccia l'opinione di Galeno e di Platone, secondo i quali il primo organo del moto è la testa e non il cuore, niente meno < sex fortissimis rationibus virtutem demonstrationis habentibus ». Una confutazione speciale anatomica trovava nel De Animalibus, (lib. III, c. V e VI); filosofica nel De Anima, (lib. II, trat. I, cap. II), e nello stesso passo citato del De Somno et Vigilia, dove ha una lunga digressione in proposito. Lasciando pure da parte i trattati dove si hanno solo qua e là accenni più o meno vaghi, sparsi, occasionali,

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1 FERRARI, op. c., p. 409.

2 Interessante è specialmente la « Quinta.... ratio »: << est a spiritibus et sanguine sumpta : quoniam per calorem et spiritum et sanguinem praeparantur organa ad motum haec autem in omni motu animalium videmus aut a corde protendi, aut ad cor refugere: quoniam in amando, sperando, gaudendo, delectando, a corde procedunt et protenduntur in organa mobilia. In timendo autem et tristando et verecundando et dolendo sentimus ista ad cor refugere.... Cum igitur faciant motum et accelerent eum confortata, videtur inevitabili ratione concludi cor esse principium primum eorundem motuum animalium ».

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restano sempre il De Spiritu et Respiratione e il Somno et Vigilia, il primo scritto, forse, posteriormente. 1 Ma se per questo resta sempre difficile poter dire, con diritto assoluto d'esclusione, se Dante, scrivendo abbia avuto presente solo quei brani e quei tratti del primo, quei tratti del primo, ch' il Flamini ha riportati e illustrati con tanto acume, o il passo del secondo, cosí lucido e completo, riportato dal Salvadori è certo però ch' un trattato speciale dell'argomento c' era e Dante poteva averlo presente. Che se la composizione della Vita Nuova fosse, se non proprio posteriore, contemporanea almeno all' inizio degli studi del Poeta, allora questi avrebbe potuto acquistare la nozione scientifica della teoria a scuola, dai Domenicani, a S. Maria Novella, quando, dopo la logica, dovette essere promosso ad studium naturalium ». E su quale testo se non del domenicano Alberto? E data l'importanza somma della teoria degli spiriti nella psicologia, che spiegava con essi le diversità di temperamento e le ripercussioni fisiologiche dei moti passionali, sarebbe addirittura improbabile sostenere che Dante abbia non solo avuto fra mani, ma studiato il trattato speciale d'Alberto? È certo dunque, o

1 Dico forse, perché, nel fare questa asserzione mi servo unicamente di un argomento non molto forte, un argomento ex silentio. Alberto è solito, trattando di una quistione, citare o rimandare ad altri suoi libri dove l'argomento è trattato o svolto di proposito. Ora, nel De Somno et Vigilia, parlando della teoria degli spiriti, rimanda al De Anima e al De Animalibus se in quel tempo avesse già pubblicato il De Spiritu et respiratione è presumibile che l'avrebbe dimenticato? E presumibile che avrebbe rimandato a trattazioni incomplete e occasionali e, per lo meno, non anche alla sua trattazione speciale? Dirò di piú : se il trattato speciale fosse stato da lui già scritto, avrebbe sentito il bisogno di scrivere tutto un lungo capitolo digressivo?

2 La poesia giovanile, ecc. pp. 64-65.

3 Cfr. 1' Op. cit. del CHISTONI, p. 43, il BARBI, Bull. X, 90 sgg. e 318, il CORBELLINI, Quistioni Ciniane e la « Vita Nuova » di D., Pistoia, 1904, p. 50 sgg. e p. 37 sgg. Per la data in genere, cfr. anche il D'ANCONA in Rass. bibl. VII, 19, il D' OVIDIO, N. Antologia, p. 247 sgg. e il RAJNA, in Giorn. st. VI, 113, sgg. 1.

• Sui corsi di studio nelle Scuole dei domenicani, vedi il SALVADORI, Sulla vita giovanile di Dante, pp. 106, sgg.

quasi che Dante a scuola, o di propria iniziativa, abbia attinto direttamente da Alberto ed è almeno molto probabile che si sia servito del trattato apposito di lui.

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Questo, per la questione specifica del passo della Vita Nuova. Quanto al resto, Dante, ripeto, e tutti i suoi compagni d'arte, respiravano un ambiente saturo di spiriti. Li vedevano, d'intorno a loro, innumerevoli, attivi, vivi, e naturalmente, piú che per bisogno d'astrazioni e di sottigliezze filosofiche, furono tratti a prenderne a piene mani per fissare le impressioni fuggevoli, i desiderî e le speranze, i dolori e le sconfitte, tutte le varie fasi, tutti i momenti psicologici del loro amore. E gli spiriti, docili e ubbidienti, come, a detta dei fisici, aiutavano sempre l'anima a compiere armonicamente le proprie funzioni, come avevano prestato già qualche aiuto a parecchi rimatori del dugento nell' esprimere il ritmo dei palpiti del cuore innamorato, aiutarono e « mirabilmente i poeti dell'arte nuova a riprodurre e spiegare le piú tenui avventure, i piú fuggevoli accidenti dell' amore ». Se i pregiudizi e le fisime d'alcuni critici non avessero voluto vedere, a tutti i costi, negli spiritelli, che son quasi vapori del cuore, « un concetto filosofico che ci guasta la poesia »>, " quanta profondità di meno e quanta poesia di piú si sarebbe forse intravista nei canti alla creatura angelicata ! quanto fraseggiare astruso e sottilizzare acuto sarebbe scomparso per incanto, e come sarebbe apparsa minore la declamata << indebita invasione della filosofia nel campo dell'arte»! Io non voglio portare che un esempio solo un sonetto d' « uno dei migliori loici ed ottimo filosofo naturale », di Guido Cavalcanti, insomma, il sonetto dove « la tendenza a soffocare le immagini poetiche, le divine immagini del suo spirito innamorato, sotto il gravame del medievalismo filosofico..., arriva ad una esagerazione che disgusta ».

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1 Cfr. l'artic. del SALVADORI sul Fanf. d. dom. XXVIII, 1906, n. 22, Gli antecedenti della teoria d'amore di G. Cav.

2 FLAMINI, Riv. d'It., Giugno 1900, Dante e « lo stil novo », p. 221 e in Varia, Livorno, 1905, p. 7. 3 A. BARTOLI, Storia della Letteratura italiana, IV, p. 12.

4 BARTOLI, op. cit., p. 13.
5 Bartoli, op. cit., p. 150.

Pegli occhi fere un spirito sottile che fa in la mente spirito destare dal qual si move spirito d'amare e ogni altro spiritello fa gentile. Sentir non pò di lui spirito vile, di cotanta vertú spirito appare ! Quest' è lo spiritel che fa tremare, lo spiritel che fa la donna umile.

E poi da questo spirito si move un altro dolce spirito soave

che siegue un spiritello di mercede : lo quale spiritel spiriti piove che di ciascuno spirit' à la chiave per forza d' uno spirito che 'l vede. 1

E traducendo il soffocante gravame in parole povere la vista di una donna bella suscita, in chi la mira, un senso d'ammirazione che poi si trasforma e diviene amore trepido e gentile. E la gentilezza di cui l'amante si va adornando, per riuscir gradito, e il timore riverenziale che traspare dagli atti, dalle parole, dagli occhi, tanto piú grande e visibile, quanto più nella mente, di giorno in giorno, col crescere dell' amore, crescono e divengono piú attraenti i pregi della donna amata, producono a loro volta questo effetto: predispongono gradatamente, benevolmente l'anima altera e nobile della creatura angelicata a un sentimento di umiltà, d' affabilità, di pietà, cosí che l'uomo, sempre più vinto, rapito, inebriato finisce col non aver pensiero, col non aver palpito che non sia di lei e per lei. È questo dunque tutto il gravame del medievalismo filosofico? questa psicologia tenue, pratica, spicciola, direbbe il Torraca, alla portata di mano d'ogni amante per quanto poco loico e pessimo filosofo naturale, e che del resto Guido ha in comune con i suoi compagni d'arte ? Vi sono più che mille sporte di spiriti, d' accordo ; ma come sono leggerine, codeste sporte, e vuote e punto profonde, anche se, per il loro numero infinito, ingombrino e non poco!

L'apparenza ha tratto in inganno; il nome stesso << spirito », di forte sapore metafisico, ha eccitato la immaginazione anche dei seguaci della critica storica e fatto intravedere abissi di sottigliezze e di astruserie metafisiche. Del resto, questo fenomeno d'allucinazione, non è isolato, né è avvenuto solo a proposito di spiriti. Il Bartoli, per esempio, ha

1 Ed. Ercole, p. 302.

notato con la sua solita finezza il Torraca, 1 solo perché in una canzone di Lapo Gianni s'imbatte in una fraseologia che ricorda la forma scolastica d'argomentazione, vede senz' altro, nelle parole del poeta, un argomento in formis, con la sua brava maggiore, con la minore e la conseguenza «.... in Lapo Gianni, egli scrive, è curioso che la smania dialettica si mostra perfino in una forma affatto esteriore. In una canzone contro l'amore Amor, nuova ed antica vanitate egli dice di provare ciò che asserisce, e il provo ciò, provol, si ripete in ogni stanza, come in questa prima :

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Amor, nuova ed antica vanitate,

tu fosti sempre, e sei 'gnudo com' ombra ; dunque vestir non puoi, se non di guai. Deh chi ti dona tanta podestate, ch' umanamente il tuo podere ingombra, e ciaschedun di senno ignudo fai? Provo ciò; ché sovente ti portai nella mia mente, e da te fui diviso di savere e di bene in poco giorno; venendo teco, mi mirava intorno,

e s'io vedea Madonna, ch'ha 'l bel riso, le sue bellezze fiso immaginava ;

e poi fuor della vista tormentava.

Ebbene, esaminiamo questa prima stanza. Nella fronte, il poeta accenna ad una delle cinque qualità solite ad attribuirsi ad Amore, e dice: Amore, vanità antica e nuova, ignudo di vesti, coperto di guai, chi ti dà il potere di render le menti ignude come te, ignude di senno? E continua nella volta: Ohimè, purtroppo ne ho fatto doloroso esperimento anch' io! purtroppo, anch' io, spesso, t'ho portato nella mente, e m' hai tolta la saggezza e mi hai tolta la pace; m' hai portato a pascermi, a inebriarmi della bellezza della donna mia, e sognare e fantasticare, per poi, lontano, esser tormentato e straziato dal bisogno e dal desiderio insoddisfatto di vederla e rivederla

ancora.

È argomentazione filosofica codesta? Il prendere l'occasione e lo spunto da una qualità comunemente attribuita ad Amore, per

▲ Lezioni di Letteratura italiana anno scolastico 1906-7. Mi son giovato delle dispense poligrafate e di appunti presi nel corso dell' anno; cosí anche mi son giovato della Scuola di Magistero e delle Lezioni del Flamini, 1909-10.

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LE INVOCAZIONI NELLA “DIVINA COMMEDIA „,

fione, espressa con molta franchezza e quasi, direi, di sfuggita.

Due sono le difficoltà su le quali princi- | (XXXII, 10-2) alle Muse che aiutarono Anpalmente l' Alighieri insiste e per cui piú volte invoca l'aiuto delle Muse, d' Apollo e di Dio : la memoria della grande e soprannaturale visione, che gradatamente gli si affievolisce quanto piú sale e s'avvicina alla gloria di Dio; la lingua della quale riconosce l'insufficienza sempre più coll' elevarsi della materia, cui corrisponde un progressivo affinamento dell' arte. (Purg., IX, 70-2).

Nell' Inferno la mente non erra (II, 6); la lingua trova solo qualche difficoltà a descrivere gli orrori delle pene infernali (XXXII, 1-6).

Anche nella IIa Cantica ne abbiamo due sole, ma piú lunghe e affettuose: la prima (I, 7-12) alle sante Muse e in particolare a Calliope che vinse le Pierie; la seconda (XXIX, 37-42) alle Muse, sacrosante vergini, e con ripetizione spontanea e vivace ad Urania e al suo coro.

Nella III Cantica ne troviamo cinque: la prima (I, 13-36) lunghissima al buon Apollo e all' uno e all' altro giogo di Parnaso; la seconda (XVIII, 82-7) alla Diva Pegasea che fa gloriosi gl' ingegni; la terza (XXII, 112-123) alle gloriose stelle dei Gemini, poiché ormai

Nel Purgatorio la memoria comincia a vacillare, confusa da frequenti sogni e vaneggiamenti (VIII, 15; XV, 85 e segg; XVII, 13 e segg.); e la lingua, accompagnando il risor-l' inspirazione delle Muse piú non vale (XXIII, gimento della morta poesia, deve « mettere in versi cose forti a pensare» (XXIX, 42).

Nel Paradiso la memoria, che appena ha conservato un'ombra del beato Regno, è vinta, e con la memoria resta sopraffatta l'alta fantasia del Poeta (XXXIII, 57; 145); la lingua si fa sempre piú impotente e fioca, piú corta << che di un fante Che bagni ancor la lingua alla mammella» (XXXIII, 56; 106-8; 121-3 ecc.).

Alle dichiarazioni di difficoltà, alle confessioni d'impotenza mnemonica o linguistica seguono o precedono le invocazioni, e quanto piú quelle crescono d'intensità tanto piú queste aumentano di calore.

Infatti nella Ia Cantica abbiamo due invocazioni brevissime : la prima (II, 7-9) alle Muse, appena ricordate, e piuttosto all' ingegno e alla memoria del Poeta stesso; la seconda

55 e segg.); la quarta (XXX, 97-9) allo splendor di Dio; la quinta (XXXIII, 67-75), con sublimità di concetti, alla somma Luce di Dio, perché rinfranchi la memoria e faccia possente la lingua del Poeta a lasciare alla gente futura una favilla sola della gloria del Cielo.

È questo un fatto notevole e degno di studio, perché consentaneo ai criteri artistici dell' Alighieri, che nel suo Poema fa sí che non venga mai meno l'illusione della realtà. 1

1 Per questo studio, semplice e modesto, mi son valso dei migliori commenti antichi e moderni e delle più recenti illustrazioni dell'Opera di Dante. Però ho creduto superfluo per il mio tema particolare, ripetere con poche aggiunte i raffronti classici, specialmente con Virgilio, con Ovidio ed anche con Orazio, che si trovano in tutti i più diffusi commenti.

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