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Non vidi mai dopo notturna pioggia
Gir per l'aere sereno stelle erranti
E fiammeggiar fra la rugiada e 'l gelo,
Ch'i' non avesse i begli occhi d'avanti
Ove la stanca mia vita s'appoggia,
Qual io gli vidi a l'ombra d'un bel velo;
E sí come di lor bellezze il cielo

Splendea quel dí, cosi, bagnati ancora,
Li veggio sfavillar; ond'io sempr' ardo.
Se 'l sol levarsi guardo,

Sento il lume apparir che m'innamora;
Se tramontarsi al tardo,
Parme 'l veder quando si volge altrove
Lassando tenebroso onde si move.
Se mai candide rose con vermiglie
In vasel d'oro vider gli occhi miei,
Allor allor da vergine man còlte;
Veder pensaro il viso di colei

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59. rugiada il, A.

Ch' avanza tutte l'altre meraviglie,
Con tre belle eccellenzie in lui raccolte:
Le bionde treccie sopra il collo sciolte
Ov'ogni latte perdería sua prova,
E le guancie ch' adorna un dolce foco.
Ma, pur che l'òra un poco
Fior bianchi e gialli per le piaggie mova,
Torna a la mente il loco

sia nell'età matura né potrà essere spento | elissi: Purg. x 79 «Intorno a lui parea cal

per vecchiezza. 58. stelle erranti. Pianeti: e dice gire, perché sono in continuo moto (D). 59. fra la rug. e 'l g. Endiadis. Virg. Aen. Ix 601 «saevoque gelu duramus et undis». 60-5. Senza che mi paresse vedermi dinanzi quei begli occhi ai quali si appoggia la mia stanca vita, cioè a dire, che sono conforto e sostegno della mia vita misera; dico vedermeli dinanzi quali io li vidi una volta adombrati da un velo che ricopriva il loro pianto (Cv vuole che cíò fosse in chiesa, ché quivi le donne tengono il viso velato]: e parmi di vederli, quantunque cosí lagrimosi, sfavillare, nel modo che io vidi quella volta risplendere delle loro bellezze il cielo: del quale fulgore dei medesimi sempre ardo (L). - 61. Ove ec. Cfr. XLVII. 68. Se. Sottint. veggo il sole. tramontarsi, solo esempio, crediamo, di-questo verbo adoperato nella forma riflessiva. 69. Parmi vedere il 1. che m' inn., gli occhi di Laura, volgersi altrove (L). - 70. onde sim. Il luogo ond' esso si ritira (L). Con forza di

cato e pieno Di cavalieri ». - 71-2. I capelli per l'oro, le guancie per le rose vermiglie e il collo per le bianche (CV). Al T non garba l'immagine, perché bisogna supporre che 'l vasel d'oro fosse volto col fondo in su:ma il P. non bada alla posizione sí bene ai colori. -73. da verg. m. còlte. Virg. Aen. XI 68 «Qualem virgineo demessum pollice florem ». Dice vergine «perché le fanciulle vaghe eleggono le più belle (CV). - 74. All'amb. quel pensaro riferito agli occhi non par lodevole.

75. avanza. Supera. 76. Con. Dipende da avanza. - 78. Ove. Spesso fa le veci del relativo nei casi obliqui con proposizione; ma qui l'uso è segnatamente nuovo ed ardito: col quale collo, a riscontro del quale collo. perdería s. pr., se si venisse a prova qual sia piú bianco o il latte o il collo. Non è perder l'impresa o l'assalto, come in quel verso che si dice delle rime di Dante poscia perdo tutte le mie prove. - 80. pur che l'òra. Solamente che l'aria. -82-4. Cfr. xc. a l'aura. È detto con sentimento doppio,

Ma

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e vale in un tempo all'aria e a Laura (L). 85-98. Ma forse io ho creduto di potere annoverare, cioè contare, le stelle a una a una, e chiudere tutte le acque del mondo in un picciol vaso, quando mi è nato il nuovo, cioè strano, pensiero di raccontare, con una breve canzone, in quante parti il fiore delle altre belle, Laura, senza uscir di sé stessa, ha sparsa la sua luce (che viene a dire, quante cose mi recano alla fantasia la immagine di Laura): il che ella ha fatto, acciocché io mai non mi parta dall' amor suo; cosa che io non sono già per fare; e se anche cerco talvolta di partirmene, ella, con avere sparsa la sua luce in tante parti, mi ha serrato i passi in cielo e in terra, cioè in ogni dove; perocché ogni cosa me la rappresenta al pensiero, onde io mi disfaccio e consumo tutto; ed èlla sta sempre meco per modo, che io non veggo mai né bramo vedere altra donna né chiamo ne' miei sospiri altro nome che il suo (L). - 89. Dei fiori è proprio spargere odore, dice il Muzio, e non luce: se avesse detto il sol de l'altre belle non ci sarebbe che dire. Cosi il T: ma è da stare col Cv, il quale, ricordando a

93. rachiusi, A. 94.

questo passo Zeusi che elesse per formare la sua Venere il meglio delle bellezze delle fanciulle Crotonesi, mostra di prendere it pore per la piú eccellente. Anche in latino il vecchio Ennio << Flos delibatus populi e Catullo XXIV « O qui flosculus es Iuvenciorum».

90. Stando in sé st. Enfasi di lode, data dai filosofi al solo sapiente (P). Cfr. cvir 9-11. 92. se p. talor f. ec. Dante, sestina << Io son fuggito per piani e per colli Per potere scampar da cotal donna, E dal suo viso non mi può far ombra Poggio né muro mai né fronda verde». 99. quant' io p. Tutto ciò che io dico. 100. Al. Rispetto a, in confronto a quello che il mio amoroso pensiero si figura, comprende. Cfr. LXXII 48 e aggiungi questo esempio del Cellini, Vita I VII «mi pareva arte troppo vile a quello che io aveva in animo». Il P. stesso in una canzone fuori del canzoniere (Quel c'ha nostra natura) «mille morti Son picciol pregio a tal gioia e sí nova», e cfr. la canz. seg. 1-2. - 102-3. Il qual pensiero, col conforto che egli mi porge, è sola cagione che in cosí lungo affanno e travaglio ancora io non venga meno (L). pèro. Perisco.

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Non si usa in prosa (Br). - 105. mio cor. I piú | verbio di luogo fa da relativo al concetto,

intendono di Laura. Ma Cv seguíto da Bgl
intende del cuore proprio del p., che essen-
do rimaso con Laura si era cosi allontanato
da lui: cfr. xv. piangendo io.
106. Ma col
detto conforto vengo ritardando il morire,
cioè mantenendomi in vita (L). quinci. L'av-

amoroso pensiero o vero conforto; Bocc. Dec. III 8 «Vi priego che sopra questo vi piaccia darmi alcun consiglio; perciocché, se quinci non comincia la cagion del mio bene, altro bene poco mi gioverà ».

CXXVIII X

Per la guerra intorno a Parma nell'inverno del 1344-45. 1-6. Il poeta, non potendo altro, si propone di almeno compiangere i mali della patria, come è dovere di cittadino. 7-16. Da per sé può ben poco, ma invoca Dio che, per amore dell' Italia, infonda ne' suoi compianti la forza della verità, e l'aiuti si ch'ei possa dire il vero e possano i signori italiani udirlo. 17-20. Domanda ai signori italiani ragione di tante mercenarie soldatesche straniere accampate in Italia. 21-27. Non sono già milizie che vogliano e possano fedelmente combattere le guerre dei signori che le pagano: 28-32. sono una perenne invasione barbarica (e lo provò la Gran Compagnia del duca Guarnieri) procurata e intrattenuta da noi stessi, dai principi, cioè, che dovrebbero respingerla. 33-41. E ciò è contro la natura, che divise con le Alpi e assicurò l'Italia da quei barbari: 42-51. è contro le memorie gloriose della nostra nazione, che più volte li vinse e abbatté. - 52-64. Se ora avviene il contrario, la colpa è dei signori italiani, che per loro tristi cupidigie e discordie cercano e mantengono al loro soldo quelli stranieri. 65-73. Nel che fare danno anche segno di poco accorgimento: perché quei mercenari non vogliono già affrontar la morte combattendosi fra loro d'una stessa nazione per amore dei signori italiani. 74-80. Su dunque, tutti d'accordo, addosso ai barbari, senza paura. 81-88. Non si sentono essi italiani cotesti signori? Amore della patria li persuada e li mova. 89-96. E se essi avranno pietà del popolo straziato, se essi daranno il segno, tutta Italia sarà con loro, e combatterà con l'antica virtú. -97-102. In fine ripensino i signori italiani ch' e' son cristiani, e che la vita umana fugge presto e con essa le sue illusioni, e ch' e' devon trovarsi al giudizio di Dio, dinanzi al quale l'uomo è solo, anche se principe e potente. 103-112. Via dunque gli odi, le discordie, le tristi passioni, e, in vece di far del male al prossimo, procurino la pace la civiltà l'onore della patria. - 113-118. Se bene pericoloso dire il vero, pure il poeta invia la sua canzone a dirlo. 119-122. De' magnanimi ve ne sono, e degli amici del pubblico bene; in essi il p. si fida.

A questa canzone v'è un comento di Luigi Marsili, pubblic. da Carlo Gargiolli, Bologna, Romagnoli, 1863. Né altri commenti particolari noi ne conosciamo di poi fino a un recente intitolato Su la canzone del P. all' Italia, Considerazioni di Giuseppe Bustelli (Catania, Caronda, 1869). Il conte Giovanni Galvani pubblico in una Strenna filologica modenese del 1863 (Modena, tip. dell'Immacolata Concezione) alcune o com' egli le intitolò poche parole su la lezione di questa canzone, secondo spogli ch' ei fece di codici datigli a vedere da Carlo Ludovico di Borbone quando era duca di Lucca; e anche di cotesta nota del dotto filologo abbiamo tenuto conto.

L'Alfieri nota i vv. 1-9, 11-110, 113-122.

'Italia mia; ben che'l parlar sia indarno,

A le piaghe mortali 1.ском ониеpit Che nel bel corpo tuo si spesse veggio;

Piacemi al men ch'e' miei sospir sian quali

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1. ben che 'l parlar sia indarno. D'altro che | (T). Cfr. cxxvII 100. Purg. VII 91 « Rodolfo

di parole si vorrebbe rimediare a si grande pericolo (Mars). - 1-2. Non dice che il parlar a le piaghe mortali dell' Italia sia indarno, ma che indarno è a risguardo delle piaghe ecc.

imperador fu, che potes Sanar le piaghe c'hanno Italia morta». 4-6. Piacemi almeno di far quello che la patria ragionevolmente si aspetta da un buono e pietoso figlio,

PETRARCA Rime

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tal 6 E'l Po dove doglioso e grave or seggio.

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Rettor del ciel, io cheggio

Che la pietà che ti condusse in terra

Ti volga al tuo diletto almo paese.
Vedi, signor cortese,

Di che lievi cagion che crudel guerra:

Ei cor, che 'ndura e serra

Marte superbo e fero,

Apri tu, padre, e 'ntenerisci e snoda:
Ivi fa che 'l tuo vero

(Qual io mi sia) per la mia lingua s'oda.
Voi, cui fortuna ha posto in mano il freno
De le belle contrade,

10. segnor, ha il ms. origin. vaticano.

che è di sospirare e rammaricarmi de' suoi mali (L). Ma forse il p. volle anche dire che gli parea tempo che i suoi sospiri in rima fossero sparsi anche per la patria e non sempre per una donna. 5-6. '1 Tevero, ciò sono li romani, e l'Arno i fiorentini, e'l Po i lom

libus addere curam ? - 8-9. Che quella misericordia che ti condusse a prender carne umana ti mova a rimirar con occhio benigno la tua sacra e diletta Italia (L). - 9. Ti volga. Purg. vI 118 «o sommo Giove Che fosti in terra per noi crocifisso, Son gli giu

bardi. Parlando dello stato di tutta Ita-sti occhi tuoi rivolti altrove? al tu diletto.

lia tocca e' luoghi a' quali per diversi rispetti era tenuto: Roma, perché ivi laureato; Firenze, perché di loro nato in sull'Arno nella città di Arezzo, e Lombardia dove allora stava; e, perché Roma è capo d'Italia, però parlando de' fatti d' Italia la misse in- | - 10. cortese. Il T osserva che, dato in questo

Non che Cristo sia nato in Italia, ma suo per ispeziale amore, che piú Italia che Giudea ha onorata, dandole la sedia papale e la imperiale e l'altre grazie; almo, santo, per i corpi e reliquie che sono in Roma (Mars). luogo a Gesú, pare inferiore e poco: l'Alf. scrive che è per la rima. Meglio nota il Bgl che gli antichi usavano in largo com

nanzi (Mars). Forse volle circoscrivere la penisola per le tre sue piú lodate regioni: anche Dante, Conv. IV 13 «i latini e dalla

parte del Po e dalla parte del Tevero», e' prendimento questo vocabolo a significare

liberale, benefico. Cfr. xxx 83 e la nota. - 11. Di che lievi cagion. E questo è maggior male che se le cagioni fussono grandi e sofficienti (Mars). Quasi la lievità sia, come nota il G°, un principio e seme di confortare alla pace.

12-14. Notabile la simmetrica corrispondenza degli aggiunti e contrapposti: serra, superbo, apri: 'ndura, fero, 'ntenerisci.

il Foscolo, Grazie II 350 [ediz. Chiarini 1882] Al Tebro, all'Arno ov'è piú sacra Italia ». 6. dove. Il L vuole che significhi in riva al quale: ma par difficile recare l'avv. dove a tal significato. Il Bgl. un po' oscuramente dice che dove « modifica l'intero luogo dai detti fiumi circoscritto e non parte». L'Antona-Traversi (Lettere e arti, II 2: Bologna 25 gennaio 1890) osserva che il p., affermando di volersi dolere con parole quali sperano l'Arno il Tevere ed il Po, dimostra per figura che non ragiona de' fiumi, ma de' paesi ne' quali essi scorrono: onde spiega piacemi almeno che i miei lamenti sieno quali spera la regione del Tevere e quella dell'Arno e quella del Po, nella quale doglioso e grave ora io risiedo. Crederemmo si riferisse mentalmente a un sottinteso qui, come chi dicesse: quali il Tevere e l'Arno e il Po sperano qui dove or siedo ec. doglioso e grave. Pien di dolori e di pensieri, or s., ora mi sto (Ai). -7. Rettor del c. Luc. Phars. II 4 cur hanc tibi, rector Olympi, Sollicitis visum morta-ne le mani il freno Del governo del re

14. Apri, ché sono chiusi alle correzioni delle parole mie, e 'ntenerisci, ché sono duri per la usanza, e snoda, ché sono legati da false oppenioni (Mars). 15-6. Ivi, ne' detti cuori.... 'l tuo vero, la verità, chi che se la dica, sempre procede da Dio et è di Dio (Mars). - 17-20. Voi. Isolato, nota il P, come nel son. 1; e vuol dire che questo pronome non è qui soggetto che determini azione di una seconda persona plurale, ma è soltanto apostrofe; come nel 1o sonetto vv. 1-8.

17-8. cui fortuna. Non virtú né altra legittima cagione (Mars). ha p. in m. il fr. De le b. c. Aen. VI 600 « rerumque reliquit habenas. Purg. xx 55 « Trova' mi stretto

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Di che nulla pietà par che vi stringa:
Che fan qui tante pellegrine spade?
Perché 'l verde terreno
Del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:

Poco vedete, e parvi veder molto;
Ché 'n cor venale amor cercate o fede.
Qual piú gente possede,

Colui è più da' suoi nemici avolto.
Oh diluvio raccolto

Di che deserti strani

Per inondar i nostri dolci campi!

Se da le proprie mani

Questo n'aven, or chi fia che ne scampi?

Ben provide natura al nostro stato,
Quando de l' Alpi schermo

Pose fra noi e la tedesca rabbia :

Ma 'l desir cieco e 'n contra 'l suo ben fermo temolo
S'è poi tanto ingegnato,

gno. 19. Purg. VI 116 « E se nulla di noi pietà ti move ». 20. tante pellegrine sp. Tanti soldati venuti dal di fuori. Pellegrino per istraniero, detto anche di cosa, come in lat. peregrinus. Oraz. epist. II I 201 « ludi spectantur et artes Divitiaeque peregrinae»: Ovid. Trist. III I 61 «Signa peregrinis ubi sunt alterna columnis». Juven. VI 297 Prima peregrinos obscoena pecunia mores Intulit». 21-2. Volete forse o sperate che questi barbari spargano it foro sangue in servigio vostro? (L). - 23. Nel chiamare i barbari prezzolati a vostro soccorso (Alf). vi lusinga. Qui il verbo lusingare è usato nel suo proprio senso: vi rappresenta il falso, che piacendo alla vostra inerzia vi si dipinge per vero (Ambr). 25. Luc. Phars. x 408 Nulla fides pietasque viris qui castra sequuntur Venalesque manus: ibi fas ubi maxima merces ». 26-7. Chi ha piú di questa gente mercenaria, piú è circondato da nemici, perché costoro sono tutti naturali nemici dell' Italia (Ai), e datisi per denaro a un signore son pronti a tradirlo per un altro che ne offra loro di più. 28-30. Aen. VII 222 « Quanta per idaeos

l'Italia. 34-35. Quando de l'a. schermo Pose.
Quando pose il riparo e la difesa delle Alpi.
Se non che pare che l'indole della sintassi
italiana avrebbe richiesto l' artic. determi-
nante innanzi a schermo da poi che il p.
l'avea posto tale dinanzi ad Alpi: non sa-
rebbe stato necessario, se in vece di pose
avesse adoperato fece, che allora de le avreb-
be significato relazione di instrumento.
35. la ted, rabbia. I tedeschi rabbiosi e fu-
riosi (Mars). L'astratto per il concreto, come
spesso ne' poeti greci e latini: Oraz. o. I 3
«Perrupit Acheronta herculeus labor ». Que-
sta espressione, ted. rabbia, fu prima ado-
perata da Arrighetto da Settimello nel II
De diversitate fortunae, dove alludendo,
crediamo, a un passaggio di Federigo I per
la Toscana [1184 0 1188?] scrisse: « Et quo-
tiens rabies saevit germanica tuscis Oppida
testantur levia, fracta fides ». 33-5. Il sen-
timento e le parole di tutt' insieme questi
tre versi son prese dagli antichi: Cic. De
prov. cons. XIV « Alpibus Italiam munie-
rat ante natura non sine aliquo divino nu-
mine: Plin. Hist. nat. III xxIII dice che
le Alpi « centum millia excedunt aliquan-

saevis effusa Mycenis Tempestas ierit cam-do, ubi Germaniam ab Italia submovent;

pos: ecl. I < Nos patriae fines, nos dulcia linquimus arva ». 31-2. Se da le pr. mani Questo n'aven... Se questo male ci viene per opera nostra, se ce lo siamo fatto da noi, se li chiamiamo noi, come annota l'Alf. 33. al nostro stato. Allo stato, al ben essere del

nec LXX м. explent reliqua sui parte, graciles veluti naturae providentia: Juven. x 152, di Annibale movente contro l'Italia,

opposuit natura alpemque nivemque ». 36. La nostra cupidigia e l'odio e le altre passioni cieche e ostinate contro il proprio

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