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v. 94. et seg. Ed egli a me : nessun m'è fatto ol traggio ec. Risponde Casella, e dice: sappi che a me non stato tolto terra, nè fattomi oltraggio alcuno; perocchè il galeotto che è a questo officio, non procede altro che giusto; sicchè infino a ora è stato ragionevole, che io abbia tardato di venire a questo luogo ; perciocchè, siccome fui in vana delettazione nel mondo, così a porzione di tempo sono stato invano; e si tosto come mi accorsi di mia vanità, drizzami verso Roma, cioè verso li comandamenti della Chiesa, e a quella mi sottoposi, così fui io libero dalla perdizione eternale. (An.)

e

v. 98-99. Veramente da tre mesi egli ha tolto ec. Questo dice, perchè era l'anno del Giubbileo, e allora Dante cominciò questo Libro nel 1300, sicchè allora era gran perdono a Roma. ( Boc. )

V. 100-102. Ond' io ch'era ec. Cioè io che al mondo mi volsi a quella terra, ove Tevero entra in mare, fassi salso, cioè a Roma, sì fu' io dalAngelo ricolto e recato in questo luogo. (An.)

V. 112. Amor che nella mente mi ragiona Questa fu una Canzone, che l'Autore disse, e che fue intonata per lo detto Casella. (An.)

CANTO III.

ARGOMENTO.

Partitisi i due Poeti, si volgono per salire il mon te, il quale veggendo malagevole oltre modo da potere ascendervi, stando fra se stessi dubbiosi, da alcune anime è lor detto, che tornando a dietro troveranno più liéve salita. Il che essi fanno; e poi Dante ragiona con Manfredi.

Avvegnachè la subitana fuga

Dispergesse color per la campagna, Rivolti al monte, ove ragion ne fruga ; I'mi ristrinsi alla fida compagna :

E come sare'io senza lui corso?

Chi m'avria tratto su per la montagna?
Ei mi parea da se stesso rimorso:
O dignitosa coscienza e netta,
Come t'è picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
Che l'onestade ad ogni atto disinaga,
La mente mia, che prima era ristretta,
Lo 'ntento rallargò, sì come vaga,

E diedi'l viso mo incontra 'l poggio,
Che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.
Lo Sol, che dietro fiammeggiava roggio
Rotto m'era dinanzi alla figura,

Ch'aveva in me de' suoi raggi l'appoggio. I' mi volsi dallato con paura

D'essere abbandonato, quando i' vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura:
E'l mio conforto : Perchè pur diffidi,
A dir mi cominciò tutto rivolto,

Non credi tu me teco, e ch'io ti guidi ?
Vespero è già colà, dov'è sepolto

Lo corpo, dentro al quale io facev❜ ombra : Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto: Ora se innanzi a me nulla s' adombra Non ti maravigliar, più che de' cieli, Che l'uno all'altro raggio non ingombra. A sofferir tormenti, e caldi, e gieli Simili corpi la virtù dispone

Che come fa, non vuol, ch' a noi si sveli.
Matto è chi spera che nostra ragione
Possa trascorrer la 'nfinita via,

Che tiene una Sustanzia in tre Persone,
State contenti, umana gente, al quia:
Che se potuto aveste veder tutto,
Mestier non era partorir Maria :
E disiar vedeste senza frutto

Tai, che sarebbe lor disio quetato,
Ch'eternalmente è dato lor per lutto:
I' dico d' Aristotile, e di Plato,

E di molti altri: e quì chinò la fronte,
E più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo in tanto appiè del monte:
Quivi trovammo la roccia sì erta,
Che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerici e Turbía, la più diserta,
La più romita via, è una scala
Verso di quella, agevole e aperta,
Or chi sa da qual man la costa cala,
Disse 'I maestro mio, fermando 'l passo,
Si che possa salir chi va senz'ala ?

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E mentre che, tenendo 'l viso basso,
Esaminava del cammin la mente
Ed io mirava suso intorno al sasso
Da man sinistra m'apparì una gente
D'anime, che movieno i piè ver noi,
E non parevan, sì venivan lente.
Leva, dissi al maestro, gli occhi tuoi:
Ecco di qua chi ne darà consiglio,
Se tu da te medesmo aver nol puoi.
Guardommi allora, e con libero piglio
Rispose: Andiamo in là, ch' ei vegnon piano,
E tu ferma la speme, dolce figlio.
Ancora era quel popol di lontano,
I'dico, dopo i nostri mille passi,
Quant' un buon gittator trarría con mano,
Quando si strinser tutti a' duri massi
Dell' alta ripa, e stetter fermi e stretti ;
Com' a guardar, chi va dubbiando
O ben finiti, o già spiriti eletti,
Virgilio incominciò, per quella pace,
Ch'i' credo, che per voi tutti s'aspetti,
Ditene, dove la montagna giace,

Sì che possibil sia l'andare in suso :

stassi,

Che 'l perder tempo a chi più sà più spiace, Come le pecorelle escon del chiuso

Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno
Timidette atterrando l'occhio,

e'l muso

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E ciò, che fa la prima, e l'altre fanno, Addossandosi a lei, s'ella s'arresta, Semplici e quete, e lo'mperche non sanno ;

Si vid' io muovere a venir la testa

Di quella mandria fortunata allotta, Pudica in faccia, e nell' andare onesta. Come color dinanzi vider rotla

La luce in terra, dal mio destro canto, Sì che l'ombr' era da me alla grotta, Restaro, e trasser se indietro alquanto,

E tutti gli altri, che venieno appresso, Non sappiendo'l perchè, fero altrettanto. Sanza vostra dimanda i' vi confesso,

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che voi vedete,

Che questi è corpo uman
Perchè 'l lume del Sole in terra è fesso:
Non vi maravigliate; ma credete,

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Che non senza virtù, che dal Ciel vegna, Cerchi di soverchiar questa parete. Cosi'l maestro e quella gente degna, Tornate, disse; intrate innanzi dunque, Co' dossi delle man facendo insegna. E un di loro iucominciò: Chiunque Tu se', così andando volgi 'l viso: Pon mente se di là mi vedesti unque. I' mi volsi ver lui, e guardai 'l fiso: Biondo era, e bello, e di gentile aspetto: Ma l'un de' cigli un colpo ave' diviso Quandò i' mi fui umilmente disdetto D'averlo visto mai, ei disse: Or vedi : E mostrommi una piaga a sommo I petto : Poi disse sorridendo: 'son Manfredi Nipote di Costanza Imperadrice:

e d'Aragona,
s'altro si dice,.

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Ond'i'ti priego, che quando tu riedi,
Vadi a mia bella figlia, genitrice
Dell' onor di Cicilia
E dichi a lei il ver,
Poscia ch'i' ebbi rotta la persona
Di duo punte mortali i'mi rendei
Piangendo a quei, che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei :

Ma la Bontà 'nfinita ha sì gran braccia,
Che prende ciò, che si rivolve a lei.
Se 'l Pastor di Cosenza, ch'alla caccia
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse'n Dio ben letta questa faccia,
L'ossa del corpo mio sarieno ancora

In co' del ponte, presso a Benevento,

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