Slike stranica
PDF
ePub

MEMORIE

Antonio Onofri e le sue ambascerie.

(da documenti inediti)

I.

RELAZIONI FRA BONAPARTE E LA REPUBBLICA DI S. MARINO.

Quando sulla fine del secolo scorso il Bonaparte abbatteva e trasformava parte con le armi e parte con la frode tutti gli Stati d'Italia, si fermava dinanzi ad uno solo, e prendendolo sotto la sua protezione, ne rispettava interamente l'autonomia: e questo era la Repubblica di S. Marino. Il più piccolo ed il più antico degli Stati d'Europa aveva sin allora divise con gli altri le sorti e le aspirazioni, ma in quell'occasione, quando riconobbe i vantaggi della sua modestia, fini di persuadersi la sua salute non potergli mai venire dal di fuori, ma doverla cercare nel suo seno. Perchè fu la modestia di fronte alle offerte del Grande Conquistatore che salvò la Repubblica, della quale dopo il 1815 non sarebbe forse rimasto che il nome negli Archivi, se, trascinata dall'ambizione, avesse accettato un ingrandimento di territorio, un porto di mare, cannoni e tante altre cose da divenire uno Stato di qualche importanza.

L'interesse di questo periodo di storia mi parve tanto grande e fatto risaltare tanto poco da quelli che ne parlarono, che ho voluto raccogliere i documenti relativi, che mi è stato possibile trovare nell'Archivio Governativo di questa Repubblica ed i giudizi tanto numerosi e differenti che furono espressi in proposito, e farne un sunto, per quanto mi è stato possibile, esatto e fedele. Poca ne sarà l'importanza per la storia generale, ma trattandosi di un uomo, che

Rivista Storica Italiana, XI.

14

per un quarto di secolo ha fatto tremare e spesso detronizzati principi, re, imperatori e papi, sarà bello vedere come e perchè questo colosso ristasse riverente alle falde del Monte Titano, senza osare di salirne la vetta.

E qui sorge spontanea la domanda: Avrebbe potuto la Repubblica di San Marino non solo mantenersi autonoma, scampando sempre da ogni pericolo, ma venir anche in più alto grado di fama e di riputazione, senza l'abilità politica e la prudenza di qualche ingegno, che in tanto critiche circostanze la reggesse e la conducesse a buon porto? Certamente no: e scopo di questa narrazione sarà appunto di mostrare la parte precipua che ebbe allora nel governo della sua patria un uomo, nella vita e nell'opera del quale si concentra per trentacinque anni la storia della Repubblica.

Quest'uomo è Antonio Onofri, che per il suo carattere fu da Bartolomeo Borghesi chiamato un gentil cavaliere, un ornamento delle conversazioni, un fior di galantuomo: e per i suoi studi un facile e polito scrittore, un parlatore facondo, un religioso filosofo, un acuto politico, un uomo di stato finalmente capacissimo a sostenere eziandio il gran carico di ogni più esteso governo (1). Di tali doti essendo fornito l'Onofri, non è meraviglia se in mezzo alle burrasche del suo tempo riuscisse a destreggiarsi con abilità straordinaria di fronte ai continui cambiamenti di governo nei paesi vicini, traendo fuori da ogni pericolo e da ogni angustia la sua Repubblica, da cui si ebbe il titolo di Padre della Patria, esempio unico negli annali sammarinesi, rarissimo in quelli degli altri stati.

La nobile famiglia degli Onofri a S. Marino era antichissima. Fiorente per ingegno e per zelo, essa aveva riempito di sè non poche pagine della patria storia. Nella serie cronologica dei Capitani Reggenti si ricorda un Francesco di Sebastiano Onofri, che resse la suprema magistratura fin dal 1548; ed il 25 ottobre 1739 il dottor Giuseppe Onofri, invitato ai piedi dell'altare dal Cardinal Alberoni a giurargli fedeltà, benchè cinto dai birri, e certo che non gli poteva incogliere che male, giurò che sarebbe rimasto sempre fedele alla sua Repubblica e nello stesso luogo e momento Antonio Onofri, avo del nostro, con generoso ardimento, a costo della propria vita, accingevasi a punire di morte la perfidia dell' Ortolano piacentino nell'atto stesso, in cui entro quel sacro recinto consumava quel

(1) BORGHESI BARTOLOMEO, Orazione funebre detta nelle esequie di A. Onofri il 29 maggio 1825. Rimini, tip. Albertini, 1862.

l'opera nefanda dell'eccidio della libertà di S. Marino; e l'avrebbe fatto, se mano troppo tenera nol tratteneva (1). Ed il figlio di lui Francesco, col suo ardore e co' robusti suoi scritti, seppe sostenere, da rinomato giureconsulto qual era, l'indipendenza della patria, contrastata a più riprese dagli avidi legati di Romagna.

Antonio Onofri nacque a S. Marino il 28 dicembre 1759 da Francesco e da Caterina Angeli, ambedue di famiglie patrizie. Giovanissimo fu messo a studiare nel Collegio dei PP. Filippini in Sinigallia, presso uno zio, Vicario generale di quel Vescovo, e uomo spettabilissimo per sapere e per probità; ed ivi nel compiere gli studi si distinse non poco per la perspicacia e prontezza somma nel cogliere il segno in qualunque controversia gli si presentava, mostrando fin d'allora quella buona volontà e quell'ingegno, che lo dovevano rendere così caro ed utile ai concittadini ed alla patria (2). Fatto ritorno in S. Marino si diede fervoroso allo studio delle leggi, sotto la scorta delle dotte lezioni paterne; e quasi antivedendo qual parte. gliene dovesse più abbisognare nel corso della vita, attese in ispecie al Diritto Pubblico, nel quale riuscì versatissimo, addestrandosi profondamente in esso, e facendone soggetto di spesse discussioni e di profondi ragionamenti.

Nell'ottobre 1787, essendo reggente il padre, cominciò a fungere da prosegretario nelle Adunanze del Consiglio Principe, con violazione, se non della legge, almeno dell'usanza, che il segretario fosse consigliere; e il 16 aprile 1789, dopo la rinuncia del signor Leonardelli, venne dal Consiglio eletto al posto di segretario effettivo, in considerazione delle premure con cui, quel supplente, aveva disimpegnato quell'ufficio per il corso di due anni. Nel marzo del 1788 fu dal Consiglio stesso nominato archivista aggiunto unitamente a Camillo Bonelli, figlio dell'archivista capo Giambattista Bonelli (3). Nè guari andò che, morto il padre, fu destinato a succedergli nel posto di consigliere, ed eletto a pieni voti nell'Adunanza del 22 novembre 1789, venne così chiamato a parte delle pubbliche cure, alle quali consacrò interamente tutto il resto della sua vita laboriosa (4).

(1) BORGHESI B., l. c.

(2) BRIZI ORESTE, Biografie degli illustri sammarinesi. N. 17. Arezzo, 1886. (3) MALAGOLA CARLO, L'Archivio governativo di S. Marino. Cap. 2, pag. 9. Bologna, Zanichelli, 1891.

(4) Archivio governativo della Repubblica di S. Marino. Atti del Consiglio Principe. Dal 1786 al 1796. Libro HH, N. 32, Busta 22, a carte 118.

Fu reggente la prima volta con Girolamo Paoloni nel 1791, e poi di nuovo con Marino Francesconi nel 1796 quando le armi francesi si avvicinavano minacciose ai confini della Repubblica, che ignara dell'animo del vincitore verso di lei, osservava con batticuore dall'eccelsa vedetta popolarsi di armati le rive dell'Adriatico. E crebbe lo sconforto quando furono manifesti i primi sentimenti del Bonaparte, che imperioso domandava che gli si consegnasse un ecclesiastico, il quale con la fuga aveva provveduto alla propria salvezza. Da questo punto cominciano a manifestarsi lo zelo e l'abilità dell'Onofri, che conobbe tutta la gravità del sovrastante pericolo, e qui è necessario narrare le cose nei loro particolari.

All'avvicinarsi della procella monsignor Ferretti, vescovo di Rimini, era fuggito a Serravalle, castello del territorio di S. Marino, portando seco una gran parte dei suoi effetti in arredi e tesori, ed il 4 febbraio scriveva ai Reggenti della Repubblica che le critiche circostanze dei tempi lo avevano condotto a ricoverarsi sui confini della sua diocesi. Si riserbava poi di riverirli in S. Marino al più presto, e si augurava che la sua presenza fosse loro bene accetta, per la particolare considerazione che i Reggenti ebbero sempre per i vescovi di Rimini. Temeva forse il monsignore che nella sua città fossero per rinnovarsi dei fatti d'armi come quelli di Faenza, dove fra gli uccisi si noverarono dei preti, che quando ardeva la battaglia, avevano animati i soldati del pontefice a combattere, e questo si dice che narrasse non senza scherno lo stesso generale repubblicano. Ma più di questi valorosi mi sembra degno di scherno il vescovo Ferretti, che lasciando la propria sede nel momento del pericolo, si rifugge al sicuro in un territorio neutrale. Il giorno seguente scrisse di nuovo alla Reggenza che non poteva più approfittare dell'ospitalità della Repubblica, e che per sua sicurezza si era dovuto allontanare anche da Serravalle (1).

La fuga del vescovo dovette irritare grandemente il generale dell'esercito francese, tanto più che quegli aveva portato seco buona parte dei suoi tesori ; e la mattina del giorno 6 un messo si presentava ai Reggenti di S. Marino con una lettera del generale Alessandro Berthier, spedita a nome del generale in capo Bonaparte. In essa dopo aver esposto come il vescovo, predicata la discordia e la strage contro i francesi, ed essersi allontanato in tutti i modi ed

(1) Archivio governativo della Rep. di S. Marino. Reggenza. Carteggio. Lettere alla Repubblica. Dal 1797 al 1799. Busta N. 148.

in tutti i rapporti dal carattere sacro che rappresenta per eccitare il popolo a tutti gli eccessi, si era ritirato nel territorio della Repubblica, il generale vuole e domanda, per la buona intelligenza che deve esistere fra la Repubblica francese e quella di S. Marino, che si faccia sul momento trarre in arresto monsignor Ferretti, sequestrando tutto quanto aveva portato seco. Essendo certo che il vescovo è nel territorio della Repubblica, aggiunge che quando non si preferisca di farlo condurre a Rimini sotto buona scorta che ne risponda, il generale manderà immediatamente 2000 uomini; che intanto si prendano tutte le precauzioni possibili perchè l'arresto si faccia nel più grande segreto, acciò non sia prevenuto anticipatamente, perchè la responsabilità sarebbe ricaduta in tutti i modi sopra la Reggenza.

Una lettera di questo tenore, scritta in quelle circostanze non era certamente di quelle che ammettono repliche. I Reggenti pensarono che non era quello il momento di far valere la propria indipendenza con un tal vicino che parlava così chiaro, e risposero sul momento che si sarebbe fatto quanto domandava il generale; che però il vescovo la sera del 5 era partito da Serravalle, e passando alle falde del Titano era andato a Montegiardino, altro castello sul confine della Repubblica; che in ogni modo sull'istante era stato spedito un ufficiale con alcuni soldati a quella parte con istruzione di far seguire l'arresto, quando il vescovo vi si trovasse ancora; e che un'altra simile spedizione era stata fatta a Serravalle, per assicurare qualunque cosa avesse potuto lasciarvi. E la lettera spedita al Berthier e stesa dall'Onofri, finiva: «Vi assicuriamo, cittadino generale, ed << assicurate in nome nostro il supremo generale in capo che per < parte nostra si procederà con tutta premura e lealtà, e che non << avrete mai a lagnarvi di una piccola popolazione povera, altret<<< tanto che ambiziosa della libertà che gode da tempo immemo<< rabile ».

Questo che poteva interpretarsi come un complimento, poteva anche essere un tasto toccato per conoscere le intenzioni che il generale potesse avere riguardo alla Repubblica, e forse non fu del tutto indifferente sul suo animo, ed influi a fargli prendere la deliberazione di rispettare ed onorare quel piccolo Stato. La Reggenza appena ricevuta la lettera del generale Berthier non aveva agito di moto proprio, come del resto in simili circostanze ne avrebbe avuto il diritto, salvo poi a farne la debita relazione al general Consiglio, ma aveva adunata la Congregazione Deputata per gli affari esteri,

« PrethodnaNastavi »