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interi e mozzi. Imperciocchè non accade sempre che il principio del mese cada nello stesso giorno, e ciò in conseguenza del calcolo e della prima fase lunare. Succede quindi ch'essi non s'uguaglino se non dopo un tratto di tempo ».

Nè qui finiscono le difficoltà per chi è obbligato di calcolare. Alfragano nota ancora: che il giorno civile degli arabi comincial col tramonto del sole e finisce al tramonto successivo; e che presso gli arabi il primo giorno d'ogni mese comincia col primo apparire della luna nuova, ciò che succede al tramonto circa del sole. Ma presso i romani ed altri che non calcolano i loro mesi dalle fasi lunari, si premette il giorno alla notte, e il loro giorno civile comincia col levar del sole e finisce al susseguente levare di esso.

Non pare che Alfragano abbia proprio scritto tutto questo, perchè ci serva a trarre la più bella prova per ripudiare quella sostituzione secondo l'usanza d' Arabia, e per poter meglio difendere Dante dall' accusa che giustamente si sarebbe meritata, s' egli, italiano, si fosse permesso di scriverla secondo l'usanza d' Arabia invece di quel suo bellissimo secondo l'usanza d'Italia?

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Egli, fiorentino, s'astenne d'indicarne quella ora prima del nono giorno del mese secondo l'usanza di Firenze, ed avrebbe egli indicato quell'ora e quel giorno agli italiani servendosi dell'usanza d'Arabia tanto diversa da quella di Firenze e d'Italia? Si rifletta a ciò che ne disse Alfragano dei mesi lunari degli arabi; del primo giorno di essi mesi, e della prima ora del giorno civile, che era la prima dopo il tramonto del sole, mentre per gl'italiani era la prima quella dopo la sua levata; e si pensi quanti calcoli e quanto complicati e difficili non sarebbe stato obbligato Dante di fare per conoscere quale fòsse quell' ora prima del giorno civile d' Arabia corrispondente a quella prima del nono giorno d'Italia, ora certo a lui ben nota, e riportatagli forse da qualche fantesca della famiglia di Beatrice? E avrebbe Dante potuto pretendere dai suoi lettori che sapessero anch'essi tutto quel divario tra i calendarii arabo ed italiano, e fossero idonei a farne i calcoli per risapere quell'ora e quel giorno che v'intendeva d'indicare; e ciò senza pure apporvi, come fece valendosi dell' usanza di Siria, un perchè, il quale li ponesse almeno sulla via da potervi trovare il vero? Sì, Dante prendeva gusto di dare un po' di difficoltà al lettore; ma, come dice il Barbi stesso, quella difficoltà dovea avere i suoi limiti e questo dissi io pure altrove.

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Giornale Dantesco

14

Io dico pertanto che il primo, a cui nelle tre usanze d'Italia, di Siria e nella nostra, urtò i nervi non l'usanza di Siria, ma proprio quella d'Italia, dev'essere stato uno di que' tanti zelatori che s'affannano per ricostituire i testi nella loro genuinità; e ch'egli, leggendo o, piuttosto, studiando quel paragrafo della Vita Nuova, si ricordò di aver letto in quel capitolo di Alfragano, che, innanzi alla notizia dell'anno di Siria, vi sta quella dell'anno d' Arabia, come s'è veduto; e senza pensar ad altro, per non aver a mano l'Alfragano, credette di avervi trovato la lezione genuina. Vi sostituì quindi nel suo manoscritto l'usanza d' Arabia a quella, irritante i nervi, usanza d' Italia: con che egli ebbe tre usanze diverse, d'Arabia, di Siria e la nostra degli anni domini, o d'Italia. Gli riuscì così di togliere quel brutto sconcio di avere per prima l'usanza d'Italia, per secondo quella di Siria, per terza la nostra, con che si ha una seconda volta quella d'Italia, la quale turbava l'ordine! Ma quella sostituzione fu effetto di colpevole inconsideratezza appunto per non aver egli raccolto tutte le prove che, come dice il Barbi, sicuramente confermano la variante da lui sostituita alla lezione primitiva.

Di tale mancanza il Barbi incolpa e quelli che tengono quale vera lezione genuina quella che porta secondo l'usanza d'Italia e ne respingono la sostituita secondo l'usanza d' Arabia; e quelli pure che sostengono essere stato quel passaggio dei peregrini del §. XLI nel tempo del Giubileo del 1300; e che la composizione della Vita Nuova sia da riportarsi all' anno stesso, mentre la lezione va ci è di prova che e quel passaggio e la composizione della Vita Nuova debbano ritenersi avvenuti nei primi anni dell'ultimo decennio del secolo XIII.

lo mi dichiaro di appartenere agli uni e agli altri dal Barbi incolpati di non aver osservato, com'egli dice, quel canone crifico; e per le prove in contrario da me addotte, ripeto: che la lezione genuina del § XXX è quella della vulgata secondo l'usanza d'Italia, e doversi ripudiare quella d' Arabia, perchè assolu tamente inammissibile.

Di più, a scanso di malintesi, dico ch'io pure tengo per vera lezione genuina il va nel §. XLI; alla quale fu probabilmente sostituito l'andava, per quell' andavano che trovasi nella divisione del paragrafo stesso in quel « chiamansi romei, in quanto vanno a Roma, là ove questi, ch'io chiamo peregrini, andavano ». Ma nego

che quel va dia la causa vinta a quelli che dicono che la Vita Nuova sia stata composta avanti il 1300, cioè, come l' A. alla p. 14 dice: « data ormai fissata ai primi anni dell' ultimo decennio del secolo XIII»; fissata però senza dire qual anno esso sia! E lo nego perchè vi si oppone il principio del §. XLI con quel suo dopo questa tribolazione avvenne quel passaggio dei peregrini; perchè quella tribolazione ebbe principio col primo apparire della Donna Gentile nell'agosto 1293; perchè la prima canzone in onore di lei fu scritta nel febbraio 1296, dopo la quale data furono scritte, eccettuatene forse poche, tutte le altre rime dedicate alla Donna. Gentile o da essa a Dante inspirate prima ch' egli desse l'addio alla Donna Gentile e che i pensieri di lui tutti si rivolgessero una seconda volta alla sua Beatrice, e prima che fosse avvenuto quel passaggio dei peregrini per Firenze: prove tutte tratte dalla Vita Nuova e dal Convivio e non soggettive; tutte contradicenti quella data fissata ai primi anni di quel decennio, e ciascuna delle quali tale da confutar, essa sola, quella data.

E finisco dicendo che, tanto l'autore di quella sostituzione nel suo manoscritto secondo l'usanza d' Arabia, e gli autori di quella deduzione tratta dal va, come tutti quelli che, inchinandosi all'autorità di chi accetta quella sostituzione e quella deduzione, sono colpevoli di non aver osservato quel prezioso canone critico ricordato dal Barbi: colpa però nella quale possono facilmente incorrere i singoli dotti, se singoli e non parecchi siano incaricati di provvedere da sè soli ad una critica edizione dei testi antichi più volte trascritti.

ANTONIO LUBIN.

GRAZIOLO BAMBAGLIOLI ESILIATO A NAPOLI

Il prof. Antonio Fiammazzo allorchè attendeva a pubblicare il commento di Graziolo Bambaglioli secondo il codice Sandanielese mi richiese se conoscevasi la data precisa dell'anno in cui fu eletto a far parte degli Anziani il nostro Bambaglioli, e gli risposi negativamente. Si suol dire che peccato confessato è mezzo perdonato, ed io confesserò francamente al prof. Fiammazzo di non aver fatto allora ricerche abbastanza diligenti per rispondere alla sua richiesta; poichè la data precisa dell' elezione del Bambaglioli all' Anzianato si conosce ed è indicata da Pancrazio Molinari nell'opera: Li Consoli, Anziani Consoli e Gonfalonieri di giustizia della città di Bologna, ove sotto la data del giugno 1324 è registrato il nome di Bonagrazia de' Bambaglioli eletto a far parte degli Anziani per un trimestre, come era d'uso; e poichè il suo nome più non appare dopo l'agosto di detto anno e la notizia è ricavata da documenti tuttora esistenti presso l'Archivio di Stato di Bologna 2, non si può dubitare che il Bambaglioli sia stato inscritto fra gli Anziani dal giugno all'agosto del 1324.

Un altro punto della vita del cancelliere bolognese che rimane tuttora oscuro è quello che riguarda il suo esiglio. Nel 1334, com'è noto, più di mille e cinquecento cittadini di parte guelfa furono banditi da Bologna, e fra questi nove della famiglia Bambaglioli, cioè: Muzzante e Marcolino di Matteo, Succio e Berto di Amico, Pietro di Luca e Francesco di Bambagliolo, che furono esiliati come ribelli del Comune di Bologna. Graziolo trovasi registrato collo zio Uguccione fra i banditi nel mese di marzo per il Quartiere di Porta Stieri e nuovamente nella terza muta de' confinati il 2 giugno 1334, sempre in compagnia di Uguccione. Ma in quale città cercasse rifugio l'ex-cancelliere bolognese finora fu ignoto a quanti scrissero

1 Bologna, 1788, tomo I, p. 923.

2 Libri di Riformagioni, lettera U, car. 121.

di lui, nè io fui più fortunato degli altri quando nel 1891 raccolsi di ser Graziolo le poche notizie biografiche che ci sono pervenute 1.

Al dott. Emilio Orioli, sottoarchivista presso questo Archivio di Stato, devesi il fortunato ritrovamento di quattro documenti 2 che ci fanno conoscere ove il Bambaglioli abbia passati gli ultimi anni di sua vita, poichè dovette abbandonare la città natale ed ogni cosa diletta », ed ebbe egli pure a sperimentare

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come sa di sale

lo pane altrui, e com'è duro calle

lo scendere e il salir per l'altrui scale.

Quelli che erano esiliati dovevano, nel termine di tempo prescritto, sotto pena della confisca dei beni, dare sicurtà, ovvero fare pubblicamente attestare la loro presenza nella città assegnata per luogo di confine. E così pure fece il Bambaglioli, come risulta dai documenti qui appresso pubblicati, che attestano al comune di Bologna la sua presenza in Napoli dal 14 agosto 1334 al 27 marzo 1335, ove era Vicario di Manfredo conte di Sartiano capitano della città di Napoli per re Roberto.

Con ciò si spiega pure perchè il Trattato delle volgari sentenze sopra le virtù morali, composto certamente nel tempo del suo esiglio, sia stato dedicato a Bertrando del Balzo conte di Monte Scagioso, cognato di Roberto re di Napoli, che in que' tempi era capitano di guerra dei fiorentini.

LUDOVICO FRATI.

I.

Presentacio confinium ser Gracioli de Banbaglolis. (14 agosto, 1334).

In Dei nomine amen. Anno Domini millesimo trecentesimo tricesimo quarto, Inditione secunda, die quartodecimo mensis Augusti Neapoli Gra

1 Notizie biografiche dei rimatori ital. dei sec. XIII e XIV, nel Giornale storico della letter. ital, vol. XVII, p. 367-380.

* Si trovano fra le Accuse ed atti giudiziari dal 1334 al 1335.

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