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LEZIONE OTTAVA.

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SOMMARIO.

Tutti i popoli in tutti i tempi credettero alla necessità della espiazione. Come questa universale credenza fosse santificata dal Cristianesimo. Si prova avere il poeta nella cantica del Purgatorio mostrato il modo, col quale l'uomo viene all' emenda. Bellezze di questa cantica. Sue mirabili descrizioni: perchè vi si incontrino spesso immagini tolte dalla campagna. Varietà di modi in concetti simili o uguali. Dante raggiunse e superò spesso gli effetti della scoltura. Da ciò si viene a parlare della proprietà dello stile. - Pittura meravigliosa degli angioli. - Trionfo di Beatrice. sione finale di questa seconda cantica.

- Vi

Non è mai stato popolo alcuno, comecchè barbaro ed ignorante, che non abbia adorata una causa prima di quanto vive e si muove nell'universo. Quindi i pensieri e gli affetti di religione sono in tutti gli uomini da natura. Nè l' idea del sommo Creatore discese mai in mente d'uomo scompagnata da quella di sua giustizia. Però tutti credettero fermamente ch' Egli, avendo in orrore il male e in amore il bene, rimeriti questo di premii e quello punisca. Vero è che spesso gli uomini s' ingannarono nella estimazione dell' uno e dell' altro: onde apposero il nome di buone a cose e ad azioni, che turpi o malvage avrebbero dovuto chiamare. Non toglie questo però che l'idea della eterna giustizia non fosse in loro. Quindi a placarla furono i sacrifizii ordinati, e tutte le religioni ebbero riti solenni di espiazioni. Alla

quale erano in gran parte rivolte le cerimonie de' piccoli e de' grandi misteri che si celebravano in Eleusi. Ma essendo le religioni antiche nate dal senso, i modi di purgazione da quelle trovati erano tutti sensibili, facendosi ora con l'acqua lustrale, ed ora col fuoco. E benchè ai Greci e ai Romani il vero giungesse annebbiato e fosco nelle dottrine di religione, pure essi in parte videro per quel lume che Dio comunica a tutte le sue creature nobilitate da esso con la ragione: e però stimarono dovere nella vita futura continuare l' espiazione che fu cominciata in terra. Ciò si raccoglie da questi versi di Virgilio:

Quin et, supremo cum lumine vila reliquit

Non tamen omne malum miseris, nec funditus omnes
Corporea excedunt pestes: penitusque necesse est
Multa diu concrela modis inolescere miris.

Ergo exercentur pœnis, veterumque malorum
Supplicia expendunt

Donec longa dies, perfecto temporis orbe,
Concretam exemit labem, purumque reliquit
Etherium sensum, atque aurai simplicis ignem.
Has omnes ubi mille rotam volvere per annos
Lethæum ad fluvium Deus evocat agmine magno:
Scilicet immemores supera ut convexa revisant
Rursus, et incipiant in corpora velle reverti.1

1

Ed oltre a ciò, morendo,

Perchè sian fuor de la terrena vesta,

Non del tutto si spoglian le meschine

De le sue macchie; chè 'l corporeo lezzo
Si l'ha per lungo suo contagio infette,
Che scevre anco dal corpo, in nuova guisa
Le tien contaminate, impure e sozze.
Perciò di purga han d'uʊpo, e per purgarle
FERRUCCI, Lezioni. - I.

15

Qui è chiaramente significata la purgazione dell' anima sciolta dal corpo, quale però doveva essere immaginata in una religione fatta dall' uomo. Imperocchè quel lungo aggirarsi dello spirito per mille anni in mezzo ai tormenti, per poi aver fine nel suo ritorno alla terra, non è conforme alla natura di esso, che tende a Dio. Ma gli antichi, inceppati e stretti dai sensi, non potevano pensare felicità, che in quelli non avesse principio o non terminasse. La vita per essi era beatitudine somma: e quindi estimavano che i buoni, purgati d' ogni bruttura terrena, dovessero avere in premio la vita.

L'Evangelo, ordinando che l' uomo espiasse i suoi falli col pentimento, ridusse a certezza di dogma i confusi presentimenti del genere umano intorno alla nostra

Son de l'antiche colpe in varii modi
Punite e travagliate: altre ne l'aura

Sospese al vento, altre ne l'acqua immerse,

Ed altre al foco raffinate ed arse:

Chè quale è di ciascuna il genio e 'l fallo,

Tale è 'l castigo. Indi a venir n'è dato

Ne gli ampi elisii campi; e poche siamo,
Cui si lieto soggiorno si destini.

Qui stiamo infin che 'l tempo a ciò prescritto

D' ogni immondizia ne forbisca e terga,
Sì ch'a nitida fiamma, a semplice aura,

A puro eterio senso ne riduca.

Quest' alme tutte, poichè di mill' anni
Han vòlto il giro, alfin son qui chiamate
Di Lete al fiume, e 'n quella riva fanno,
Qual tu vedi colà, turba e concorso.
Dio le vi chiama, acciò ch' ivi deposto
Ogni ricordo, men de' corpi schive,
E più vaghe di vita, un' altra volta
Tornin di sopra a riveder le stelle. >>

Libro vi, traduz. del Caro.

vita avvenire. E insegnandoci che le anime di coloro, che trapassarono nella fede di Gesù Cristo, vanno in luogo, dove i tormenti da un'amorosa speranza sono addolciti, e che le preghiere e le lagrime di chi li ama nel nostro mondo affrettano il tempo della loro ultima purgazione, ristrinse insieme con dolcissimo nodo i vivi ed i morti. Ed in vero quale conforto avrebbe colui, che, avendo composto dentro il sepolcro i genitori, la sposa, gli amici, i figli, si strugge nel desiderio di rivederli, dove non tenesse per fede amarlo quelli e pregare per lui; potere egli con le ferventi orazioni alleviare le dovute pene alle anime loro; non essere dalla morte sciolti i legami che insieme qui già gli univa; e dopo breve patire e brevi fatiche tornare i buoni al seno di Dio? Allorchè io volgo nella memoria gli anni passati, e ricordo il mio venerato padre, le mie sorelle, il mio figliuoletto,' da me partiti quando più aveva bisogno l'anima mia della loro presenza e del loro affetto, mi vince tanto il dolore, che quasi non ho più forza per tollerarlo. E per una loro parola, per un sorriso del mio povero bambinello, darei le ricchezze tutte. del mondo, darei la gloria, se fossero in mio potere, darei volentieri la vita mia. Ma se io penso che quelli o vivono in Dio, o tra poco debbono a Lui salire, mi

1 Mentre io scriveva queste parole era lieta e fiorente di sanità la mia cara figliuola Rosa, la quale erudita quanto modesta, e piena di un senno superiore alla sua età mi fu di grande aiuto nel comporre queste Lezioni. Pochi mesi dopo morì, e alcuni anni dopo morì la mia veneranda madre. Come potrei sopportare tante sventure, se non mi sostenesse la fede in Dio, rimuneratore dei buoni, e non avessi conforto dalla speranza di ritrovare nel cielo quelli, che io piango e desidero sempre qui sulla terra?

pento delle mie lagrime, ho quasi rimorso de' miei sospiri, e fra me dico con vivissima tenerezza: benedetta la religione che insieme congiunge il tempo e l'eternità! benedette le sue promesse e le sue speranze ! benedetta la fede, per cui crediamo che il pianto versato in terra si muti in allegrezza nel cielo !

La dottrina della espiazione è il soggetto della seconda parte del gran poema. In essa domina la mestizia ed una cara soavità d'immagini e di pensieri. Il che è conforme alla natura del tèma. Perchè nel pentimento non solo è dolore del male da noi commesso, ma melanconico desiderio del bene che non facemmo, e che avremmo potuto fare. La speranza ne tempera l'amarezza e la carità lo addolcisce. E perchè Dante, invece di penetrar col pensiero nella coscienza dell'uomo a considerarvi l'origine ed il progresso della sua emenda, si transferisce, siccome già nell' Inferno, fuori del tempo, e canta l'espiazione delle anime separate dai corpi loro, il luogo stesso ch'ei sceglie quasi a teatro delle sue mirabili fantasie gli apre il campo alla descrizione di tenerissimi sentimenti. Chè durando nei trapassati l'amore verso i congiunti e gli amici, il poeta ha facoltà di ritrarre ciò che più muove i cuori gentili; e le pietose memorie, la gratitudine, la compassione danno al suo stile tanti colori, quante sono le gradazioni di questi affetti nel cuore umano. Ma prima di esporre le bellezze di questa cantica, che, a parer mio, è la più bella, osserveremo di volo siccome Dante nel mondo invisibile tratteggiasse l'emenda dell'uomo che torna a Dio, e ad espiare i suoi falli tollera con amorosa pazienza dolori e pene.

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