i CLXIV Mostra il misero suo stato, prima per comparazione di tutte le cose che di notte hanno ri poso, poscia per la qualità della miseria (Cv). 4 8 L'Alfieri nota tutto. Or che 'l ciel e la terra e 'l vento tace E le fere e gli augelli il sonno affrena, Move 'l dolce e l'amaro ond' io mi pasco; 11 E perché 'l mio martír non giunga a riva, 14 3. '1 carro, 4. 1. Inf. v 96 Mentre che 'l vento come fa | si tace». - 2. affrena. Tien legati (L). Ritiene che non si muovano né cantino (G°). 3. Notte. Ed or che notte (Ai). il carro st. Non quel di Boote, come vuol G°; ma quello cui accenna Tibul. II 1 Ludite: iam nox iungit equos, currumque sequuntur Matris lascivo sidera fulva coro». - 4. senz' o. Senza ondeggiamento, tranquillo (Ai). Staz. Theb. III 256 longa ventorum pace solutum Aequor et imbelli recubant ubi litora somno». - 5. chi mi sf. Colei che mi disfà, mi consuma (Bgl). 6. m' è inansi. Presente al pensiero (L). 7. d' ira contro sé (Bgl). Ch' egli sentiva del non poter riposare o trovar pace (G°). Affanno (Cv). - 9. Di quella sola persona ch'è in sé tutta pace e purezza (Bgl). - 10. Move. Deriva, proviene (L). - 11. mi risana, quanto « Di quei di prima bussola » dice il T; e il Mur lo conterebbe volentieri per un de' mi- Nox erat, et placidum carpebant fessa soporem Anche Stazio, Sylv. v 4 ..... Tacet omne pecus volucresque feraeque, Piú pittorico il latino, piú musico l'italiano. Nelle quartine è la natura eterna, come la sen- 1. Come. Cosí tosto come (Bgl). - 3-4. Par | Guinizzelli «Al cor gentil ripara sempre che (una] virtú esca delle tenere piante sue, amore». E il P. altrove, cxxvII 25 « Fiam- 11. 12-3. Di t. q. fav. Cioè andar, guardi, parole ed atti (T). Inf. VI 74 « Superbia invidia ed avarizia sono Le tre faville c'hanno i cuori accesi». - 12. e n. g. sole. Perché sono in Laura altre bellezze producitrici d'amore (Cv). - 13. vivo. Avea detto esca (D). ardo. Risponde a faville e a foco (D). - 14. Che. In modo che (Bgl). Cfr. XCVIII 3. son fatto u. a. n. al s. Sono diventato come è un uccello notturno posto al sole, perché gli effetti che Laura opera in me sono tali che io non vi posso reggere piú che un uccello notturno alla luce del dí (L). CLXVI Risponde per le rime ad altro sonetto di anonimo che incomincia Vo' mi negate la virtú che nunca, conservato nel ms. Riccardiano 1103 c. 114*. Il senso di questo del P. è, che, se in vece di andare attorno viaggiando e in servigio delle corti, fosse rimasto nella sua solitudine di Valchiusa e avesse perseverato negli studi, egli sarebbe riuscito poeta veramente; ora, senza un aiuto di Dio, non lo spera piú. Il Men. pone questo sonetto come scritto allo stesso tempo che l'altro Se l'onorata fronde [XXIV] e in una medesima disposizione d'animo. Il Fr suppone che il p. possa qui rammaricarsi di essersi fatto infedele alla poesia latina per verseggiare in lingua volgare. 4 8 1. io fossi, A. L'Alfieri nota i vv. 1-4, è rivolta altrove del 9 e il 10, 12-14. 1-2. È descrizione del monte Parnaso, dove era Delfo, dove era il tempio d'Apollo e la spelonca composta di cinque pietre fatta da Agamede e da Trofonio (Cv). Parla della spelonca delfica, dove Apollo cominciò ad esser tenuto per indovino dalle genti, o dopo la profezia di Femonoe o dopo quella d'Oleno, che furono le prime date in Delfi e le prime date in versi secondo Pausania, o, come altri hanno detto, dopo l'entusiasmo di Cureta, che prima di tutti entrò in quella spelonca e cominciò a profetare (T). Cfr. Lucan. Ph. v. 72 e segg. Noi, come abbiamo già indicato nell' argomento del son., crediamo che questa spelonca, se metaforicamente allude agli studi della poesia, allude anche a Valchiusa. Nella VII delle epist. sine tit. il p. ricorda il suo Parnaso di Sorga, e nel frammento del capitolo [se pure è suo] che in alcune ediz. precede il Tr. della m. scrive Ove Sorga e Durenza in maggior vaso Congiungon le lor chiare e torbid'acque, La mia Academia un tempo e 'l mio Parnaso». E, nota il G°, allude per avventura al nome de' paesi che, si come Apollo divenne profeta alla spelonca di Delfi, cosí egli diventa poeta alla spelonca di Sorga che è nel Delfinato o ne'luoghi vicino. Che debbasi intendere anche di Valchiusa, tengono, fra gli antichi, il Vil Gil G°, e fra i moderni il Fr l'ai il K. 3. il suo poeta, Stimo che egli parli della poesia latina, imperocché la volgare in quel tempo non avea ancor nome (T). Poeta sta qui, come spesso in quel tempo, per poeta in lingua latina (Fr). Dante, nella V. N., come notammo piú in dietro (XXVI 10), chiama dicitori in rima i poeti volgari; e con distinzione chiarissima nel § xxv Dico che né li poeti parlano cosi bero il loro poeta Verona e Mantova ecc. Ovid. Amor. III xv 8 <<< Mantua Virgilio gaudet, Verona Catullo: Pelignae dicar gloria gentis ego». Arunca. Séguita Giovenale, che (120) qualificò Auruncae alumnus Lucilio primo a scrivere satire regolari in latino, il quale nacque in Suessa Pomezia, detta Aurunca dagli Aurunci, che dopo una guerra infelice coi Sidicini vennero profughi a farvi nuova città con gli antichi abitanti. - 5-6. non s'ingiunca De l'um. di quel s. Il Cv e il L, non si sa come, interpretano questo non s'ingiunca per non si asperge, non s'innassia, non è asperso, innassiato: ma è tanto chiaro che vuol dire, non si copre più di giunchi, non produce piú giunchi come soglion fare i terreni umidi e vicini alle correnti di acqua. Il de che segue qui è causativo, e significa per effetto. Similmente il p. altrove, CXXXV 82, «morir poria ridendo Del gran piacer ch'io prendo, e ccxxv « Devrian de la pietà rompere un sasso. Anche Dante, Inf. III 131 «Tremò sí forte, che de lo spavento La mente di sudore ancor mi bagna ». L'umor di quel sasso è, come annota il Cv, il fonte Castalio che nasce a piè del monte Parnaso. E, seguendo la metafora incominciata, il p. vuol dire che lungi dalla studiosa solitudine di Valchiusa il suo ingegno non produceva piú versi e poesie. - 6. altro pianeta. Diverso da Apollo dio della poesia (T). Altra sorte (G°). 8. Lappole e stecchi. Crescenz. vI 70 «La lappola è un'erba che nella sua sommitade ha certi capitelli li quali molto s'appiccano alle vestimenta ». - È detto a differenza delle biade e dell'erba verde che sogliono mietersi colla falce, e addita le composizioni cattive (T). Cose sforzate e sterili (V). Virg. g. 1 152 <inte sanza ragione né que' che rimano deonoreunt segetes, subit aspera sylva Lappaeque cosí parlare non avendo alcun ragionamen- tribulique, interque nitentia culta Infelix to. - 4. Non pur ecc. Né solamente avreb- lolium et steriles dominantur avenae». Iob. L'Alfieri scriveva di fronte agli ultimi versi di questo sonetto: «Nota le rime della terzina». E il Salv.: «Questa tessitura di rime ne' terzetti è abbracciata da' poeti francesi unicamente ne' loro sonetti, come piú leggiadra per la vicinanza delle consonanze». Sono i terzetti di terzo modo in combinazione obliqua; e di tal versificazione diede già esempio Dante nei due che incominciano, 1.° Chi guarderà già mai senza paura, 2.o E' non è legno di si forti nocchi: Cino nei tre che incominc. 1.° Ben dico certo che non è riparo, 2.° Madonne mie, vedeste voi l'altr' ieri, 3.° L'anima mia vilmente sbigottita; e qualsiasi l'autore, o Dante o Cino, del son. Io son si vago de la bella luce. CLXVII Fo, V, D, Md, Cr, intendono del cantar di Laura; dT, Cv, F, Bgl, L del favellare o del salutare. L'Alfieri nota tutto. 4 8 Quando Amor i belli occhi a terra inchina E si dentro cangiar penseri e voglie, Se 'l ciel sí onesta morte mi destina -. 1. begli, A. - 3. Con le... poi in, A. 6. pensieri, A. 1. Lo stesso Amore, come quello che ad ogni atto di madonna presiede anzi ne governa ogni menomo movimento, fa che ella avvalli gli occhi modestamente prima di porsi a cantare. E perché, soggiunge qui il Mur, non dire gli occhi di madonna? Fa d'uopo entrare per un momento nella mente del1' innamorato e vedere le cose con quegli occhi appunto co' quali egli stesso le vede. Tanto è per esso il dire begli occhi quanto occhi di Laura: non è dessa che sola a lui par donna? (Cr). - 2. iv. sp. Il fiato di Laura (L). Il fiato non costretto a formar suono (Cv). O vero li spirti erranti dell'aere, i quali spirar volendo accogliamo nel polmone (G°). 3. Co 1. s. m. Enfaticamente: a dinotare che l'atto era pieno di amore (G°). Cattivo e oscuro (Alf). - 5. Parad. xv1 122 « una melode Che mi rapiva ». G. de'Conti quegli occhi Che fan rapina di me stesso al core ». - 6. E sí d. e. E sí fattamente cangiarsi dentro di me (L) di mesti in lieti (D). - 7. Or f. d. m. l'u. sp. Quello che aveva detto dolce rapina. Più volte è stato spogliato di vita, ma non mai affatto come ora per allegrezza (Cv). Certamente vuol dire: Ora ne muoio alla fine. Ma che nuova maniera di esprimere un tal sentimento è mai questa? (Cr). Questa sarà l'ultima preda che farà Laura di me (Ai). - 8. Morir cioè di dol 11 14 Ma'l suon che di dolcezza i sensi lega, cezza in udendola cantare (Ai). onesta. Bella, slato dalle Parche (D). avolge. Quando mi tiene in vita (Cv). Raccoglie al subbio (D). Altrove CCLXIV 120 «Che pur deliberando ho volto al subbio Gran parte omai de la mia tela breve ». spiega. Quando mostro di voler spiccare la tela dal subbio. (CV). - 14. Tre erano le sirene del mare; e questa è sola, ed è del cielo; ché ella tira gli uomini al cielo (Cv). Platone nella sua Repub. al giro di ciascun cielo assegnò una sirena, ed il Ficino anch'esso, sopra il Jone, chiamò sirene e muse l'armonia delle sfere celesti. Onde il Guarino più vivamente poi all' istesso concetto diè lume in quel suo bellissimo (!) madrigale (T): Vien dall'onde o dal cielo Questa nostra bellissima sirena? Se n'odo il canto e se ne miro il viso, In cui del paradiso, Non che del ciel son le sembianze impresse, Non è cosa terrena: Celeste la direi, se non vivesse Nell'angoscioso mar che fanne i pianti Degl' infelici amanti. CLXVIII Nell'incertezza se debba o no prestar fede ad Amore che gli promette vicino il tempo in cui coglierà alcun frutto della sua costanza, si vede invecchiare. Né invecchiare gli dorrebbe, se non fosse il timore che morte gli sopraggiunga prima che le sue speranze abbiano avuto compimento. L'Alfieri nota tutto. 4 Amor mi manda quel dolce pensero Che secretario antico è fra noi due, E mi conforta, e dice che non fue Mai, come or, presto a quel ch'io bramo e spero. Io, che tal or menzogna e tal or vero 4. com'... ch' i', A. 1. O che s'intenda per Amor Laura o il sentimento amoroso che Laura manda, ispira, al p. col mostrarsi verso lui benigna, è poi la stessa cosa; benché non senza sottigliezza in quel che segue. q. d. pens. Che Laura l'ami (Cv). - 2 secretario. Confidente di secreti (Alf). Tasso G. 1. VI 103 E secretari del suo amore antico Fea i muti campi e quel silenzio amico». Ma è vocabolo, nota il Mur, che oggi par stia piú volentieri colla prosa. noi due. Laura e me (CV). Amore e me (Bgl). - 4. Sí pronto a farmi ottenere da Laura quello che bramo (Cv). Cioè di poterle parlare e ch'ella fosse disposta di volerlo graziosamente ascoltare (V). Ma per il Mur, dietro a De T, il p. vuol dire «delle cose che era |