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CLXXX

Dice al Po ne' primi 8 versi e ne'6 ultimi ripete, che, quantunque ne meni il corpo suo, l'animo però vola a Laura (Cv). Navigando il Po, forse nel 1345.

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Po, ben puo'tu portartene la scorza

4

impove araut,

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Po 8

Di me con tue possenti e rapide onde;
Ma lo spirto ch'iv'entro si nasconde
Non cura né di tua né d'altrui forza:
Lo qual, senz'alternar poggia con òrza,
Alper Dritto per l'aure al suo desir seconde,
Battendo l'ali verso l'aurea fronde,
L'acqua e'l vento e la vela e i remi sforza.

1

A

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A

alume ve slivere de gli altri, superbo, altero fiume,

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Composte

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Che 'ncontri 'l sol quando e' ne mena il giorno dette
E 'n ponente abandoni un piú bel lume,
Tu te ne vai co 'l mio mortal su 'l corno:
L'altro coverto d'amorose piume
Torna volando al suo dolce soggiorno.

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1. Po, ben puo'. Scontro casuale, piú che | 10-11. Che corri a levante e ti parti da ponenallitterazione e bisticcio. 1-2. la sc. Di me. Caterina da Siena, in non so qual lettera

la corteccia del corpo. Cfr. xxIII 20.
5. Lo qual. Nota in princ. di v. Cosí altrove
[XXVIII 11] Lo qual per mezzo questa oscura
valle (T). senz'a. p. con. o. Senza spiegar
dall'una parte all'altra e dall'altra all'una.
Poggia ed òrza sono voci dell'arte marina-
resca significanti i lati della nave che non
ha il vento diritto (Cv). 6. per l'a. al. s.
d. sec. Non impediscono il desiderio dell'a-
nima, come la nave il corpo (Cv). - 7. l'a.
fr. Per metaf., i capelli dorati di Laura (T).
Scherza e par che dica L'aura da lauro
e che senta quello aureo ramo di Virg.
[Aen. vI 137 e 187] (CV). - 8. Vince la forza
dell'acq., del v., della v. e dei r. che por-
tano il mio corpo lungi da Laura (L). - 9.
Virg. g. 1 482 « Fluviorum rex Eridanus.

È bellissimo sonetto (T).

te dove è Laura (L). - 12. co 'I m. mort. Colla parte mortale di me (L). Purg. xxVI 60, Dante, del suo corpo il mortal pe 'l vostro mondo reco». La Chiesa nell'officio dei martiri Posuisti mortalia servorum tuorum escam volatilibus coeli». su'l corno. Detto secondo la mitica rappresentazione dei fiumi (Virg. g. Iv 370 Et gemina auratus taurino cornua cultu Eridanus, quo non alius per pinguia culta In mare purpureum violentior effluit amnis»); o, sec. V, perché i rami del Po, che 'n molti luoghi ne fa, ancor dagli abitatori sono domandati corni. - 13. L'altro. Per contrapposto a mio mortal del v. di sopra. Purg. v 106 «Tu te ne porti di costui l'eterno Per una lacrimetta che 'l mi toglie, Ma io farò de l'altro altro governo». cov. d'a. p. Avea detto [v. 7] Battendo l' ali (D).-14. al s.d. sogg. Colà dove è Laura (L).

CLXXXI

Allegoria piacevole dell' innamoramento.

4

Amor fra l'erbe una leggiadra rete
D'oro e di perle tese sott' un ramo
De l'arbor sempre verde ch'i' tant' amo,
Benché n'abbia ombre piú triste che liete.

1. fra l'erbe. Perché s'innamorò che non | di Laura (G°). I capelli e i denti (Ai). - 3. s' accorse (Bgl). Metafor., fra i vani piaceri De l'a. Cfr. XLI.-4. Allegor., Benché n'ab(D). - 1-2. legg. r. D'oro e d. p. Le bellezze bia avuto piú malinconia che allegrezza

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L'immagine di q. son. è, tutta insieme, leggiadra: ma chi bada tuttavia a si fatte cose troverà specialmente dal verso 9 in poi quella magia musicale del numero, che dà un che d'indefinito ai sensi piú semplici.

CLXXXII

La comune sentenza e dei migliori si è, che voglia dire di essere amante ma non geloso di Laura (Mur).

4

8

Amor, che 'ncende il cor d'ardente zelo,
Di gelata paura il tèn costretto,
E qual sia piú fa dubbio a l'intelletto,
La speranza o'l timor, la fiamma o'l gelo.
Trem'al piú caldo, ard' al piú freddo cielo,
Sempre pien di desire e di sospetto;
Pur come donna in un vestire schietto
Celi un uom vivo o sotto un picciol velo.
Di queste pene è mia propria la prima,

1. '1 cor, A.

2. constretto, il Ms. origin. vatic. e A. 4. temor, il Ms. origin. vatic.

1-8. Non parla il P. di sé stesso ma in general degli amanti che sogliono vivere in continuo ardore e in continuo timore (T). zelo. Affetto (Br). Purg. VIII 83 segnato de la stampa, Nel suo aspetto, di quel dritto zelo Che misuratamente in cuore avvamра». 2. gelata paura; quella della gelosia; costretto: stretto (L). Ma costretto ha piú forza (Ambr). - 4. La speranza dell'essere amato, o il timore che ella non ami altri (Cv). - 5. Trem'... ard'. Trema, arde: suppl. il cuore dell' innamorato. -7-8. Accenna le strane immaginazioni degl'innamorati, che poco meno che non hanno sospetto e gelosia fino delle donne, dubitando che non sieno uomini travestiti. Properz.

II v Omnia me laedent, timidus sum, ignosce timori; Et miser in tunica suspicor esse virum». Pur come, vale piú né meno, come se (L). vest. schietto. Quale sarebbe la semplice tunica (G°). - 9-14. Di queste due pene degli altri amanti, che sono l'ardore del desiderio e il freddo della gelosia, la prima, cioè quella detta nel primo verso, che è l'arder dí e notte, è mia propria, cioè tocca a me ancora, ed ha luogo nell'amor mio. E quanto sia grande questo dolce male, cioè questa pena dell'ardore, non cape non solamente in versi o in rima, ma né anche in pensiero, cioè non si può non solo esprimere con parole ma neppur comprendere colla mente. L'altra pena,

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Arder di e notte; e quanto è 'l dolce male,
Né 'n penser cape, non che 'n versi o 'n rima:
L'altra non già; ché'l mio bel foco è tale
Ch'ogni uom pareggia, e del suo lume in cima
Chi volar pensa indarno spiega l'ale.

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cioè della gelosia, non ha luogo in me; atteso che il mio bel fuoco, cioè la donna ch'io amo, [Virg. b. III At mihi sese of

volare in cima del suo lume, cioè chi spera e s'ingegna di farsi principale e signore nell'animo di quella, spiega le ali, cioè spera

fert ultro, meus ignis, Amyntas], pareg-e si affatica, invano (L). - 13. pareggia. Non

gia ogni uomo, cioè ha tutti gli uomini per eguali, gli guarda d'uno stesso occhio, e non concede piú all'uno che all'altro; e chi pensa

pare che di questo uso e significato i vocabolari registrino esempi.

CLXXXIII

Se la vista di Laura amorosa lo tormenta, or che gli avverrà se ella gli si volga contraria? E di tremare ad ogni turbamento di lei, ne ha ben d'onde: egli sa per prova quanto in amore sia variabile la natura della donna.

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S

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8. dov', A.

Se 'l dolce sguardo di costei m' ancide

E le soavi parolette accorte,

E s' Amor sopra me la fa si forte
Sol quando parla o ver quando sorride;
Lasso, che fia se forse ella divide,

O per mia colpa o per malvagia sorte,
Gli occhi suoi da mercé, si che di morte
Là dove or m'assecura allor mi sfide?
Però, s'i' tremo e vo co 'l cor gelato
Qual or veggio cangiata sua figura,
Questo temer d'antiche prove è nato.
Femina è cosa mobil per natura;
Ond'io so ben ch'un amoroso stato
In cor di donna picciol tempo dura.

1-2. Scrive la pace di Laura (Cv). - 1. Nota che usa questo p. di sempre dire sguardo dopo la vocale e guardo dopo la consonante (T). m' anc. Mi tormenta per soverchio desiderio (Cv). 3. forte. Potente.

5. se forse. Se mai per avventura (L). 6. Non vuole attribuire la colpa a Laura (CV). 5-8. divide ec., non piú pietosa mi guardi, ma sdegnata, si che, di modo che, ella allora mi sidi di morte, mi minacci la

morte, , ne' suoi occhi, dove ora al con-
trario mi assicura, mi mette al sicuro da
essa? (Ai) Volendo inferire che egli ne mor-
rebbe (D). Dante, rime « Che de la morte par
che mi disfide, -9. gelato. Di paura. - 10.
cangiata. Non turbata, ma pure un poco
mutata (Cv). figura. Aspetto (L). - 11. Virg.
aen. VI 569 Varium et mutabile semper
Foemina».
13. amoroso s. Tranquillo stato
e pacifico verso l'amante (Cv).

È son. dal principio al fine leggiadramente tirato (T). lesse annoverarlo fra i più belli del P. (Mur).

Non contradirei punto a chi vo

CLXXXIV

Laura è inferma, e il p. teme ch'ella n'abbia a morire. Ciò vuole Amore per odio verso il p., ciò favorisce natura avendo fornito Laura di troppo delicata complessione, a ciò Laura stessa acconsente per disprezzo ch' ell' ha del mondo vano. Pertanto, se pietà non contrasta, Laura non può scampare.

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Amor, natura e la bell' alma umile

Ov'ogn' alta vertute alberga e regna,
Contra me son giurati. Amor s'ingegna
Ch'i'mora a fatto; e 'n ciò segue suo stile:
Natura tèn costei d'un si gentile

Laccio, che nullo sforzo è che sostegna:
Ella è si schiva, ch'abitar non degna
Piú ne la vita faticosa e vile.

Cosi lo spirto d'or in or vèn meno
A quelle belle care membra oneste,
Che specchio eran di vera leggiadria:
E, s'a morte pietà non stringe 'l freno,
Lasso! ben veggio in che stato son queste
Vane speranze ond'io viver solía.

2. ogni... virtute, A.

1-2. Paiono contrari umiltà d'animo e altezza di virtú, e non sono, mentre si parli, come qui, di quella umiltà ch'è virtú e non pecoraggine (T). Ma qui, come altrove [XLII 1] umile vale piú propriamente mansueto, 3. s. giur. Hanno congiurato (Br). In la

ecco una di quelle ellissi che nel parlare toscano sono frequenti e di bell' effetto. S' intende tener per mezzo d'un l. (Ambr). Grecamente δήμας si dice il corpo mentre è seco lo spirito secondo che scrive Plutarco, perché è legame dell'anima; cosí il

tino, Ovid. her. x in me iurarunt somnusp. lo disse qui laccio e altrove (cccv 1] ventusque fidesque. Anche di prosa gli ac-nodo (G°). - 7. schiva. Disdegnosa delle cose cademici della Crusca ne registrano esempi, mortali (G°). degna. Verbo (L). - 9. Standal cosí detto Lucano, 21 « Vergensorino loro duca andò in quello termine ordinando la giura con le città vicine, e giuraro insieme tre grandi príncipi». 3-4. Amore, come suole, congiura contro lui alla morte di quella [Laura), dalla cui vita la sua propria dipende (Bgl). - 5-6. Vuol dire: la complessione di Laura è cosí delicata, che non regge a nessuno urto, a nessuna scossa [d'infermità (CV)] (L). Tenere d'un laccio:

do le cose cosí (Bgl), lo spirto, forse il vitale (Cv), vien m., va sfinendo e mancando (P). - 12. Pietà superna delle miserie mie, non pietà in essa Morte, che sorda e cieca si finge, né del morir di Laura, la cui bell' alma piú non degnava la terra (T). 13-4. Cioè la sue vane speranze sarebbero per la morte di lei perdute e spente (G°). Vane. Perché fondate sugli affetti e sulle cose mondane. ond'. Delle quali (L).

CLXXXV

Attribuisce a Laura le bellezze tutte e le rare doti della fenice (Md). - Allude ad un nuovo abbigliamento di lei (Ai). Plin. h. n. X II 1 « Aethiopes atque Indi discolores maxime et inenarrabiles ferunt aves; et ante omnes nobilem Arabia phoenicem, haud scio an fabulose, unum in toto orbe nec visum magnopere. Aquilae narratur magnitudine, auri fulgore circa colla, caetero purpureus, coeruleam roseis caudam pennis distinguentibus, cristis fauces caputque plumeo apice honestante. Solin. XXXVI « Phoenix, capite honorato, in conum plumis extantibus, cristatis faucibus, circa colla fulgore aureo, postera parte purpureus, absque cauda in qua roseis pennis caeruleus interscribitur nitor». Claudian. eidyl. 1 17 « Arcanum radiant oculi iubar: igneus ora Cingit honos: rutilo cognatum vertice sidus Attollit cristatus apex, tenebrasque serena Luce secat: tyrio pinguntur crura veneno. Antevolant zephyros pennae, quas coerulus ambit Flore color sparsoque super ditescit in auro». Cfr. cccxxIII 49 e segg.

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Questa fenice de l'aurata piuma

Al suo bel collo candido gentile
Forma senz'arte un si caro monile
Ch'ogni cor addolcisce e 'l mio consuma:

Forma un diadema natural ch'alluma
L'aere d'intorno; e 'l tacito focile
D'Amor tragge indi un liquido sottile
Foco che m'arde a la piú algente bruma.
Purpurea veste d'un ceruleo lembo
Sparso di rose i belli ómeri vela:
Novo abito e bellezza unica e sola.
Fama ne l'odorato e ricco grembo
D'arabi monti lei ripone e cela,

Che per lo nostro ciel si altera vola.

1. phenice, 4. - 14. nostro mar, A.

1-5. aur. piuma per metaf. chiama i capegli di Laura, che parte pendendo giú pe 'l collo e parte alzandosi sopra la testa ad uso di conciatura femminile formavano e diadema e monile aurati, qual si crede aver la fenice (T). 3. monile. Altrove, epi. 1 7 « Et caput auricomum niveique monilia colli». 4. Le chiome di Laura piacciono ad ognuno, ma non tormentano ognuno, come fanno me che sono innamorato (Cv). - 5. alluma. Illumina o accende (L). Par. xxVIII 1 <<« Quando colui che tutto 'l mondo alluma » [il sole]. 6. focile, dove sta il fuoco: è la pietra focaia e l'acciaio. E cosí inf. XIV 38 onde la rena s'accendea com'esca Sotto focile. Adunque s'intende che Amore, il quale usa di tacitamente accendere altrui, infoca la pietra sua focaia da potermi in fiammare. Ed è quel che altrove [CLI] dice << In che i suoi strali Amor dora ed affina».

7-8. liq. sot. Foco. Per esser egli agevole nel movimento ed occultamente penetrare (G°). Lucr. VI 203 liquidi calor aureus ignis ». Virg. b. VI < semina.... Et liquidi simul ignis». Metaf. è quel di Saffo, trad. Catull. LI « tenuis sub artus Flamma dimanat». 8. a la p. alg. br. Nel maggior freddo (L). - 9-10. Rassomiglia il vestimento di Laura, purpureo, fregiato d'azzurrino, con un ricamo di rose, alle piume della fenice, cilestre e rosse (T). Aen. IV 137 « Sydoniam picto chlamydem circumdata limbo; e VII 814 « ut regius ostro Velet honos leves humeros. - 11. Apposizione a quel ch'è descritto (G°). - 12-14. Cioè la fama porta che la fenice viva nascosta nelle montagne dell' Arabia, quando ella in verità vive nelle nostre parti e vola maestosamente per l'aria. Vuol dire che Laura è la vera fenice e l'altra è una favola (L).

Lo stile di q. s. ha del sostenuto.... Con brio se gli dà principio, e si conduce col medesimo passo al fine. Ma molto piú de' quadernari alla mia vista riescono belli i ternari (Mur). Lo imito Giusto de' Conti in quel suo Questa fenice che battendo l'ale.

CLXXXVI

La bellezza di Laura sarebbe stata cosa da Omero e da Virgilio; ma il fato volle che, come di Scipione Ennio, cosi di lei rozzo cantasse il P. (F).

Se Virgilio et Omero avessin visto

Quel sole, il qual vegg'io, con gli occhi miei,

2. Distinguiamo il qual vegg'io con due Se Virg. e Oraz. avessero visto il viso di virgole, come G°; e col G° e'l V spieghiamo: Laura con gli occhi miei; intendendo, col

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