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» che abbiamo a sicuro testimonio lui stesso, il quale parlando con Forese gli reca a mente » l'antica e mala convivenza, e soggiunge: Di quella vita, ecc. ». E di questa speciale opinione trae la sicura testimonianza da quelle parole che il poeta porge a Forese

Se ti riduci a mente

qual fosti meco e quale io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente,

Purgatorio, XXIII, 115.

siccome un richiamo al loro antico passato, e appoggia tale opinione col soggiungimento:

Di quella vita mi volse costui

che mi va innanzi, l'altr' ier, quando tonda

vi si mostrò la suora di colui,

e il sol mostrai.

Ivi, 118.

Ma qui l'autore del nuovo metodo per la interpretazione della Commedia mi pare che non abbia bastantemente maturato il suo giudizio, poichè se rispondesse al vero guasterebbe l'armonia del poema, in cui il protagonista appare tutt'altro che un vizioso, e tanto meno un vizioso volgare qual sarebbe colui che si lasciasse trascinare dalla consuetudine dell' intemperanza. Dante era uomo, e come tale io credo benissimo che se fra gli accusatori dell'adultera del Vangelo si fosse trovato, pur egli sarebbe uscito dal tempio senza gittarle contro la prima pietra. Infatti lo vediamo varcare la soglia di san Pietro coi sette P in sulla fronte impressi dall'angelo col puntone della sua spada; e più tardi, nel cerchio di coloro che si purgano dell' invidia, l' udiamo rispondere all'ombra di Sapìa (Purg., XIII, 133):

Ed era la pena inflitta ai suo maggiore peccato che, fessa nella sua visione.

Gli occhi. . . mi fieno ancor qui tolti
ma picciol tempo; chè poca è l'offesa
fatta; per esser con invidia volti.
Troppa è più la paura, ond' è sospesa
l'anima mia, del tormento di sotto:
che già lo incarco di laggiù mi pesa.

superbi quella che più d'ogni altra egli temeva; era l'orgoglio il
imitando sant' Agostino, con cristiana umiltà pubblicamente con-

Ora quale grandissima differenza non v' ha egli mai, tra la mala consuetudine del gozzovigliare e il sentire troppo di sè? La prima come disordine ed eccesso cui sempre consente la volontà, abbassa la creatura ragionevole, l'altro, connaturale a certi uomini, sta fra le passioni il principio delle quali, dice l'autore nel trattato terzo del Convito, è per natura del passionato. Ma l'orgoglio in Dante, quale lo si riscontra nella sua vita pubblica, nel suo lungo esiglio, nelle sue opere, era un sentimento elevato che lo rese fidente per istudio ed ingegno nei propri meriti, e che lo condusse a fare le grandi cose, tenendolo sempre lontano da ogni bassezza.

Scrive di lui Leonardo Aretino che, datosi giovanissimo agli studi, non privossi però del secolo; ma vivendo e conversando cogli altri giovani di sua età, costumato ed accorto e valoroso, ad ogni esercizio giovanile si trovava. E nella Vita Nuova si riscontra che « Quella » gentilissima la quale fu distruggitrice di tutti i vizi e reina delle virtù, passando per alcuna » parte gli negò il dolcissimo salutare » ; ma quella distruggitrice di vizi e regina delle virtù era la Beatrice, la maraviglia nell'atto: la speranza de' beati; la desiata in l'alto Cielo; era la donna tanto amata da Dante fin dalla sua puerizia; quella pietosa (Inf., II, 133) che lo soccorse mentre ch'ei rovinava in basso loco; e della quale sempre fedele, disbrama infine nel paradiso terrestre degli occhi suoi la decenne sete.

un

Or com'è possibile che il fedele di tale donna abbia voluto figurare sè stesso come vizioso? L'amore delle virtù rende già per sè stesso odiosi i vizi; che se poi la dilezione arriva ad abbracciarle tutte nel suo fontale principio, vale a dire in. Beatrice, l'uomo che la sente in sè forte, necessariamente combatte e discaccia ogni cosa che le sia contraria. E se la gentilissima regina negò a Dante il suo dolce salutare temendo di essergli noiosa ne tro viamo la cagione in ciò, che Amore, dice nella Vita Nuova, il quale lo signoreggiava per virtù di lei, avealo volto a simulare amore per tal donna, che doveva essere schermo al vero, come già altra lo era stata prima. Ma che fa dire ad una ballata che muove a lei davanti per disingannarla?

Amore é quei che per vostra beltate

lo fece, come vuol, vista cangiare :
dunque, perché gli fece altra guardare,
pensatel voi; dacch' e' non mutò 'I core.

Che se poi si ricorre al poema molti sono i passi che condannano l'opinare dell'autore del nuovo metodo, massime nella terza cantica, dove spira pel nostro pellegrino tanta predilezione dei beati, e tante buone cose sono dette di lui; ma per non andar tanto lontano basteranno, cred' io, a mostrare il suo corretto vivere due luoghi ai quali voglio di preferenza appoggiarmi, perchè antecedenti alla entrata del secondo regno, là dove il poeta si presenta ancor qual era peccatore e dove veramente principia e si compie la sua purificazione. Quei due luoghi sono entrambi nella cantica prima: l'uno appartenente alla seconda scena del terzo canto che viene così bene particolareggiata in sulla riva d'Acheronte

Ch' attende ciascun uom, che Dio non teme,

e dove il nocchiero della livida palude rifiutando a Dante il passaggio nella sua barca, Virgilio ne queta le lanose gote; e quindi spiegando al suo discepolo la cagione che fa l'anime. pronte al trapassar del rio, conchiude:

Quinci non possa mai anima buona;

e però se Caron di te si lagna,

ben puoi saper omai, che il suo dir suona.

L'altro si legge al canto XXVIII, dove frammezzo all'orribile spettacolo della nona bolgia, osservata la pena che duramente molestava Bertrano Dal Bornio, introduce al racconto della strana singolarità coll'esame di sè stesso, dicendo:

E vidi cosa, ch' io avrei paura,

senza più prova, di contarla solo,

se non che coscienza m'assicura,

la buona compagnia che l' uom francheggia
sotto l'usbergo del sentirsi pura.

Dietro a queste citazioni, per le quali la vita dell' Alighieri si appalesa nell' adolescenza, come in gioventù, costumata e buona, sono ragionevolmente autorizzato a rigettare la non lieve taccia di viziosità, che il Giuliani crudamente gli appone. E dico crudamente quantunque si volesse ribattere che pur quei versi stanno nella Commedia e che non si possono cancellare a comodo di chicchessia, della qual cosa non disconvengo punto; ma non sono del suo parere sul modo d' interpretarli, cioè che essi sieno sicura testimonianza della vita viziosa di Dante, mentre per me suonano invece una dolce ricordanza del passato, promettitrice di salda continuità nell'avvenire.

Le due vedute sono adunque ben diverse, e se mi faccio ad impugnare la contraria è mia

guida il desiderio, che l'attrito dei differenti pareri sprigioni sempre qualche scintilla capace di rischiarare anco per poco le fitte nebbie del sacro poema, lasciando scorgere ad ora ad ora alcuni tratti della lunga via che tutto lo attraversa. Per questo son certo che se vivesse ancora il chiarissimo scrittore delle cose dantesche, colla gentilezza che lo distingueva, accoglierebbe benevolo la presente guerricciuola d'opinioni, il cui solo e nobile fine è la ricerca della verità.

Dante nel 1292, lo si sa, aveva tolta in moglie donna Gemma della casa dei Donati, sorella o men prossima parente di Forese. Dante adunque e Forese erano legati da parentela, e quando questi nel 1295 mutò il mondo per miglior vita, il vincolo era più stretto ancora dalla reciprocanza d'una cordiale benevolenza; e indubbia prova si ha di ciò, dalla scena che si apre nel Purgatorio (XXIII, 40) col loro incontro sul girone che tanta gente martira

Per seguitar la gola oltre misura.

In quel commovente trattenimento è diffuso un tal senso di squisita delicatezza, e vi spirano affezioni domestiche e benevole premure così soavi rammentando il passato ed i congiunti, nel dire del presente e nelle speranze dell'avvenire, che da esse riceve lume, e con esse si accorda la mia interpretazione intorno ai versi che formano il soggetto del presente ragio nare. Ed in vero come può farsi convenevole chiosa alla parte di una conversazione senza tener conto dell'insieme, tanto più quando tal parte, contenendo termini il cui valore è molteplice, ne rende dubbio il significato? Fu questo difetto di osservazione che probabilmente indusse il Giuliani all' erroneo avviso; chè se egli avesse posto mente a ciò che Dante aveva detto poco addietro al suo interlocutore (verso 77), sono persuaso che il verso Di quella vita mi volse costui non sarebbe stato tolto ad appoggiare comunque la precedente proposizione, qualunque cosa pur volesse esprimere, poichè con essa veramente non ha rapporto alcuno, siccome emergerà chiaro dalla spiegazione che darò dell' intiero passo, preceduto dalla replicata preghiera che Forese ha fatta al poeta di dichiarargli il vero suo essere.

Prima però di venire a questo, fa d'uopo ancora che sia fissata l'idea sul valore delle parole

Qual fosti meco, e qual io lo teco fui,

nelle quali il rinomato chiosatore leggeva l'antica e mala convivenza dei nostri interlocutori, quasi che il distinto essere di due individui l'uno rispetto all'altro, sia lo stesso che comunanza o partecipazione a una medesima cosa. Quel verso considerato anche solo, e senza riguardo alla conversazione di prima e di poi, non potrà mai esprimere altro che contraccambio, o contrapposizione, o differenza nella entità di sentimenti, di passioni o di atti che emanano dall' uno in prò o meno verso dell'altro. Che se il nuovo arrivato avesse inteso di rammentare al congiunto una mala loro convivenza, egli è a credersi che avrebbe manifestato il suo pensiero con una sola frase, e propria al caso: Quali fummo insieme, o quali entrambi fummo.

Forese pertanto, gentilmente cedendo alla viva istanza di Dante, che maravigliato mirava la turba d'anime tacita e devota,

Per la cagione ancor non manifesta

di lor magrezza e di lor trista squama,

quella gli iscopre, e non appena che poscia ha soddisfatto ad altra dimanda lui solo riguardante, s'affretta di rinnovare al dolce amico la preghiera, che gli dica il ver di sè, cioè: Perchè, in grazia di chi e come ci si trovasse là per modo tutto fuori del moderno uso vestito ancor della sua carne, che con esso lui ne stava ammirata quella gente che ivi era. Deh

fra te, sono le sue parole, or fa che più non mi ti celi; vedi che non pur io, ma questa gente tutta rimira là dove il sol veli! E la risposta del poeta, abbracciando pur cose precedente. mente toccate, si scinde in due parti l'una all'altra estranea vale a dire che la prima,

se ti riduci a mente

qual fosti meco, e qual io teco fui,

ancor fia grave il memorar presente,

come proposizione in forma condizionale si conviene a Forese; mentre la seconda, che contiene l'appagamento della inchiesta, incominciando col susseguente verso

Di quella vita mi volse costui

tutta positiva sino alla fine del canto, risguarda invece Dante e le due anime che gli fanno scorta. In essa si comprende sostanzialmente il cammino percorso e da percorrere, fra il tempo che Virgilio, offerendoglisi a guida, lo persuadeva a seguirlo (Inf., I, 113) fin dove potesse menarlo sua scuola, e il momento in cui per la presenza di Beatrice questi si dileguerà. Fatta quella distinzione, che mi è sembrata indispensabile, per addivenire con minore difficoltà e più chiarezza alla spiegazione del tutto, occupiamoci, lettore, della proposizione condizionale, a prima tronte molto scura per quell'addietro grave, che oltre al significato diretto di pesante, viene altresì adoperato per noioso, pigro, oltraggioso e pungente, nell'uno de' quali sensi pare sia stato tolto dall'illustre professore, dominato dall'idea che l'Allighieri abbia inteso di significare colla selva la sua vita viziosa fino al tempo della visione; or questa idea che io combatto fu la cagione dell' erroneo apprezzamento del citato vocabolo, e per conseguenza della men che retta interpretazione di quei versi, i quali non possono per alcuna ragione suonar biasimo intorno al passato dei due interlocutori. Ciò nullameno, poniamo il caso che grave sia equivalente di oltraggioso o pungente e simili per adattarlo all'idea della mala convivenza dei due parenti; si avrà in allora questo senso della proposi zione: Se ti riduci a mente la nostra passata mala convivenza, sarà altresì oltraggioso nell'avvenire di ricordare il presente. Ma in tale ipotesi come si accorderebbe questo colle buone accoglienze, e la famigliare conversazione tutta spirante affetto e dolcezza? La contraddizione è troppo aperta, e convinto qual sono per molte prove dell'ordine che governa il poema, non istò in dubbio che se Dante avesse inteso di rammemorare un riprovevole passato, la scena avrebbe avuto ben altra intonazione, ed un progresso imbarazzato e freddo. Però aprendo ancora il dizionario per cercarvi, oltre ai già notati, altri valori dell' addiettivo in questione, vi leggo pure saldo, costante, stabile, fermo; e se per togliere ogni dubbiezza sul significato della voce grave, vi sostituiamo l'uno qualunque di questi equivalenti, e teniamo conto dei delicati domestici affetti che infiorano tutto il trattenimento fra Dante e Forese, ben si potrà, senza tema di sconciarlo, dare la spiegazione del passo colla seguente parafrasi Se del tempo che eri nel mondo ricordi ancora, siccome appare dalla buona accoglienza fattami, per le premure a mio riguardo e pel dolce favellarmi, quale fosti meco e quale io teco fui, vale a dire scambievolmente stretti da sincera benevolenza, sarà fermo altresì nell'avvenire il ricordo del presente incontro in questo luogo ov' io mi trovo per grazia singolarissima del Cielo cosi fuor dell'usato vestito ancor della mia carne, cagione a te ed a quell' altre anime di tanta maraviglia >>.

Interpretata così l'una parte della risposta che il nostro poeta porge all'amico, resta ancora da parlare dell'altra già citata in addietro, nella quale sta pure l'espressione dubbiosa di volse, che a seconda del caso può avere il valore di torcere in altra parte, allontanare, oppure di persuadere, convincere. Ma per quale di questi valori devesi prendere nel detto a Forese

Di quella vita mi volse costui,
che mi va innanzi, l' altr' ier?

Conviene perciò fissare prima di che vita l'autore intende parlare in quel luogo, la quale non può essere la viziosa supposta dal Giuliani, perchè dietro quanto si è disopra riferito non fu mai fra i due parenti, ma bensì quella miglior vita (verso 77) a cui Forese è pervenuto sì presto da quel giorno che mutò mondo. Infatti il poeta, riferendovi il suo dire, la locuzione di quella vita mi volse costui, riesce non solo senza ambiguità, ma chiarissima, se riguardiamo il volse sotto il significato di persuase o convinse che gli è proprio, e che risponde perfettamente al concetto di quella vita chiamata migliore rispetto a questa nostra mondana che intende, e della quale Virgilio (Inf., I, 112) nello invitare il suo discepolo a tenergli dietro lo persuade, annunziandogli che vedrà

... color che son contenti

nel fuoco, perchè speran di venire,
quando che sia, alle beate genti.

Inf., I, 118.

E la parola del maestro sì lo convince, e sì lo invoglia di conoscere quella vita, che gli dice:

Poeta, i' ti richieggio

che tu mi meni là dov' or dicesti,

si ch'io vegga la porta di S. Pietro,

e color che tu fai cotanto mesti.

Inf., 1, 130.

Per le fatte osservazioni io credo che chiaro apparirà, come quel passo recato in campo dal valente scrittore a convalidare il concetto della vita viziosa di Dante, riesca invece a dimostrazione dei buoni rapporti che esistevano prima fra i due parenti coll' espresso augurare che, siccome quelli non furono dimenticati, il presente singolarissimo sarà costantemente ricordato.

G. G. VACCHeri.

PROPOSTA DI UNA VARIANTE

E' par che voi veggiate, se ben odo,
ciò che 'l futuro tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo.

Inferno, X, 97.

Molto meglio legger cosi con uno degli Angelici (2. S. 9), perchè la lezione volgata, ove si consideri bene, dà nel vano. Se leggiamo: Dinanzi quel, che il tempo seco adduce », dobbiamo intendere: nel futuro vedete dinanzi, cioè prima dell'avvenimento; nel presente non vedete le cose dinanzi, ma le vedete quando sono in atto. Or dove sarebbe qui argomento di maraviglia o di dubbio? Le cose, vedute prima che avvengano, son di necessità future; nè le cose presenti, in quanto presenti, possono vedersi se non mentre sono; e i dan

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