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PARTE PRIMA.

1.

SONETTO I.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono Di quei sospiri ond'io nudriva 'l core In sul mio primo giovenile errore, Quand'era in parte altr'uom da quel ch' i' sono; Del vario stile in ch'io piango e ragiono Fra le vane speranzo o 'l van dolore, Ove sia chi per prova intonda amore, Spero trovar pietà, non che perdono. Ma ben veggio or si como al popol tutto Favola fui gran tempo, onde sovente Di me medesmo meco mi vergogno: E del mio vaneggiar vergogna è'l frutto, El pontorsi, o'l conoscer chiaramente Che quanto piace al mondo è breve sogno.

2.

SONETTO II.

Per fare una leggiadra sua vendetta
E punire in un di ben mille offese,
Celatamente Amor l'arco riprese,

Come uom ch'a nocer luogo e tempo aspetta. Era la mia virtute al cor ristretta

Per far ivi e no gli occhi sue difese,
Quando 'l colpo mortal là giù disceso
Ove solea spuntarsi ogni saetta.
Però turbata nel primiero assalto
Non obbo tanto nè vigor nè spazio
Che potesse al bisogno prender l'arme,
O voro al poggio faticoso od alto

3.

Ritrarmi accortamente da lo strazio,
Del quale oggi vorrebbe o non pô aitarme.

SONETTO III.

Era il giorno ch'al Sol si scoloraro
Per la pietà del suo Fattore i rai,

Quando i' fui preso, e non me ne guardai,
Cho i be' vostr'occhi, Donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo

Contr' a' colpi d'Amor; però m'andai
Secur, senza sospetto: onde i miei guai
Nel commune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato

Ed aperta la via per gli occhi al core,
Che di lagrimo son fatti uscio e varco.

5

potta

Però, al mio parer, non li fu onore
Ferir me di saetta in quello stato,
A voi armata non mostrar pur l'arco.

4.

SONETTO IV.

Que' ch'infinita providenza ed arte
Mostrò nel suo mirabil magistero,
Che criò questo e quell'altro emispero
E mansueto più Giove che Marte,
Vegnendo in terra a 'lluminar le carte
Ch'avean molt'anni già celato il vero,
Tolse Giovanni da la rete e Piero,
E nel regno del ciel fece lor parte.
Di se, nascendo, a Roma non fo' grazia,
A Giudea sì tanto sovr'ogni stato
Umiltate esaltar sempre gli piacque.
Ed or di picciol borgo un sol n'ha dato
Tal, che natura e 'l luogo si ringrazia
Onde sì bella donna al mondo nacque.

5.

SONETTO V.

Quando io movo i sospiri a chiamar voi
El nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
Il suon de' primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal, che 'ncontro poi,
Raddoppia a l'alta impresa il mio valore:
Ma, TAci, grida il fin, chè farle onore
È d'altri omeri soma che da' tuoi.

Così LAUdare e REverire insegna
La voce stessa, pur ch'altri vi chiami,
O d'ogni roverenza e d'onor degna:
So non che forse Apollo si disdegna
Ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
Lingua mortal presuntuosa vogna.

6.

SONETTO VI.

Si traviato è 'l folle mi' desio

A seguitar costei che 'n fuga è volta E de lacci d'Amor leggiera e sciolta Vola dinanzi al lento correr mio, Cho, quanto richiamando più l'envio Per la secura strada, men m'ascolta; Ne mi vale spronarlo o dargli volta, Ch'Amor por sua natura il fa restio. E, poi che 'I fren per forza a sè raccoglie, I mi rimango in signoria di lui,

Che mal mio grado a morte mi trasporta, Sol per venir al Lauro onde si coglie Acerbo frutto che le piaghe altrui, Gustando, afflige più che non conforta.

7.

SONETTO VII.

La gola o'l sonno e l'oziose piume
Hanno del mondo ogni vertù sbandita,
Ond'è dal corso suo quasi smarrita
Nostra natura, vinta dal costume:

Ed è si sponto ogni benigno lume
Del ciel, per cui s'informa umana vita,
Che per cosa mirabilo s'addita

Chi vôl far d' Elicona nascer fiume.
Qual vaghezza di lauro? qual di mirto?
Povera e nuda vai, Filosofia;

Dice la turba al vil guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per l'altra via:
Tanto ti prego più, gentile spirto,
Non lassar la magnanima tua impresa.

8.

SONETTO VIII.

A piè de' colli ove la bella vesta
Prese de le terrene membra pria
La Donna, che colui ch'a te n'envia
Spesso dal sonno lagrimando desta,
Libere in pace passavam per questa
Vita mortal, ch'ogni animal desia,
Senza sospetto di trovar fra via
Cosa ch'al nostr'andar fosse molesta.
Ma del misero stato ove noi semo
Condotte da la vita altra serena,

Un sol conforto, e de la morte, avemo :
Che vendetta è di lui ch'a ciò ne mena:
Lo qual in forza altrui, presso a l'estremo,
Riman logato con maggior catena.

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