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SONETTO VI.

Ai signori d'Italia, onde prendano parte nella
crociata di Papa Giovanni XXII.`

Il successor di Carlo, che la chioma
Con la corona del suo antico adorna,
Prese ha già l'arme per fiaccar le corna
A Babilonia, e chi da lei si noma:
E' vicario di Cristo con la soma

Delle chiavi e del manto al nido torna;
Si, che s'altro accidente nol distorna,
Vedrà Bologna, e poi la nobil Roma.
La mansueta vostra gentil agna

Abbatte i fieri lupi: e cosi vada
Chiunque amor legittimo scompagna.
Consolate lei dunque, ch'ancor bada,
E Roma, che del suo sposo si lagna;
E per Gesù cingete omai la spada.

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CANZONE I.

A Giacomo Colonna, perchè secondi l'impresa del Re di Francia contro gl' Infedeli.

aspettata in Ciel, beata e bella
Anima, che di nostra umanitade
Vestita vai, non, come l'altre, carca;
Perche ti sian men dure omai le strade,
A Dio diletta, obbediente ancella,
Onde al suo regno di quaggiù si varca;
Ecco novellamente alla tua barca.
Ch' al cieco mondo ha già volte le spalle
Per gir a miglior porto,

D'un vento occidental dolce conforto,
Lo qual per mezzo questa scura valle,
Ove piangiamo il nostro e l'altrai torto,
La condurrà de' lacci antichi sciolta
Per drittissimo calle

Al verace Orïente, ov'ella è volta.

Forse i devoti e gli amorosi preghi,
E le lagrime sante de' mortali
Son giunte innanzi alla pietà superna;
E forse non fur mai tante, né tali,
Che per merito lor punto si pieghi
Fuor di suo corso la giustizia eterna:
Ma quel benigno Re, che 'l Ciel governa,
Al sacro loco, ove fu posto in croce,
Gli occhi per grazia gira;

Onde nel petto al novo Carlo spira
La vendetta, ch'a noi tardata noce
Si, che molt' anni Europa ne sospira:
Cosi soccorre alla sua amata sposa,
Tal che sol della voce

Fa tremar Babilonia, e star pensosa. Chiunque alberga tra Garonna, e 'l monte, E 'ntra 'I Rodano, e 'l Reno, e l' onde salse, Le 'nsegne Cristianissime accompagna; Ed a cui mai di vero pregio calse, Dal Pireneo all'ultimo orizzonte, Con Aragon lassarà vôta Ispagna: Inghilterra con l'isole, che bagna L'Oceano intra 'l Carro, e le Colonne, Infin l, dove sona

Dottrina del santissimo Elicona,

Varie di lingue, e d'arme, e delle gonne, All' alta impresa Caritate sprona.

Deh qual amor si licito, o si degno,

Qua' figli mai, quai donne

Furon materia a si giusto disdegno?

Una parte del mondo e, che si giace

Mai sempre in ghiaccio, ed in gelate nevi,
Tutta lontana dal cammin del Sole:

Là, sotto i giorni nubilosi e brevi,
Nemica naturalmente di pace

Nasce una gente, a cui 'I morir non dole.
Questa se più devota, che non sôle,
Col Tedesco furor la spada cigne;

Turchi, Arabi, e Caldei,

Con tutti quei, che speran nelli Dei

Di qua del mar, che fa l'onde sanguigne, Quanto sian da prezzar, conoscer dei: Popolo ignudo, paventoso, e lento,

Che ferro mai non strigne,

Ma tutt'i colpi suoi commette al vento
Dunque ora è'l tempo da ritrarre il collo
Dal giogo antico, e da squarciar il velo,
Ch'è stato avvolto intorno agli occhi nostri;
E che 'l nobile ingegno, che dal Cielo
Per grazia tien dell' immortale Apollo,
E l'eloquenza sua vertù qui mostri

Or con la lingua, or con laudati inchiostri:
Perchè d'Orfeo leggendo, e d' Anfïone,
Se non ti maraviglia,

Assai men fia ch'Italia co' suoi figli
Si desti al suon del tuo chiaro sermone,
Tanto, che per Gesù la lancia pigli:
Che, s' al ver mira questa antica madre,
In nulla sua tenzone

Fur mai cagion si belle, o si leggiadre.
Tu, c' hai, per arricchir d' un bel tesauro,
Volte l'antiche e le moderne carte,
Volando al ciel con la terrena soma;
Sai, dall' imperio del figliuol di Marte
Al grande Augusto, che di verde lauro
Tre volte trionfando, ornò la chioma,
Nell' altrui ingiurie del suo sangue Roma
Spesse fiate quanto fu cortese;
Ed or perchè non fia

Cortese no, ma conoscente e pia
A vendicar le dispietate offese
Col Fighnol glorioso di Maria?
Che dunque la nemica parte, spera
Nell' umane difese,

Se Cristo sta dalla contraria schiera?
Pon mente al temerario ardir, di Serse,
Che fece, per calcar i nostri liti,
Di novi ponti oltraggio alla marina;
E vedrai nella morte de' mariti
Tutte vestite a brun le donne Perse,
E tinto in rosso il mar di Salamina:
E non pur questa misera ruina
Del popolo infelice d'Oriente
Vittoria ten promette;

Ma Maratona, e le mortali strette
Che difese il Leon con poca gente,

Ed altre mille, c' hai scoltate e lette.
Perchè inchinar a Dio molto convene
Le ginocchia e la mente;

Che gli anni tuoi riserva a tanto bene.
Tu vedra Italia e l'onorata riva,

Canzon, ch' agli occhi miei cela e contende
Non mar, non poggio, o fume,

Ma solo Amor, che del suo altero lume
Più m' invaghisce, dove più m'inceude:
Ne natura può star contra 'l costume.
Or movi: non smarrir l'altre compagne;
Che non pur sotto bende

Alberga Amor, per cui si ride, e piagne.

SONETTO VII.

Prega un amico a volergli imprestare le opere del padre santo Agostino.

S' Amore, o Morte, non da qualche stroppi»
Alla tela novella, ch' ora ordisco;

E s' io mi svolvo dal tenace visco,
Mentre che l'un con l'altro vero accoppio;

l' farò forse un mio lavor si doppio
Tra lo stil de' moderni, e 'l sermon prisco,
Che paventosamente a dirlo ardisco)
Infin a Roma n'udirai lo scoppio.

Ma però che mi manca, a fornir l'opra,
Alquanto delle fila benedette,

Ch' avanzaro a quel mio diletto padre;

Perche tien verso me le man si strette
Contra fua usanza? i' prego, che tu l' opra;
E vedrai rïuscir cose leggiadre.

CANZONE II.

A Cola da Rienzo, pregandolo da restituire a Roma l'antica sua libertà.

Spirito gentil, che quelle membra reggi,
Dentro alle qua' peregrinando alberga
Un signor valoroso, accorto, e saggio;
Poi che se' giunto all' onorata verga,
Con la qual Roma, e suoi erranti correggi,
E la richiami al suo antico viaggio;
Io parlo a te, però ch'altrove un raggio
Nou veggio di vertù, ch' al mondo è spenta,
Ne trovo chi di mal far si vergogni.
Che s'aspetti non so, nè che s'agogni
Italia, che suoi guai nou par, che senta
Vecchia, oziosa, e lenta.

Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?
Le man l'avess' io avvolte entro capegli.
Non spero, che giammai dal pigro sonno
Mova la testa, per chiamar, ch' uom faccia;
Si gravemente e oppressa, e di tal soma.
Ma non senza destino alle tue braccia,
Che scuoter forte, e sollevarla ponno,
È or commesso il nostro capo Roma."
Pon man in quella venerabil chioma
Securamente, e nelle trecce sparte;
Si che la neghittosa esca del fango.
I', che di e notte del suo strazio piango,
Di mia speranza ho in te la maggior parte:
Che se 'I popol di Marte

Dovesse al proprio onor alzar mai gli occhi, Parmi pur, ch'a tuoi di la grazia tocchi. L'antiche mura, ch' ancor teme, ed ama, E tremal mondo, quando si rimembra Del tempo andato, e 'ndietro si rivolve; E i sassi, dove fur chiuse le membra Di ta', che non saranno senza fama, Se l'universo pria non si dissolve; E tutto quel, ch' una ruina involve, Per te spera saldar ogni suo vizio. O grandi Scipioni, o fedel Bruto,

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