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IL PIANETA VENERE

E LA CRONOLOGIA DANTESCA

Nel paragrafo trentesimoquinto della Vita Nuova, narra l'Alighieri che, dopo la morte della Beatrice, gli apparvero «uomini a' quali si convenia di fare onore », e nel paragrafo successivo soggiunge che qualche tempo dopo gli apparve una «< gentil donna ».

Chi erano costoro ?

Ce lo dice egli stesso nel secondo trattato del Convito, al capitolo decimoterzo. Che ivi sia ripreso il racconto rimasto interrotto nella Vita Nuova, egli mostra quando, riferendosi a coteste apparizioni o visioni, dice: « molte cose, quasi sognando, vedea; siccome nella Vita Nuova si può vedere»; e mostra altresì nel capitolo secondo ove prende a narrare nuovamente della donna gentile « di cui fece menzione nella fine della Vita Nuova ». Egli pertanto, nel citato luogo, spiegando la sentenza « allegorica e vera» dei suoi detti, racconta che, perduta la Beatrice, per racconsolarsene, « dopo alquanto di tempo » si pose a leggere il libro De Consolatione philosophiae, e poscia l'altro De Amicitia; e che in quella lettura trovò non solamente rimedio alle lagrime, <«< ma vocaboli (nomi) d'autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la filosofia, che era donna (signora, «domina ») di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa: e imaginava (ecco il « quasi sognando vedea ») lei fatta come una DONNA GENTILE ». La « donna gentile » della Vita Nuova, o nobil signora (« gentile presso Dante e il Petrarca significa sempre o quasi sempre nobile), era per conseguenza la Filosofia; e gli «<< uomini a' quali si convenia di fare onore », erano Boezio, Tullio e gli autori i cui nomi e le cui opere aveva imparato a conoscere negli scritti di quei primi due.

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Premessi questi fatti e chiaritili, per l'intelligenza di quanto siamo per trattare più innanzi, possiamo distinguere nella vita di Dante tre periodi di tempo dalla morte della Beatrice al cominciamento del Convito. E invero: - 1. appresso la morte della sua donna, seguìta ai 9 giugno 1290, « dopo alquanto di tempo » (Convito), cioè per l'appunto dopo un anno (Vita Nuova), Dante conobbe Boezio, Cicerone e altri autori e nomi d'opere; 2.° avendo durato « per alquanto tempo» (Vita Nuova) in tale lettura, vide la donna gentile, cioè la filosofia, e questa « cominciò ad avere

alcuno luogo nella sua mente» (Convito); 3.° dopo di che prese « ad andare là ov' ella si dimostrava veracemente, cioè nelle scuole de' religiosi e alle disputazioni de' filosofanti; sicchè in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciò tanto a sentire della sua dolcezza, che 'l suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero » (Convito). Fu dopo quel tempo, prosegue egli a dire, che compose la prima canzone del Convito.

Ognun vede che se il secondo periodo fosse determinato esattamente come gli altri due, potremmo colla maggior sicurezza stabilire quando Dante mise mano al Convito. Fin d'ora nondimeno possiamo ritenere che cotesto secondo periodo dovette essere non tanto breve; in primo luogo perchè, se l'espressione « dopo alquanto di tempo» vale un anno, l'espressione «per alquanto tempo », identica, nei termini, alla prima, dev'essere parimente atta a significare durata considerevole; e in secondo luogo perchè l'Alighieri stesso ci fa capire che, a cagione della scarsa cultura classica e latinistica, non subitamente penetrò la « sentenza » di Boezio e di Tullio: « Avvegnachè (sono le sue parole) duro mi fosse prima entrare nella loro sentenza, finalmente v'entrai tant' oltre, quanto l'arte di gramatica (la notizia del latino) che io aveva, e un poco di mio ingegno potea fare ».

Ma la quistione resterebbe sempre indeterminata, se Dante stesso non venisse in nostro aiuto. Facendoci indietro nel trattato medesimo del Convito, al capitolo secondo troviamo infatti queste parole: « La stella di Venere due fiate era rivolta in quello suo cerchio che la fa parere serotina e mattutina secondo i diversi tempi, appresso lo trapassamento di quella beatrice beata, che vive in cielo con gli angeli, e in terra colla mia anima, quando quella gentil donna, di cui feci menzione nella fine della Vita Nuova, apparve primamente accompagnata d'Amore agli occhi miei, e prese alcuno luogo nella mia mente ». Manifestamente nello spazio di tempo per tal modo significato dall' Alighieri, sono compresi i primi due periodi sopra distinti; talchè detraendo da esso un anno, ch'è il valore del primo periodo, la differenza corrisponderebbe esattamente al valore del secondo, ch'è quello da noi cercato. Ma a quanto equivale il tempo richiesto, secondo la mente di Dante (e pensatamente dico secondo la mente sua), a compiere quel doppio rivolgimento di Venere? È qui che interpreti e spositori non sanno troppo mettersi d'accordo.

Il Fraticelli e il Giuliani, senza assegnarne la ragione, spiegano che si tratti dello spazio di un anno. Probabilmente la ragione da loro non espressa, è che per essi non esiste quella distinzione fra i due primi periodi, parendo loro che il secondo sia di nessun valore: nel che vanno manifestamente errati.

Il Balbo, per contro, intende uno spazio di circa trenta mesi, perchè il pianeta Venere durante 292 giorni incirca si vede sull'orizzonte la sera,

e per altrettanti giorni si vede al mattino; i quali due intervalli si restringono in uno solo di circa 584 giorni, conosciuto sotto il nome di rivoluzione sinodica di Venere. Due rivoluzioni sì fatte compionsi in circal 39 mesi; ma il Balbo stimò bene che tenuto conto delle cognizioni astronomiche limitate delle quali Dante doveva andar fornito a quei tempi, debba intendersi di uno spazio di circa trenta mesi, quanti appunto l'Alighieri ne impiegò a studiare filosofia. Ma il Balbo è anch'esso in errore prima, perchè riduce tutti e tre i periodi distinti sopra ad un solo, cioè all' ultimo; e poi, perchè il terzo periodo non è punto compreso in quella doppia <«< girazione » di Venere.

Il solo che si opponga è Francesco Pasqualigo; del quale, a onor del vero, fin qui, sebbene con altro ordine, ho seguito molto da presso l'arguto ragionamento. Ma la rivoluzione di Venere a cui l'Alighieri allude, è la sinodica come ritiene il Balbo, o la siderea, secondo che vuole il Pasqualigo? Questi, che del resto non si dà la briga di dimostrare il fondamento dei propri calcoli, stima infatti essere il caso di un doppio spazio di circa 225 giorni ciascuno, perchè in 225 giorni circa avviene la rivoluzione di Venere sull' epiciclo (stile tolemaico), o, in altri termini, intorno al sole (stile copernicano); e perciò è d'avviso che l' Alighieri volesse significare, presso a poco, 13 mesi.

Prima di manifestare il mio qualsiasi parere, non sarà fuori luogo ridurre a mente al lettore le dottrine degli antichi e di Dante intorno al sistema cosmico in generale e al pianeta Venere in particolare. Ognun sa che anticamente, con poche eccezioni, tenevasi con Tolomeo che la terra stesse ferma e fosse centro del creato; e che il sole, la luna, i pianeti e le altre stelle le girassero attorno. Regolandosi dalla diversa distanza, reale o apparente, degli astri dalla terra, dividevano l' universo in un certo numero di cieli, dei quali terzo era quello di Venere, perchè terzo era questo pianeta in ordine di distanza. Non occorre notare che non era tanto dire stella di Venere quanto cielo di Venere, essendo quest'ultimo, come facilmente può comprendersi, non solo quella regione celeste dove Venere campeggia, ma ben anche tutta quella parte di cielo che, da qualunque punto, si trova a tanta distanza dalla terra, quanta ne corre tra quel pianeta e questa. Ognuno di cotesti cieli era concepito come una immane sfera o palla cava, contenente le sfere più piccole e contenuta da quelle più grandi, tutte aventi asse, poli ed equatore. Un certo punto poi dell' equatore di ciascun cielo traente nome da uno dei pianeti allora conosciuti, era creduto centro di un'altra sfera più piccola (Dante: « una speretta »), chiamata epiciclo, con asse e poli propri, e con la stella (pianeta) fissa in un punto del relativo equatore; si reputava infine che l'epiciclo portasse intorno a sè stesso la stella, e il cielo rispettivo portasse, a sua volta, lo epiciclo in giro attorno

alla terra. Ho procurato spiegare così alla meglio quel tanto che si riferisce alla nostra materia, di questo sistema cosmico per sè non troppo complicato, ma che per avventura non si arriva a comprendere con molta facilità dalla descrizione che Dante ne fa ne' seguenti termini: «Ciascuno cielo, di sotto dal cristallino, ha due poli fermi e fissi, non mutabili secondo alcuno rispetto; e ciascuno, sì lo nono come gli altri, hanno un cerchio che si puote chiamare equatore del suo cielo proprio; il quale egualmente in ciascuna parte della sua revoluzione è rimoto dall' un polo e dall'altro... E in sul dosso di questo cerchio nel cielo di Venere,.... è una speretta che per sè medesima in esso cielo si volge, lo cerchio della quale gli astrològi chiamano epiciclo: e siccome la grande spera due poli volge, così questa piccola e così ha questa piccola lo cerchio equatore.... e in su l'arco, ovver dosso, di questo cerchio è fissa la lucentissima stella di Venere. L'epiciclo nel quale è fissa la stella, è uno cielo per sè, ovvero spera, e non ha una essenza con quello che 'l porta, avvegnachè più sia connaturale ad esso che agli altri, e con esso è chiamato uno cielo, e denominansi l'uno e l'altro dalla stella 1».

Ciò posto, qual è quel « cerchio» di Venere intorno al quale detta stella erasi aggirata per due volte dopo la morte di Beatrice? In quest'ultimo brano del Convito, Dante, colla parola cerchio, dinota, se ben m'appongo, quando una superficie sferica, quando una circonferenza di circolo. Onde abbiamo innanzi due supposizioni: - o che il cerchio (comunque intesa venga questa parola) che fa parer Venere serotina e mattutina sia il terzo cielo, - o che desso sia l'epiciclo omonimo.

Cominciamo dalla seconda supposizione, come quella che per ogni buon rispetto sembra la vera. Infatti dove discorre dei diversi movimenti dei pianeti, Dante dice: «... sono tre: Uno, secondo che la stella si muove verso lo suo epiciclo; l'altro, secondo che lo epiciclo si muove con tutto il cielo ugualmente con quello del sole; il terzo, secondo che tutto quel cielo si muove, seguendo il movimento della stellata spera, da occidente in oriente, in cento anni uno grado ». Da poi che il terzo cielo è che si muove ugualmente con quello del sole intorno alla terra, ma la stella propriamente si volge sull'epiciclo, questo solo può essere il cerchio del quale è parola nel passo controverso; tanto più che nelle parole testè riferite di Dante l'epiciclo « è uno per sè,.... e non ha una essenza con quello che 'l porta », onde la stella ha più stretta attinenza coll' epiciclo che colla propria sfera: ed è perciò che primo è annoverato il movimento della stella verso il proprio epiciclo. Altra grave ragione è che mentre il movimento della sfera

1 Conv., Tratt. II, cap. IV.

2 Ivi, Tr. II, cap. VI.

o cielo è sempre lo stesso, e, cioè, ha luogo ugualmente con quello della sfera del sole, il movimento dell'epiciclo è vario a seconda dei diversi cieli: e perciò solo il movimento dell' epiciclo, nell' opinione dell' Alighieri, rendeva ragione delle varie apparenze dei pianeti, e solo l'epiciclo può essere quel cerchio che, giusta la dottrina di lui, è cagione delle apparenze dei pianeti, e, nel caso nostro, di quelle di Venere.

Ammessa, adunque, come vera questa supposizione, in quanto tempo, secondo le cognizioni astronomiche di Dante, aveva luogo la rivoluzione. dell' epiciclo? A mente del Pasqualigo, in 224 giorni e 16 ore, ch'è quanto impiega Venere a compire il giro attorno al sole (la sua rivoluzione siderea), secondo il sistema copernicano e vero. Parmi che l'affermazione sia troppo affrettata, e che sarebbe stato mestieri cercare altre prove che non quelle le quali ci dà l'astronomia moderna; trattandosi di un caso, nel quale non é giá una legge naturale che vuolsi conoscere, ma il modo come gli antichi, e segnatamente Dante, la pensarono intorno ad essa.

La via più sicura è di domandare la spiegazione del quesito agli scritti stessi di Dante. Il quale, disputando, secondo la dottrina tolemaica, degli effetti che avrebbero luogo, se il primo mobile, o nono cielo, stesse fermo, dice: «Onde ponemo che possibile fosse questo nono cielo non muovere,... Saturno sarebbe quattordici anni e mezzo a ciascuno luogo della terra celato; e Giove sei anni si celerebbe; e Marte un anno quasi: e 'l Sole cento ottantadue e quattordici ore....; e Venere e Mercurio, quasi come il Sole, si celerebbero e mostrerebbero; e la Luna per tempo di quattordici dì starebbe ascosa a ogni gente 1». Riflettendo a queste parole, e considerando ciò che afferma del sole e della luna, apparisce voler il poeta dire che resterebbero celati a ogni gente, cioè a qualsivoglia punto della terra, la metà del tempo che impiegano, il sole, nel suo giro apparente (rivoluzione siderea della terra), e la luna, nel suo giro reale intorno alla terra per tornare alla stessa congiunzione (rivoluzione sinodica della luna); riflettendo ancora, troviamo che a parere dell' Alighieri, resterebbero celati Saturno, Giove e Marte quasi esattamente la metà del tempo che impiegano rispettivamente a rivolgersi intorno al sole (rivoluzione siderea di Saturno, Giove e Marte). Pertanto le « girazioni » di Saturno, Giove e Marte (dei pianeti superiori allora conosciuti) intorno al proprio epiciclo corrispondono, con molta precisione, alla loro rivoluzione siderea. La « girazione di Venere e Mercurio intorno al rispettivo epiciclo dovrebbe, per conseguenza, corrispondere alla rivoluzione siderea (cioè a quella intorno al sole) di cotesti due pianeti inferiori, ed essere, cioè, uguale a 224 giorni e 16

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1 Ivi, Tr. II, cap. xv.

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