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tura troppo largamente interpretate. La confessione di Dante l'abbiamo nel notissimo passo del Purgatorio, quando s'incontra con Beatrice, ed i sette p descrittigli in fronte dall'angelo sono cancellati ad ogni colpa pentuta e rimossa da lui. Dante, senza avere dagli occhi conoscenza di Beatrice, perché velata, pur tuttavia sente la presenza di lei, e

Per occulta virtú che da lei mosse
d'antico amor sentí la gran potenza

E col timore di un fanciullino che ricorre alla madre si volse a Virgilio per dirgli con parole dell' Eneide:

Conosco i segni dell'antica fiamma.

Ma Virgilio è scomparso; egli piange quando si sente chiamare:

È Beatrice, che,

Dante, perché Virgilio se ne vada,

non pianger anco; non piangere ancora ;
ché pianger ti convien per altra spada.

Regalmente, nell'atto ancor proterva
continuò, come colui che dice,

e il più caldo parlar dietro si serva;
guardaci ben, ben sem ben sem Beatrice!
Come degnasti d'accedere al monte?
Non sapei tu che qui è l'uom felice?

Dante specchiatosi nel Lete si vede rosso per vegogna e volge la faccia all'erba. Gli angeli che stanno con Beatrice sul carro scusano il poeta che salí al monte del paradiso terrestre sperando in Dio, ed egli sentendo il loro compatire tutto si commuove e sospirando versa lacrime. Ma Beatrice in atto regalmente proterva, dritta a guisa d'ammiraglio su nave sulla sponda sinistra del carro, parlando agli angeli

continua:

Questi fu tal nella sua vita nuova
virtualmente, ch' ogni abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto piú maligno e piú silvestro

si fa il terren col mal seme e non cólto,
quant' egli ha piú del buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto;
mostrando gli occhi giovinetti a lui,
meco il menava in dritta parte volto.
Sí tosto come in su la soglia fui

di mia seconda etade, e mutai vita
questi si tolse a me e diessi altrui
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtú cresciuta m'era,
fu' io a lui men cara e men gradita;

e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,

che nulla promission rendono intera.
Né impetrare ispirazion mi valse,

con le quali ed in sogno ed altrimenti
lo rivocai, sí poco a lui ne calse.
Tanto giú cadde che tutti argomenti
alla salute sua eran giá corti,

fuor che mostrargli le perdute genti.
Per questo visitai l'uscio dei morti,

ed a colui che l'ha quassú condotto,
li prieghi miei, piangendo, furon porti.

Lo Scartazzini crede che qui Beatrice alluda alle visioni dei § 40 e 43 della Vita Nuova, ma poiché in quella Dante narra di essersi dolorosamente pentito d'avere abbandonata Beatrice, queste confessioni e le successive sono come un compimento di quanto e' narrava nel libretto, tanto più che quel pentimento non fu di lunga durata 1. Beatrice ricomincia senza indugio rivolgendosi a Dante:

Di' di' se questo è vero. A tanta accusa

tua confession conviene esser congiunta.

Ed egli a mala pena può articolare un sí, poi a sua scusa:

Piangendo dissi: Le presenti cose

col falso lor piacer volser miei passi,

tosto che il vostro viso si nascose.

La Donna loda la confessione, ma inesorabile continua nell'accuse, e gli insegna quello che egli avrebbe dovuto fare dopo che la sua carne,

di lei, fu sepolta.

Mai non t'appresentò natura o arte

piacer quanto le belle membra in ch' io
rinchiusa fui, e sono in terra sparte;

e se il sommo piacer sí ti fallío

per la mia morte, qual cosa mortale dovea poi trarre te nel tuo desio? Ben ti dovevi, per lo primo strale delle cose fallaci, levar suso

diretro a me, che non era più tale. Non ti dovea gravar le penne in giuso, ad aspettar piú colpi, o pargoletta,

o altra vanità con sí brev' uso.

E perché Dante stava muto cogli occhi a terra simile a fanciullo che ascolta una riprensione per fallo commesso, ella disse:

1 La divina Commedia riveduta nel testo e commentata. Leipzig, Brockhaus, 1875. Purgatorio, XXX, pag. 683, al v. 133.

quando

per udir sé dolente alza la barba,

e prenderai piú doglia riguardando.

Dopo di che Dante stimolato dal rimorso della coscienza si pente e Matelda lo tuffa nell'acqua di Lete, finché, a preghiera delle quattro ninfe, stelle nel cielo, si disvela al suo fedele nella sua gloria 1.

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Qui, scrive il De Sanctis, l'astrattezza del simbolo è superata. Ti senti innanzi ad un' anima d'uomo. Quella donna è la sua Beatrice, l'amore della sua prima giovinezza.... Il mistero liturgico si trasforma in un dramma moderno.... e Dante vi rivela un ingegno drammatico superiore. I piú intimi e rapidi movimenti dell'animo scappan fuori; i due attori, Dante e Beatrice, vi sono perfettamente disegnati; gli angioli fanno coro e intervengono. La scena è rapida, calda, piena di movimenti e di gradazioni fine e profonde. La vergogna di Dante senza lacrime e sospiri giunge poco a poco sino al pianto dirotto. Dapprima sta là piú attonito che compunto, ma quando gli angioli nel loro canto hanno aria di compatirgli, come se dicessero: Donna, perché lo stempre? scoppia il pianto. Quello che non poté il rimprovero ottiene il compatimento.... Come si vede, è l'antica lotta tra il senso e la ragione che qui ha il suo termine: è la vita tragica dell'anima fra gli errori e le battaglie del senso che qui si scioglie in commedia, cioè in lieto fine, con la vittoria dello spirito. L'idea è piú che trasparente, è manifestata direttamente nel suo linguaggio teologico. Ma l'idea è calata nella realtà della vita e produce una vera scena drammatica, con tale fusione di terreno e di celeste, di passione e di ragione, di concreto e di astratto, che vi trovi la stoffa da cui dovea sorgere più tardi il dramma spagnuolo, Miglior commento di questo par difficile a trovarsi.

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Ben disse il Fraticelli che Dante non scese mai coll' ipocrisa a velare i difetti proprî: anche l' Académicien del Klaczko, dice che il poeta non ha mai fatto un mistero delle sue debolezze amorose, negate solo dai suoi rigidi commentatori che, nonostante le dichiarazioni di lui, vogliono mantenergli il pregio della virtú. Tra il canonico Dionisi che tutto negò e il Fraticelli che afferma non essere mai stato Dante un libertino sebbene avesse altri amori, crediamo sia nel vero quest'ultimo. Difatti, se Dante confessa la sua infedeltà a Beatrice, questa ricordando, quasi con la compiacenza di Francesca, la bella persona ch' ebbe nel mondo, non appone a Dante molteplici amori: ricorda una par goletta ed altre vanità e niente altro, ché quanto alle parole di Beatrice:

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le Sirene, che, secondo il Fornaciari, possono parere corrispondenti al pensiero vilissimo della Vita Nova come la pargoletta alla Donna gentile altro non significano se non l'attrattiva dei piaceri mondani ', come quella ricordata nel diciannovesimo del Purgatorio.

Il viaggio di Dante pel purgatorio può dirsi una continua confessione di peccati. Nel cerchio dei superbi è costretto ad abbassare la testa per osservare il letto delle piante sue, nel quale sono istoriati nel marmo esempi di superbia punita, ed in quello degli invidiosi dopo aver detto che picciol tempo gli saranno quivi tolti gli occhi, confessa di temere assai piú la pena del cerchio di sotto. Il fumo degli iracondi lo avvolge sí che è costretto a chiudere gli occhi e a tenersi attaccato a Virgilio, e della sua ira, sebbene generosa e lodata da Virgilio, aveva già data prova contro Filippo Argenti. Tra gli accidiosi è colto da sonnolenza, che subito gli vien rotta da anime che sopraggiungono. E noi crediamo a Dante, ma con discrezione. Ricordiamoci, che per i suoi peccati e gli errori suoi, egli stava per perdersi eternamente, quando nel mezzo del cammino della sua vita si risvegliò in una selva oscura e tentò ritornare sulla diritta via. Il lettore conosce il rimanente. Dunque egli non era interamente perduto, e per grazia celeste, per l'eterno cammino della gente morta e' poté redimersi, perché non aveva peccato ancora mortalmente. Ma Dante è uomo e mortale, e, quale uomo, sia pure d'ingegno altissimo, non ha una volta in vita sua peccato d'ira, di superbia e d'invidia e via dicendo, senza però lasciarsi dominare affatto da uno di quei vizi capitali? Le pene dell' inferno non lo toccano personalmente se non in quanto agli affetti, e secondo che ne è tocco più o meno vivamente, piange e si sdegna, e quando il segno trapassa è rimproverato da Virgilio. Non così avviene nel purgatorio dove Dante non è più spettatore, ma attore, e se non nel corpo, soffre in ispirito quello che soffrono le anime, ed al principio della salita si sente grave per i peccati commessi, ed il peso dei sette che viene scemando a mano a mano che egli sale e quelli vengono cancellati dagli angeli.

Ma egli ci fa sapere che piú grave fu in lui il peccato d'amore, e non è mancato chi, poggiandosi al luogo in cui egli ne parla ed alla specie del peccato ivi punito, abbia concepito di lui obbrobriosi pensieri. Pervenuto al ripiano, settimo ed ultimo, nel quale i lussuriosi si purgano nel fuoco, un angelo gli annunzia che a lui è necessario attraversare il muro di fiamme: alla spirituale qui s'aggiunge la pena corporale, mentre nulla ebbe da soffrire dalla bufera infernale che travolge Francesca e Didone. Anche in questo dunque egli non peccò mortalmente, ma avea peccato gravemente da meritare pena piú forte. Che cuore fu il suo alla sentenza dell'angelo, dice lui stesso:

1 RAFFAELLO FORNACIARI, Studi su Dante, Milano, Trevisini, 1883, pag. 129.

Io divenni tal quando lo intesi,

qual è colui che nella fossa è messo.

In sulle man commesse mi protesi,

guardando il fuoco, e immaginando forte

umani corpi già veduti accesi.

Il suo pensiero corse allo strazio disonesto dei condannati al rogo dall'inquisizione cattolica e dalle leggi civili che riserbavano questa pena a certi delitti, e non sa risolversi al passo. Allora Virgilio:

Figliuol mio,

qui può esser tormento, ma non morte.

Ricordati, ricordati.... e se io

sovr' esso Gerion tl guidai salvo,

che farò ora presso più a Dio?

Reticenza significativa codesta pel vecchio peccatore, e che non può certo riferirsi alle sette volte in cui Dante ebbe salvezza dalla sua guida nei giri infernali. Eppure Dante non si smuove punto, sebbene assicurato che la fiamma non gli abbrucerà un capello e convinto di disobbedire a Virgilio e alla propria coscienza. Allora Virgilio ricorre ad un argomento infallibile quanto naturale:

Quando mi vide star pur fermo e duro
turbato un poco disse: Or vedi, figlio,

tra Beatrice e te è questo muro.
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo, in sulla morta, e riguardolla,
allor che il gelso diventò vermiglio;
cosí la mia durezza fatta solla,

mi volsi al savio duca, udendo il nome
che nella mente sempre mi rampolla.

E come fanciullo vinto al pomo entrò nella fiamma che sí gli si fece sentire da fargli desiderare un bogliente vetro per rinfrescarsi. E tutto ciò per amore della teologia!? Eppure la buona Marta che non sapea di lettere, non altro argomento adoperò, riuscite inutili le esortazioni morali, per persuadere la sorella Maddalena di andare a udire predicare Cristo:

Se vedessi la faccia sua serena
t'accenderesti tutta del suo amore.

Ed

Solo l'amore può vincere il cuore di Maddalena, e l'amore la convertí, al dire dell'ignoto e religiosissimo autore della conversione di lei. ebbe ragione, perché negli affetti umani ben poco può la teologia.

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