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» ribus, et optima dignissimis convenient. Et cum loquela non aliter sit ne» cessarium instrumentum nostrae conceptionis, quam equus militis, et opti» mis militibus optimi conveniant equi, ut dictum est, optimis conceptionibus » optima loquela convenit. (Sed optimae conceptiones non possunt esse nisi » ubi scientia et ingenium est); ergo optima loquela non convenit nisi il>>> lis, ecc. ».

La frase, che si ripete due volte, è rinchiusa fra le parentesi. Chi vuol leggere e fare qualche riflessione ammetterà subito che la prima volta fu ricopiata per trascuranza dell' amanuense, che lasciava errar l'occhio di qua e di là, e la fissava sull'altra pagina, e faceva trasposizioni, delle quali abbiamo esempii innumerevoli nei codici.

Ora il copista trivulziano, volendo racconciar tutto, mette un punto fermo a montaninis. Scrive la frase in questione, e, per legarla con quel che segue, cancella tutto da rusticana tractantibus fino a nisi per proprias dignitates, e mette, per riempire quel buco, un ergo optima loquela non convenit, di modo che fa il mostro seguente: « nemo enim montaninis. Sed optimæ conceptiones, non possunt esse, nisi ubi scientia et ingenium est; » ergo optima loquela non convenit nisi per proprias dignitates, ecc.».

Frase che non vuol dir niente, poichè il nemo enim montaninis rimane sospeso in aria, e poi il periodo maledetto si ripete due volte, tanto nel testo trivulziano come nel grenobliano.

Chi non vede come tutto questo si spiega benissimo, ammettendo che il codice trivulziano è copia dell' altro?

Volendo che non lo sia, bisognerebbe ammettere che fosse ricopiato da un terzo codice, ora perduto, nel quale l'amanuense avrebbe fatto appunto il medesimo errore del grenobliano. È ovvio che quell'ipotesi non può avere altro scopo che quello di resistere, ad ogni costo, a quelle verità. che sono spiacevoli, perchè osservate e dimostrate da me medesimo, cioè, da chi considera tutto il sistema della vecchia scienza dantesca, come cosa che cade in frantumi, e deve sparire fra pochi anni. Ma la scienza e la critica hanno diritti incancellabili, e, nelle idee che poggiano sui fatti, il giudizio dell'avvenire non è incerto.

DOTTOR PROMPT.

BEATRICE PORTINARI NE' BARDI

Con tutto il rispetto dovuto al dantista infaticabile e valente, temo assai che coll' ultimo suo scritto sulla Beatrice il dr. Scartazzini non sia riuscito ad aumentare di molto il numero di coloro che la Beatrice di Dante non credono dei Portinari. A dirla schietta, a me importa poco ch'essa sia stata piuttosto di uno che di un altro casato; ma appunto per questo mi pare che non valga la pena di sollevare siffatta quistione, se non quando argomenti stringentissimi persuadano di averla risolta. E che tali siano quelli dello Scartazzini ne dubito. forte e il mio dubbio espongo francamente all'illustre uomo e a tutti coloro che si occupano della quistione.

Il primo argomento ch'egli adduce è che non si sa se Beatrice sia stato il nome proprio, ricevuto nel battesimo, della donna amata da Dante, o un nomignolo da lui attribuito a significare ch'essa era datrice della beatitudine. Intorno a ciò egli ripete anzi che se Beatrice fosse nome di battesimo, ciò costituirebbe una eccezione, non la regola nella storia letteraria come dice lo Scherillo; sebbene io non veda con che opportunità poi questi ponga a rincalzo, con la Nerina e l'Aspasia del Leopardi, e tanti altri pseudonimi di amate, anche la Laura del Petrarca, che fu proprio battezzata Laura; il giocare che fa il poeta con l'auro e l'aura e il lauro, essendo tutt'altra cosa, ed avendo anzi perfetta analogia con la significazione che anche Dante avrebbe trovato nel nome vero di Beatrice, come (sempre seguendo il gusto dell'epoca) egli la trovò anche al S. 24 della Vita Nuova nel nome di Giovanna, l'amata da Guido, e nei nomi di Giovanna e di Felice, genitori di san Domenico, al XII, 179 di Paradiso.

Ma è egli poi vero che Dante chiami sempre la sua donna col nome figurato e non col proprio? Una prova in contrario ce la dà lo stesso Scartazzini, quando a pagina 101 allega i due sonetti, ov' essa è proprio chiamata, e pur con intento evidente di amore, monna Bice. Un secondo argomento egli lo trae dal §. 2 della Vita Nuova ove Dante narra ch'egli avea nove anni, « quando alli miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, i quali non sapeano che si chiamare ». Dopo aver detto che queste parole furon la croce degl'interpreti, perchè essi partirono dal preconcetto che Beatrice fosse il vero e proprio nome della donna, egli le intende invece nel senso che alcuni, e non erano pochi, i quali non sapeano come la si chiamasse col suo nome di bat tesimo, derivandone il nome dall'impressione che la sua vista su loro faceva, la chiamavano Beatrice, cioè colei che beatifica chi la vede ». Curioso, che vi sian molti che s'interessino di persona che non conoscono, fino al punto di darle un soprannome! E più curioso ancora questo accordarsi di molti a chiamarla tutti Beatrice, e non, l'uno, Angiola, l'altro, Stella, etc., come poche righe più sotto_osserverà ad altro proposito lo stesso Scartazzini! E il tradurre poi, che si chiamare, come chiamarla, è forse lecito, senza che la gramatica se ne risenta? Gramatica e buon senso invece sono pienamente rispettati ove si adotti la lezione da' molti, con l'apostrofo, e s'interpreti « dai molti che hanno occasione di nominarla è chiamata Beatrice, perchè quello è il suo nome: ma essi, chiamandola così, non sanno di qual compendio di perfezioni si parlino ».

Veniamo al terzo argomento la cui conclusione è a pagina 101. « E quello stesso uomo che si dà tanta premura di occultare il vero nome della sua amante, che ha tanta paura che non s' indovini, quello stesso uomo avrebbe nel medesimo tempo rivelato, senza compli menti, quel nome, lo avrebbe publicato allegramente ai quattro venti». Ai quattro venti no, perchè i due sonetti di cui egli qui parla e ai quali già accennai, sono indirizzati al suo primo amico Guido Cavalcanti, al quale egli non avrà certo mancato di confidare anche prima il suo amore. Che se i due sonetti furono in seguito resi pubblici, uno nella Vita Nuova, l'altro separatamente, ciò avvenne dopo la morte di Beatrice, quando, cioè, era cessata la ragione di tener segreto il suo amore, e già tutti se ne saranno accorti dal fiero dolore che per quella morte lo colse.

Andiamo innanzi col quarto argomento; esso, a spremerlo bene, si riduce a questo. I Portinari discesero da Fiesole. Dante chiama i fiorentini bestie fiesolane. Ma egli non li avrebbe certo chiamati così, se la sua amata avesse appartenuto a famiglia fiesolana; dunque, ecc. Innanzi tutto credo assai difficile precisare, se e quali famiglie fiorentine sien proprio discese da Fiesole; e ritengo anzi fermamente che su questo punto lord Vernon, a cui lo Scartazzini si appoggia, potesse benissimo saperne più di quello che ne sapesse lo stesso Dante. Ma non monta. È egli supponibile che quando Dante (veramente per bocca di Brunetto parla di bestie fiesolane volesse vilipendere tutte le famiglie che non aveano discendenza latina? È semplicemente assurdo. Il rimprovero colpiva quelle famiglie che si sentivan degne: di rimprovero; e si può bene scommettere che parlandosi allora di una famiglia, nessuno davvero s'incaricasse di pensare s'essa era venuta De' Troiani, di Fiesole o di Roma.

Quinto argomento: Com'è che abitando a cinquanta passi, come abitavano i Portinari dagli Alighieri, Dante non vide Beatrice che a nove anni? L'avrà vista anche altre volte, rispondo, ma naturalmente vi dev'essere una prima volta a cui attentamente si bada, ed è questa sola che s'imprime nella memoria (se pure questo innamoramento a nove anni non fosse da aversi per una bella invenzione poetica). Ma se erano così vicini, potea Dante, nel periodo da' nove ai diciotto anni (alla quale età il suo amore subì una nuova fase) dire « nella mia puerizia molte fiate l'andai cercando » ? O che c'è di strano? o vicini, o lontani che fossero di casa, non è naturale in Dante il dire, che cercava vederla di sovente? - Ma com'è, riprende lo Scartazzini, che ne udì la prima volta la voce solo essendo diciottenne? Questo vera. mente non avrebbe che fare con l'esser lontani, o vicini, ma sarebbe una difficoltà che cade piuttosto sulla verosomiglianza di quell'amore puerile, sul quale io già espressi i miei dubbi. Ma sentiamo Dante come si esprime. È nella Vita Nuova, §. 3: ....avvenne che questa mirabile donna apparve a me.... e passando per una via volse gli occhi verso quella parte ov' io era molto pauroso; e per la sua ineffabile cortesia .... mi salutò virtuosamente.... e pe-. rocchè quella fu la prima volta che le sue parole vennero a' miei orecchi, presi tanta dolcezza che come inebriato mi partii dalle genti ». O chi non vede esser qui descritto il vero punto dello innamoramento? Dante se ne sta tutto timido, e Beatrice gli parla per la prima: qui è il suono della sua voce giovanile, è la voce sopratutto dei diciott'anni, è la inaspettata gentilezza di lei ciò che afferra l'animo del poeta, è questa la goccia che fa traboccare il vaso, che imprime nel suo cuore un'orma che non potrà più essere cancellata, che in mezzo anzi a parziali e deboli eclissamenti si andrà man mano ingrandendo fino all'apoteosi. « Fu la prima volta che le sue parole vennero a' miei orecchi vuol dire: fu la prima volta ch'essa mi rivolse la parola; e in ciò nulla trovo di contradditorio coi precedenti, nulla che non si presti ad essere spiegato dal naturale svolgimento d'amore.

Veniamo ad un altro argomento, e sarà, se non mi sbaglio, il sesto. Esso si riduce in sostanza a questo. Tra la morte di Folco Portinari, seguìta il 31 di decembre 1289, e quella della sua figliuola Beatrice, seguita il 19 di giugno 1290, stando alla Vita Nuova accadrebbero

troppo più cose di quelle che possano capire in uno spazio poco più di cinque mesi e mezzo. Vediamo un poco quali siano queste cose. Morto il padre della sua donna, Dante ne lamenta la morte in due sonetti. Appresso ciò pochi dì egli cade infermo, e soffre per molti dì amarissima pena. Risanato, detta la canzone Donna pietosa. Poi succede la quarta apparizione d'Amore, e il sesto incontro con Beatrice. Poi Dante descrive l'effetto che questa faceva sulle genti quando passava per via. Infine, essa muore. Sarò un ingenuo, ma non mi par questa una folla tale di avvenimenti, da far sembrare assurdo ed impossibile che possa essersi compiuta nel giro di quasi sei mesi: ed escludo anzi la ipotesi, alla quale, sopraffatto a tutta prima dall'osservazione dello Scartazzini, ero ricorso, che tra la data del "89 e quella del "90 ci potesse essere qualche divergenza, che pur di frequente si verifica, pel diverso computo a Nativitate o ab Incarnatione.

Ma in Dante molti dì significa non soltanto alcune settimane, ma mesi ed anni. Può dunque significare anche soltanto settimane e questo potrebb'essere il caso, e non vi sarebbe così più bisogno di dare a molti di una interpretazione che a me sembra assai sforzata. Egli veramente la rincalza con gli alquanti dì della Vita Nuova, §. 40; che per taluni, come il Lubin, furono anni non pochi, durante i quali Dante, dopo la morte di Beatrice, simpatizzò con la donna gentile. Ma è un'opinione tutt'altro che accertata; e non sarebbe veramente buona regola dimostrare una cosa dubbia con altra che anch'essa è bisognevole di dimo. strazione.

Veniamo ora al settimo argomento, il famoso matrimonio della Beatrice Portinari con Simone de' Bardi. Lo Scartazzini ammette che il costume dei tempi e l' indole di quell' amore tutto spirituale bastino a spiegare com'esso potesse anche volgersi su persona maritata. O allora perchè si fa poi quasi una difficoltà, di ciò che l'amore di Dante era un amore profondamente sentito, decisivo per la vita intima e per lo indirizzo intellettuale del poeta? Questo anzi rincalza il nostro assunto. Forse la cosa sarebbe stata censurabile, se, come credo del Petrarca, Dante avesse cominciato ad amar Beatrice già maritata; ma egli cominciò ad amarla nel 1283, e le nozze di Beatrice par che siano seguite alcuni anni dopo; tanto più naturale e per nulla condannabile, ch' egli abbia continuato ad adorarla in silenzio, e senza alcuna prospettiva di fisica dilettazione.

Che l'amata di Dante fosse poi maritata, una prova indubbia si ritrae dal chiamarla che fa Dante monna (madonna) Bice. Contro ciò lo Scartazzini esclama: «O che erano tutte quante maritate le innumerevoli monne o madonne dei poeti antichi?» Veramente non ho il tempo di cercarlo, ma siccome è a lui che spetta l'onere della prova, non gli sarà forse difficile trovare una qualche madonna nubile: ma sarà questa in ogni modo una semplice prova negativa, una prova cioè che l'amata di Dante potè essere ugualmente nubile o maritata, non già che deva essere stata nubile.

A questo veramente egli ha in serbo una bella serie di argomenti; ma è peccato che non ne abbia addotto almeno uno un po' decisivo in questa sua scrittura che avrebbe dovuto essere definitiva della quistione, anche per riguardo a coloro che non hanno il tempo di frugare in altri lavori.

Una bella trovata mi pare però quella che se Dante si dava tanta premura di custodire il suo segreto, non è maraviglia se nelle sue rime dava all'oggetto dell'amor suo un titolo che non gli apparteneva. O diavolo! E chi mai gli avea proprio preparata un'altra Bice maritata su cui far cadere i sospetti? E questa poi sì che sarebbe stata un'azione non troppo raccomandabile! Ma come vedemmo Dante non ne ebbe punto bisogno, essendo i due sonetti in cui si parla di Monna Bice indirizzati all' amicissimo Guido.

Ed eccoci finalmente all'ultimo argomento, che si vuol desumere dalla poca autorità del Boccaccio, che fu primo ad asserire, la Beatrice di Dante essere figlia di Folco Portinari.

Egli lo fa nella Vita di Dante, e nel Comento alla Commedia, in quest'ultimo solo aggiungendo a rincalzo la relazione di fededegna persona la quale conobbe Beatrice e fu per consanguineità strettissima a lei. O che bisogno, osserva lo Scartazzini, d'invocare la testimonianza di questa persona fededegna? La s'invocherebbe p. es. per dimostrare che Bismarck fu il primo cancelliere del nuovo impero germanico? Ma ognun vede la differenza che corre tra un fatto pubblico, notorio, e un altro d' indole tutta privata, non interessante che una strettissima cerchia di persone, e che Dante non ebbe mai l'intenzione di divulgare, anzi amò tener sempre nascosto. E su ciò del resto io mi appello dallo Scartazzini di pagina 108 allo Scartazzini di pagina 110, ove esce a dire: « Chi là sui primi del '300 fosse andato a Firenze ad informarsi della personalità della donna amata da Dante e se più tardi, tanto più « non avrebbe ottenuto altra risposta se non : Che ne sappiamo noi? E che importano a noi gli amori giovanili di un uomo bandito, di un condannato? »

Ed è per la stessa ragione che non se ne incaricarono i primi comentatori; e non già, come dice lo Scartazzini, che lo avrebbero detto se lo avessero saputo. Mi fa specie però ch' egli citi fra questi il Buti come una prova a suo favore. Sfido io: se questi negava espres samente la corporeità della Beatrice dantesca, è ben naturale non potesse ammettere ch'essa era dei Portinari. Egli poi vuol far dire troppo al Ma non è così che il Buti oppose al racconto del Boccaccio. Esso non prova già che a questo non si credeva fin d'allora, e non a Pisa, non a Firenze: prova solo che c'era chi non ci credeva: non era poi mica Vangelo!

Nè un soverchio peso si vuol dare neanche alle critiche che il Bruni fa al Boccaccio su questo riguardo egli il fatto non lo nega, come non nega quello dell'amore di nove anni, che non dal Boccaccio è narrato, ma dallo stesso Dante: egli si limita a non dare importanza a simili leggerezze, com' egli le chiama: nè sta poi l'assioma dello Scartazzini che chi racconta il vero non merita biasimo; lo può meritare benissimo, quando il vero contato fuori di luogo e a sproposito. Per me anzi questa austerità del Bruni è una riprova che avrebbe volentieri chiamato favole e non solo leggerezze le cose narrate dal Boccaccio: s' egli nol fece è segno che favole del tutto non erano.

E così dunque, pure ammettendo che il Boccaccio poco si curasse della critica storica, io continuerò a stare alla sua opinione, anche in questi tempi in cui di critica se ne fa forse troppa. Mi contenterò però non di giurare ma di credere che la Beatrice di Dante fu la figlia di Folco Portinari e moglie di Simone de' Bardi, desideroso che a ciò si trovino prove più certe, ma desideroso altresì che il tempo dei critici venga meglio impiegato, e sopratutto che si abbia maggior riguardo a quello del pubblico non chiamandolo a giudicare se non di questioni perfettamente mature.

F. RONCHETTI.

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