Slike stranica
PDF
ePub

[ocr errors]

si voglia intendere il punto dell'Atlantico dopo usciti di Gibilterra, " (p. 573). Nuovo e pregevolissimo il commento ai vv. 112-114 del C. XXVII: "siccome son nove gli ordini angelici, ogn' uno de' quali è movitore d'uno de' nove Cieli, secondo la mutua corrispondenza; e siccome udimmo che degli Angeli ne caddero d'ogni ordine, è notabile che qui, che siamo nell'ottavo de' nove Cerchi infernali, si parli de' Cherubini, che formano appunto l'ottavo ordine angelico, a minori ad majus. Questo fatto vorrebbe dunque significare che in quella guisa che gli Angeli Santi hanno in custodia un cielo (corrispondente per numero a quello del loro Ordine) gli Angeli rei hanno in custodia un cerchio infernale che corrisponde per numero a quello dell' ordine angelico onde furono cacciati? Qui nel cerchio ottavo, abbiamo i neri Cherubini, dell'ottavo Ordine, che dell' altissimo intelletto abusarono.... Cosí Lucifero sarebbe stato dell'Ordine piú alto; e delle Dominazioni, sesto Ordine, i diavoli che con tanta vigoria e resistenza s'oppongono all'entrata dei Poeti sulla porta di Dite, dove comincia il sesto Cerchio. La cosa parmi degna di serio esame,. (p. 593). C. XXVIII, 7-12; 112-114; al 107: Capo ha cosa fatta "Le parole del Mosca, passate oramai in proverbio, rinchiudono la politica dei fatti compiuti,, (p. 612). C. XXX, 61. Maestro Adamo non sarebbe di Brescia: Mons. Farabulini scrive al Poletto d'avere un documento sincrono, rogato in Bologna il 28 ottobre 1277 in cui tra i testimoni registra eziandio maestro Adamo, e lo dice appunto famigliare dei conti di Romena, ma nol fa bresciano, né altrimenti italiano, bensí inglese. Ecco le testuali parole: Actum Bononie in palatio Episcopatus bonon. praesentibus........ Magistro Adam de Anglia familiare Comitum de Romena, (p. 658). C. XXXII, 125: non è del parere, giustamente, di que' commentatori che della buca ove sono sepolti il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggeri fanno il confine tra l'Antenora e la Tolomea; giacché i dannati della Tolomea invece di essere in posizione verticale e colla fronte piegata in giú, come quei dell'Antenora e della Caina, erano colla persona non volta in giù, ma tutta riversata, cioè supinamente stesa e coperta di ghiaccio, salvo la faccia (XXXIII, 109) dunque il Poeta, mettendo Ruggeri nella stessa buca d'Ugolino, né facendo punto distinzione fra le qualità della pena dell'uno e dell'altro, e risultando chiaro che la posizione di Ruggeri nella buca era identica a quella di Ugolino, ne deriva che la prefata opinione che l'un dannato sia nell'Antenora, e l'altro nella Tolomea, per quanto possa essere appariscente, non ha consistenza, e la si deve rifiutare come falsa del tutto, (pag. 697) Al verso terribile: Poscia, più che il dolor poté il digiuno, dà un'interpretazione altrettanto terribile: "Affermare ch' ei voglia dire che veramente abbia mangiato de' figliuoli, non va, ché un uomo, dopo tanta inedia e patimenti sí fisici che morali (e i morali troppo piú veementi che i fisici) non poteva avere, anche volendolo, la forza necessaria. Dire che Ugolino intenda, come s'ingegnò di mostrare il Galanti, (Lettera IV della seconda serie, Ripatransone, 1882) il digiuno tanto mi esinani da impedirmi che io più li toccassi e li chiamassi; come estremo conforto, non mi risponde punto punto, perché, al trar dei conti, si risolve nella prima conclusione, cioè che morí di fame. Eppure in quel verso ci si sente un che di solenne, non so che indefinito, che sgomenta; ci si sente un pensato lavorio mentale del Poeta, a dare con quello l'ultima, la suprema pennellata alla tragica scena: se drammatica è tutta la narrazione, vieppiú drammatica deve dunque essere la sua catastrofe. E l'istinto della propria conservazione è poco potente negli uomini? e in quello sciagurato, reso quasi pazzo dal dolore, sfibrato e l'intelletto e il corpo dallo sgomento e dalla fame, direste fuor del possibile, non già che abbia mangiato la carne de' suoi, ma che tratto dall'istinto e come fuor di sé, n'abbia fatto come un tentativo? Inorridite? ed egli in quel verso, com' io lo sento pare inorridito ancor più di voi: Poscia più che il dolor poté il digiuno; e se le braccia non fossero state serrate dal ghiaccio in ch'era fitto, ci parrebbe di vederlo con uno di que' gesti potenti, che ha l'umana natura, potenti perché non preparati per convenzione, dare espressione alle parole, alzando la mano al disopra della fronte, questa abbassando vigorosamente di fianco e quasi impaurito, come quell'alzata e quella piegatura fossero per iscancellare sí truce memoria (pag. 712) Il Poletto è il primo, credo, che afferri potentemente l'idea dantesca circa la positura dei due traditori nella ghiaccia. Serva questa chiosa di norma ai disegnatori che alle parole del conte Ugolino aggiungono anche il gesto delle mani e delle braccia.

[ocr errors]

[ocr errors]

יין

[ocr errors]

Purgatorio, 1, 89 non può essere che quella che in eterrno separa i due Quella legge, ecc. mondi, quello dei dannati da quelio dei salvi,, (p. 18). Ottima la Nota in fine del canto su Ca

....

tone (p. 24). C. II, 49-51; 55-57; 79-81, Ombre vane, ecc. "sulla vanità de' morti.... è mestieri andare a rilento.... dichiaro candidamente che io non so, e credo anche vano lambiccarsi il cervello per tentare una spiegazione, della diversa ponderabilità e palpabilità delle ombre e della loro sembianza corporea. (p. 41) C. III.o 112-117; Manfredi, (p. 66) 121 "l'orribilità dei peccati di Manfredi non devesi guardare in quanto all'essere di persona privata, e come peccati interni; ma in quanto peccati pubblici, che gli attirarono la scomunica, per la quale e non per altro Manfredi è qui. (p. 69) 129 "Grave mora: (p. 71) Il costume di gettare una zolla nella tomba vige anche in Lombardia, specialmente nelle campagne: i primi a compiere quest'atto sono i dolenti stessi. 133135 "Il Poeta qui non altro dice che una grande verità, la quale non può far onta a nessuno, né prestare argomento di compatire l'autore, né di menar chiasso nella propria perfidia quasi avesse bestemmiato la Chiesa e le sue censure.... ci dice solo: per le scomuniche, per le maledizioni dei Pastori della chiesa finché s'è in vita non si perde la possibilità di riamicarsi a Dio.1 (p. 72) 140 In sua presunzion: “bisogna dire che la presunzione di Manfredi consistesse in questo di non tanto persistere ne' suoi errori, troppo confidando nella misericordia di Dio, quanto di troppo credere alla propria innocenza.... ovvero che troppo abbia confidato nella misericordia di Dio, senza venire a propositi efficaci di emenda.,, (p. 74). C. V, 22-24; C. VI, 49-51; 66, a guisa di leon... "L'illustre poeta Giacomo Zanella,.... ricordo che spiegando a' suoi scolari dell'Università di Padova questa terzina, disse loro cosí: Non lo vedete queste leone? se non lo vedete, io non so come mostrarvelo; e passò alla terzina seguente. Parrebbe un'arguzia insulsa, e non era invece che un'osservazione profonda.,, (p. 129) C. VIII, Nota. Aguzza qui, lettor.... "intendo che il Poeta, conscio che lo scernere a prima giunta certe verità nascoste sotto il velame dell' allegoria, non è da tutti, avverte con serietà il suo lettore a starsene bene attento, perché la cosa importa, dacché facilmente, per la sua sottigliezza, potrebbe essere non ravvisata, e il lettore potrebbe passar oltre senza badarvi.„ (p. 193). C. IX, I La concubina.... Il Poletto scarta l'opinione che si tratti dell'aurora lunare, e di quella che precede il giorno: intende invece di quella che sorge all'orizzonte razionale od astronomico della montagna del Purgatorio, che egli calcola avvenire alle ore undici pom. Perciò il poeta si addormenterebbe a quest'ora per sognare l'aquila all'alba che precede il giorno, cioè a quella sensibile ed apparente del Purgatorio, che sorge sei ore dopo, verso le cinque antimeridiane. (p. 98) C. XI, 25., Ramogna l'intesi da uno delle Balze, luogo di sotto la Verna, e in significato di moltitudine di rami, ciò che in montagna si dice ramillia. Quindi buona ramogna verrebbe a dire un esito felice, buona uscita di rami, buona fine ventura„ (p. 250). 105, fama. “Dante nella sua modestia s'ingannò per bene; la sua fama sarà eterna,, dice il Poletto: (p. 264) ma D. però temeva di perder vita tra coloro Che questo tempo chiameranno antico. Nella Nota pei due Guidi il Poletto "intende Guido delle Colonne superato in eccellenza da Guido Guinicelli,,. (p. 270). C. XII, 56 "La superbia di Ciro consistette in ciò che egli fu un di coloro che nel giro dei secoli anelarono ad avere in mano l'impero universale del mondo, da Dio riservato a debito tempo ai soli Romani.,, (p. 280) C. XIII, 90: l'ingegnosa congettura del Blanc, accettata dallo Scartazzini e dal Casini, che fiume della mente non sia altro che la memoria, pare al Poletto che abbia troppo dello sforzo. Egli chiede: Che cosa hanno unicamente quest'anime in sua cura di vedere? per affermazione del Poeta non hanno altro che l'Alto lume, cioè Dio; ma dunque l'augurio di Dante a quell'anime non può riguardare che questo, unicamente questo, cioè la visione di Dio. (p. 307). 133-135). Si corregge la nota dello Scartazzini circa la confessione di superbia fatta dal poeta: "l'esser caduto qualche volta in un difetto impedisce forse di sentire onestamente e francamente di dire che quel difetto è biasime vole? Se fosse altrimenti, non dovrebbe parer piú sorprendente ancora che or qui tosto s'accusi di superbia, e in forma grave, e dia alla superbia la pe

Ma questa, come altre chiose del Poletto, nulla ci dice di nuovo, di non già notato. Lo Scartazzini, per citare un solo de' più recenti commentatori, dichiara: " per le scomuniche ecclesiastiche non si perde il divino amore in modo tale da non poterlo mai più ricuperare „: e reca un passo di Fra Giordano (Prelica II) dove, appunto, si legge, che "la scomunicazione dà pur pene temporali, non altro; non lega a inferno e non ti può tôrre paradiso „

IL DIRETTore.

sante pena, che abbiam veduto? il sentirlo nella propria coscienza e il professarlo, pur sentendosene infetto, è indicio sicuro di anima onesta, che nel vizio non si è incallita; onde tra i biasimi che il Poeta dà all'invidia, la franca confessione che anch'egli in questo qualche volta peccò, mi pare che non ci sia punto di sorprendente; „ (p. 313) 136-138: "per questa fede sincera ei vedeva che non potevano essere in tutto scevri di colpa certi suoi risentimenti, certe tirate, certi impeti, del cui acre alcune volte cercò anticipata discolpa, facendosene in apparenza semplice narratore come di cose udite o vedute, e facendosene anzi dar lode dal suo Cacciaguida. (p. 314) 151-154 "Bisogna proprio dire che codesti Senesi Dante li tenesse in conto di teste vuote per bene, se non perde mai nessuna occasione di punzecchiarli. Ma Siena parve volersi tacitamente vendicare del Poeta, non avendo le sue tipografie fatto mai un'edizione della divina Commedia; e maggior vendetta, parmi, si prese dandogli per commentatore il P. Pompeo Venturi, che, al pari del Bettinelli, non perde occasione di denigrar sé stesso, denigrando Dante.,, (p, 315). C. XVI. 15 "quella parola mozzo, piú profonda che in sulle prime non sembri, riceve un alto senso, ove si consideri che uomo abbandonato all'ira non è veramente piú lui stesso, è uomo scevro da sé o dal meglio di sé, uomo veramente mozzo,, (p. 365) C. XIX, 104. Non gli par vera l'interpretazione dei commentatori, e vi sostituisce; "provai quanto pesa il manto papale a chi lo guarda, lo ambisce con occhio di cupidigie umane, a chi lo desidera con intenti profani,, (p. 449). C. XXVII, 70-75, ci affranse la possa.... Il Poletto combatte valorosamente l'opinione del Giuliani, suo maestro, sostenendo che Virgilio non fu morso dalle fiamme del settimo girone come invece dovevano esserlo Stazio e Dante. (p. 606). Nella Nota: "Matelda in sé raffigura sí la vita attiva che la contemplativa in quanto si può esercitare dall' uomo in questo mondo; e cosí Matelda è termine di passaggio, è anello di congiunzione tra Virgilio e Beatrice, tra Ragione e Fede, tra l'azione della vita presente e della futura "(p. 637). C. XXXIII, 35. Fu e non è.... non altro vuol dire se non questo, che la Santa Sede tolta da Roma, suð luogo naturale stabilitole da Dio, non è piú in terra vera (XXXII, 94), in terra a lei confacente, come certe piante portate fuori dal loro luogo e poste in clima non adatto (Conv. III, 3): staccato dall'albero, al quale Cristo lo attaccò, il mistico Carro erra in terra non sua. Il fu dunque riguarda la sostanza dell'essere; e non é non intacca la sostanza, ma risguarda gli accidenti derivanti dalle colpe umane. (p. 749). 135.... Si riassume l'orario, e nella successiva nota il Poletto avvalora sempre più l'opinione, che oramai si fa strada tra i commentatori, della partenza di Dante pel paradiso appena bevuto di Eunoè in pieno mezzogiorno.

[ocr errors]

Trovo, nella terza cantica, notevoli le chiose al C. II, 4, 7-9; C. III, 85-87; 103-105, Nel suo abito.... "nella frase dantesca ci si sente l'idea d'un sicuro rifugio contro le seduzioni del mondo, come a non vederle e le tre proposizioni della terzina, e i loro rompimenti, e il volgersi del verso fanno armonia inarrivabile. E quel giovinetta, come piena di vezzi naturali, pur piena di tanta sapienza da capire il mondo e da averne paura, e cercar sicurezza nell'abito d'altra vergine, forma antitesi, che l'anima intende, e intende il sacrificio e la grandezza dell'animo e la miseria del mondo. "(p. 74.) 115-117 Buona usanza.... "che è di non volgere a cure secolari vergini già consacrate a Dio.... e se non fallo i cacciatori di monache dai loro chiostri, sotto specie di civiltà, son qui bollati per benino,,. (p. 75). 121-123 C. IV, 28-33; 139-142. C. VI, 16-18. / Questo passo è altamente solenne, e onora la schiettissima fede del Poeta. Innanzi tutto racchiude una manifesta prova dell'infallibilità papale, professata da Dante cinque secoli e mezzo prima che venisse promulgata dal Concilio Vaticano; in secondo luogo è chiarissimo il pensiero dell'autore, che il seguire da parte dell'autorità civile docilmente gli insegnamenti della Chiesa rispetto all'integrità della fede, e il trovarsi in pieno e perfetto accordo con lei, torna vantaggioso all'ordine politico e promove la felicità dei popoli. „ (p. 126), 82-87; 94-96 C. IX, 121-127; 139-142, adultéro;.... "Ora qui Folchetto parlò della cupidigia del Papa e degli ecclesiastici in genere ai beni terreni, e del danno, che dal malo esempio proveniva al mondo cristiano: ma tutto ciò in cento luoghi della Monarchia, delle Epistole di Dante è chiaramento detto e ridetto provenire dalla supposta donazione di Costantino per la quale la Spada illegittimamente, secondo Dante, fu congiunta al Pastorale, onde il Papa, marito dell'Autorità ecclesiastica, divenne insieme marito dell'Autorità civile mentre Dio voleva che le due supreme Autorità stessero disgiunte; e per tal modo il Papa ebbe due donne, una per conseguente non sua; e in ciò, e non in altro, sta

l'adulterio qui accennato, e dal quale il nostro Autore vedeva la ragione di tutti i mali che affliggevano il mondo...., (pag. 210). C. XI, 1-12 rimarchevolissima (p. 233-236). C. XII, 106-111; 115-117: 142-145, Inveggiare “santamente invidiare è il riconoscere degnamente l'altrui merito, che mette santa emulazione, e perciò altro non significa che lodare. (p. 277) XVI, 34-39; C. XVII, 135; XVIII, 106-158; XXV, 1-9. Privilegi venduti e mendaci.... "l'Autore si mette in salvo; non tocca i privilegi, che l'autorità ecclesiastica può concedere ;.... ma parla dei mendaci e venduti, il che può intendersi dei curiali che varcavano i limiti della loro autorità, del loro posto, concedendo ciò che da loro non si poteva concedere; onde mendaci quei privilegi.,, C. XXVIII, 1-12; C. XXXIII, orazione alla Vergine. Termina colle parole di Pietro di Dante colle quali conchiudeva il commento del paterno poema. (p. 708).

Rimarchevoli per confutazioni mi sembrano le chiose ai seguenti passi: Inf., XXVII, 25-30; XXX, 7-9; 70-72; Purg., III, 133-135 e 136-145; XX, 58-60; Par., XII, 103-111; XVII, 127-129; per avvedimenti prudenti credo altrettanto notabili: Inf., XXIV, 82-84; 100-102; XXV, 79-84; 93; XXX, 76-78 e 91-93; Par., II, 1-6. pag. 32; III, 120; VII, 55-57; XVII, 49-51: soli (posso chiamarli cosí?) i commenti: Inf., XXXI, 85; XXXIV, 63; Par., II, 6; X, 137; XII, 137; XVII,

127-129.

Strenuo propugnatore della storicità di Beatrice, il Poletto sostiene la sua opinione chiosando i versi 125 del XXX del Purg., 13-15 del XXVI e 28-33 del Paradiso. Non mancano rimproveri a quei commentatori che vollero fare di Dante un poeta meno ortodosso di quello che realmente fu. Giova però osservare che oramai non vi ha dantista di valore îl quale non riconosca la intera ortodossia del nostro maggior poeta. A questo proposito trovo giustissimo quanto scrive lo Scartazzini nell'ultimo suo studio. "Oziosa è la quistione se Dante inclinasse piú alle dottrine del cattolicismo, o a quelle del protestantesimo. Oltreché essa pecca di anacronismo, basta leggere la Commedia, e fosse pure superficialmente, per convincersi che il suo sistema sta in opposizione diretta coi principi fondamentali del protestantesimo. Oziosa è pure la domanda, quale indirizzo Dante avrebbe preso se fosse vissuto al tempo della riforma religiosa? Tal quale egli fu, l'Alighieri avrebbe fatto eco a chi voleva una riforma della Chiesa, ma condannati i riformatori al sesto cerchio e forse alla nona bolgia del suo Inferno.,, (Dantologia, Milano, Hoepli, 1894).

Senza voler menomare il merito del commento mi par giusto far rilevare alcuni punti nei quali, a mio modo di vedere, il Poletto non avrebbe colto nel segno. La quistione del principato civile dei pontefici fa capolino qua e là, e segnatamente: Inf., XIX, 115-117; Purg., VI, 91-93; XVI, 106-108; 109-11; 130-132; Par., VI, 94.96; XX, 60, dove è detto di non aver nulla né da aggiungere né da levare a quanto il Poletto ha scritto nella sua Appendice al Dizionario dantesco. Nelle pagine di questo periodico ho fatto constatare qual sia la parte manchevole dell' appendice sul Poter temporale: a quel mio scritto avrei parecchio da aggiungere, ma nulla, proprio nulla, da togliere o da cambiare.

-

Vengo ad alcuni particolari. Inf., VIII (pag. 167): è ben sicuro il Poletto che ufficio principale di Flegias sia quello di traghettare "tutti quelli che alla città di Dite devono per pena andare?, Mi parrebbe di no, quando si legga il racconto di Pier dalle Vigne (XIII, 96-99) e le parole del diavolo nero (XXI, 37-40). XII, 130.... (p. 267) si propone un dubbio al quale i chiosatori non rispondono; e nemmeno il nostro riesce a dissiparlo plausibilmente. Il dr. Prompt, in certo modo, scioglie il quesito. XIV, 22-24, (p. 297). È assolutamente impossibile che Dante, sul limitare esterno della landa infuocata potesse scorgere in quella gente che si sedea tutta raccolta gli usurai che occupano il lembo interno dello stesso girone. Basti il dire che il poeta, nel bel mezzo della landa, voltatosi indietro, non scorgeva piú nemmeno la selva. XIV, 123, dice che i poeti "d'ogni cerchio percorrono il raggio della nona parte„. Il Poletto doveva dire, al piú, che i poeti percorrono di ogni cerchio un arco uguale alla nona parte della loro circonferenza interna od esterna: cosí pure non è precisamente matematica l'erpressione in commento alla parola molto del v. 125: "aveva già percorso un raggio di quasi sette noni della circonferenza totale.,, Non è nemmeno giusto che i poeti girassero una porzione di tutti i cerchi, perché alcuni di questi furono semplicemente recisi, non girati; altri, per contrario, girati non per una sola parte, ma per due ed anche per tre, come succede in Malebolge.

[ocr errors]

--

XIX, 85. Ripa che più giace.... vale "piú bassa e meno pendente dell'altra,,; benissimo: ma nel disegno presentato (pag. 511) gli angoli in ce in d sono eguali: quindi le sponde ce e df, sebbene di differenti altezze, hanno però l' eguale pendenza, giacciono egualmente. XIX, 70-72. Il Poletto cambia a mio avviso la simonia di papa Nicolò III in nepotismo: ma Dante qui parla di simonia, ed è probabile che conoscesse il valore di questa parola: che poi abbia fatto bene o male a giudicare questi papi cosí severamente, è altra cosa. XXXI, 9; (p. 660) Il Poletto sembra un poco confuso, ove dice: "dobbiamo supporre che i Poeti camminassero sopra un rialto, quale proseguimento dell'ordine dei ponti già percorso, se è vero, come è verissimo, che i vari ordini di ponti morivano propriamente alla sponda del pozzon. Questo rialto, a mio modo di vedere, non esiste. La ripa della quale parla il poeta (v. 8) non è altro che un argine, più largo degli altri, se vuolsi, tra l'ultima bolgia e il pozzo. Gli scogli erano un po' più alti degli argini, quindi più alti anche della ripa; infatti al verso 52 del XXIX è detto che per vedere meglio la X bolgia i poeti discesero in su l'ultima riva del lungo scoglio, e poi non lo risalirono piú. XXXII, 17 (p. 683) Il Nostro fa il pozzo tanto profondo quanto può essere la distanza tra l' umbilico e i piedi di un gigante e per dare certo valore alla parola profondo (C. XVIII, 5) suppone che si tratti della profondità complessiva del pozzo stesso, e per conseguenza vuole che la superficie del ghiaccio vada abbassandosi fino al centro a guisa della superficie interna di un imbuto. Ciò non può essere quando Dante dice che passeggiava fra le teste, e che la ghiaccia era un lago che aveva sembianza di vetro, cioè ben levigato. Dunque? È giocoforza ammettere che dai piedi del gigante alla ghiaccia vi sia un declivio, altrimenti il pozzo non sarebbe un pozzo, ma una vasca di una profondità minima in confronto della propria ampiezza. XXXIV, 121-126. (pag. 743). A mio avviso il Poletto interpreta questi versi in modo non conforme all'intendimento di Dante. Il poeta vuol dire che la terra, che prima sporgeva nell'emisfero boreale, per la paura di Lucifero fece velo del mare e venne nel nostro emisfero e quella che appariva dal luogo ove trovavasi allora il poeta, cioè nell'emisfero australe, per fuggire Lucifero lasciò qui, cioè nel luogo ove presentemente trovavasi Dante, il luogo vuoto, quel luogo cioè per il quale i poeti dovevano risalire per rivedere le stelle; la terra poi che, prima della caduta di Lucifero, occupava quel vuoto, in su ricorse e formò il monte del purgatorio. Con questo qui pronunziato da Virgilio, il poeta non può indicare la caverna infernale, dalla quale si era allontanato: : non disse forse, poco prima: Qui è da man quando di là è sera? (Inf., XXXIV, 118). — Qui ha valore grammaticale molto preciso, e sul suo significato non si può transigere tanto facilmente. Se la materia che forma il monte del purgatorio fosse in volume eguale al vuoto infernale, allora si avrebbe una montagna enorme, visibile certamente appena oltrepassati i confini del nostro emisfero; tale da sformare la configurazione del nostro pianeta. In questo caso ad Ulisse, per vederlo, invece di cinque mesi sarebbero bastati pochi giorni dopo oltrepassati i confini del nostro emisfero. E poi non dice Dante che il sacro monte si estolle sopra di un'isoletta? (Purg., I, 100). Io domando se si possa chiamare cosí una terra circolare avente per raggio la distanza da Gerusalemme all'Italia. Osservo che anche il Poletto dall'orlo della valle d'Abisso fino al centro della terra mette 3250 miglia. Purg., III, pag. 60. Il Nostro divide l'Antipurgatorio in quattro sezioni o scompartimenti circolari: pare invece che non vi siano gironi appositi per queste varie classi di negligenti: la valletta amena non rappresenta un girone: alcune anime, come la compagnia di Belacqua, non camminano; altre vanno per la costa di traverso. IV, 100-102, (p. 92) Sta bene che i poeti per recarsi da Belacqua, girassero il monte colle destre di fuori; non cosí, mi sembra, lo girarono per recarsi con Sordello alla Valletta (VII, 46). Sordello mentre stava attendendo i poeti volgeva le spalle al monte; quindi la sua destra era la sinistra dei poeti che salivano; perciò questi, per recarsi alla valletta, dovettero voltare a sinistra. Nel commentare poi i versi 43-45 del C. IX il Poletto dice che la valletta doveva essere tra mezzogiorno e ponente, cioè a sud ovest del sacro monte. (p. 203) Osservo che i poeti, dal punto dl oriente dove trovarono Sordello, impiegarono brevissimo tempo per giungere alla valletta, segno che questa era vicinissima al punto piú orientale della montagna (VII, 64). Se alla mattina, stando ad oriente del monte, il poeta scorse le quattro stelle, io credo che anche la sera, stando dalla stessa parte, si potranno benissimo scorgere anche le altre tre, salite al luogo ove si trovavano le prime. Date poi le dimensioni immense

[ocr errors]

« PrethodnaNastavi »