Slike stranica
PDF
ePub

8. Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà, dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare.
9. Ora incomincian le dolenti note

a farmisi sentire; or son venuto

là dove molto pianto mi percuote.

10. I' venni in luogo d'ogni luce muto,

25

che mugghia come fa mar per tempesta,

30

se da contrari venti è combattuto.
11. La bufera infernal, che mai non resta,

8. Non impedir lo suo fatale andare: andare voluto su nel cielo, conforme all'alto fato di Dio. Vuolsi così colà, ecc. Cf. di sopra, III, 33. Altrove torna l'accenno ad una Forza, che sempre agguaglia il Volere; ma con determinazione d'alcun fatto vivo e presente alla mente dei dèmoni (Inf., VII, 10; IX, 91; XXI, 79).

9. Ora incomincian le dolenti note A farmisi sentire; or son venuto Là dove molto pianto mi percuote. Non si dice più di Minos, nè si dichiara come il poeta varcasse l'entrata; ma del suo inoltrare nel cerchio ci fanno fede le dolenti note e il molto pianto. Nota la potenza di quel « percuote», riferito all'orecchia e all'animo.

10. I' venni in luogo d'ogni luce muto, Che mugghia come fa mar per tempesta, Se da contrari venti è combattuto. A sentir meglio tutta la fiera bellezza di questi versi, che giù s'aggravano scuri e procellosi, giova raffrontarli a quelli, che proprio mettono il volo, come lodoletta in aria piena di sole, al cominciare del Purgatorio: « Dolce color d'orïental zaffiro, Che s'accoglieva nel sereno aspetto Dell' aer puro insino al primo giro ». D'ogni luce muto, Che mugghia. Cf. di sopra (Inf., I, 60): « dove il sol tace ». Il luogo è mutolo, cioè impotente a generare quella cara parola del mondo visibile, che l'uomo chiama luce; però l'armonia del giorno, de' colori e delle forme e de' moti, non vi si sveglia in eterno; ma per entro quel silenzio di morte terribilmente rimugghia la notte procellosa: contrasto dav vero infernale, nascente dall'intima natura delle cose e significato con semplicità antica. Altri, rammentando le procelle del mare, ne avrebbe tratto argomento di larga descrizione alla maniera di quelle omeriche; ma Dante, austero sempre con sè e con l'arte sua, pone solo quel tanto, ch'è essenziale all'immagine.

11. La bufera infernal, che mai non resta, Mena gli spirti con la sua rapina: Voltando e percuotendo gli molesta. Il dèmone della tempesta qui cammina trionfale; e l'ultimo verso

Voltando e percuotendo gli molesta » ti rammenta, di struttura e di numero, quello del turbine estivo, che assale la selva: «Gli rami schianta, abbatte e porta fuori ». Teodorico Landoni vorrebbe far pausa a mezzo il verso, rannodando le parole « con la sua rapina » al verbo molesta, che altrimenti, secondo lui, non avrebbe efficacia. Ma, dico io, a crescere l'efficacia di molesta non basta aggiungervi, come fa il poeta, voltando e percuotendo? E se molesta da sè non vale assai, crediamo che basti a sè stesso quel mena, disgiunto da ra. pina? Poi, la pausa del Landoni guasterebbe, rallentando, la maravigliosa armonia della terzina, che ci fa sentire la forza rapitrice del vento e i nembi degli spiriti accavallati e cozzanti. Nella rapina (forza rapitrice de' venti) è simboleggiato l'impeto della passione, onde l'anima fu combattuta. Alta bellezza che i peccatori carnali, tanto innamorati del corpo e vaghi d'ogni morbidezza e soavità di senso, sieno qui mulinati per l'aria come la foglia riarsa.

[blocks in formation]
[ocr errors]

12. Quando giungon de' venti a la ruina, Quivi le strida, il compianto e 'l lamento: Bestemmian quivi la virtù divina. Leggono de' venti» il codice Villani, il Lambertiniano, uno dei Sanesi (I, VI, 28), uno degli Estensi (Bibl. di Modena, mss. VIII, F. 20), il codice di san Pantaleo (VIII, VE., 101) due de' Çorsiniani (44, G. 3, 44 F. 31), un Chigiano (VIII, 293), uno dell' Angelica (S 2 10) e il Palatino 1728 della Vaticana, tutti veduti da me: lezione, che mi dà immagine chiara e dantesca. Altri vada pensando la ruina del terremoto, generato dalla vittoria di Cristo, o i rotti scogli del vano per la caduta degli angeli ribelli; io penso volentieri alla foce del cerchio, onde i venti sboccano con tremenda violenza. Ruina, per me, non vale, come crede il Magalotti, dirupamento, e molto meno voragine o abisso, come vuole Giovanni Tambara (Alighieri, III, 191-212); ma piuttosto, come parve a Chirimone faentino e a Pietro Fanfani, impeto o violenza turbinosa. Del resto fa bene al mio proposito la bella similitudine, messa innanzi dal Magalotti, d'un legno o d'altro corpo, cui la corrente d'un fiume ne meni a galla; il quale, se s'abbatte a passare dove sbocca un torrente o altra acqua, che caschi con impeto da grande altezza, questa se lo coglie sotto, lo tuffa e rituffa per molte fiate, e in qua e in là con mille avvolgimenti l'aggira e trabalza, in fin tanto ch' ei non è uscito di quella dirittura e non ha ritrovato il filo della nuova corrente. Al Blanc de' venti parve congettura di studioso; a me invece par lezione sincera, che per la grafia del tempo facilmente si corruppe in « davanti ». Quivi le strida, il compianto e 'l lamento. Come già e perpetuo si riferiscono talora a idea di spazio; così quivi e lontano possono qualche volta congiungersi a idea di tempo. Strida, compianto, lamento dicono la varia tempra de' peccatori, più o meno irosi e dolenti, è anco l'ordine delle sensazioni: chè prima il poeta udì le strida, urli acuti e violenti, poi (attendendo) un gran pianto accorato e da ultimo un lamentio, che muore nell'aer nero, come « pianto d'onda, che fra scogli geme ». Bestemmian quivi la Virtù divina; cioè quella terribile Onnipotenza, che muove la bufèra, onde sono aggirati. Dopo le strida e il lamentoso ululato esce la parola disperatamente feroce. Così nell'atto della percossa altri mette uno strido; poi bestemmia ed impreca.

13. Intesi che a così fatto tormento Sono dannati i peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento. Leggo « sono» con la Nidobeatina, col Guiniforto, con due Codici bolognesi. I peccator carnali, turbando ordine di natura, fanno al talento della carne soggetta la volontà dello spirito; a Calibano Ariele, al dèmone della terra lo spirito luminoso dell'aria.

14-15. E come gli stornei ne portan l'ali, Nel freddo tempo, a schiera larga e piena; Così quel fiato gli spiriti mali, ecc. Intendo, con molti degli antichi, «portan l'ali » per vo

15. di qua, di là, di giù, di su gli mena:
nulla speranza gli conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
16. E come i gru van cantando lor lai,
facendo in aer di sè lunga riga;
così vid' io venir, traendo guai,
17. ombre portate da la detta briga;
perch' io dissi: Maestro, chi son quelle
genti, che l'aer nero sì gastiga?

18. La prima di color, di cui novelle

tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
fu imperadrice di molte favelle.

19. A vizio di lussuria fu sì rotta,

45

50

55

lano, parendomi molto artifizioso e strano « le ali portano gli stornelli », nè punto bello raffrontare il fiato maligno alle ali. A schiera larga e piena. Tu vedi per l'aria il nembo degli stornelli, fitti fitti, nascondere buona parte di cielo. Cf. Stazio, Theb., XII, 516. Il verso « Di qua, di là, di su, di giù li mena», tutto irto di monosillabi, rotto e discorde, rende a meraviglia il turbinio degli spiriti addensati e travolti, che traversano l'aria da ogni parte, quasi nuvoloni in una giornata ventosa di marzo. Michelangiolo, senza volerlo, fece stupendo commento a questo verso nel suo Giudizio finale, ove perduti ed eletti s'aggirano turbinosamente per lo spazio come se vi spirasse dentro il soffio della tempesta. Nulla speranza li conforta mai. È, con qualche determinazione, eco della tremenda parola: Lasciate ogni speranza voi, ch' entrate ». Non che di posa, ma di minor pena. Travaglio davvero senza tempo e senza misura, esclude ogni possibilità di posa e di sollievo anco d'un àttimo.

16-17. E come i gru van cantando lor lai, Facendo in aer di sé lunga riga. Gli storni volano taciti a schiera larga e piena; le gru, cantando un verso la mentoso, quasi mesti trovatori dell'aria, talora fanno di sè lunga riga, o striscia, una dopo l'altra, con qualche or dine. Cf. Purg., XXIV, 66. Nelle due similitudini comincia a disegnarsi la distinzione avvertita dal Blanc, di cui dirò tra poco. Chi vuol proprio ne' versi del poeta un lavorar di commesso e di tarsia, la rispondenza freddamente precisa e peritosa, come non si sta contento a portar l'ali per volare, mal può appagarsi di questo « van cantando », posto a riscontro del vid'io venir». Traendo guai. Cf. V. N., canz. « Donna pietosa», st. 4, v. 5; Inf., XIII, 22. Son guaiti, ch'escono dalla parte più viva e più riposta dell' anima: questo dice il verbo trarre ». Gli spiriti somiglianti a' nembi degli stornelli, travolti come sono, non possono trar lamenti: il mulinio vorticoso impedisce ogni manifestazione di affanno. Briga: vento molesto. Così altrove (Parad., VIII, 69): Che riceve da Euro maggior briga. Perch' io dissi: maestro; or chi son quelle Genti, che l'aer nero sì gastiga? Non è da intendere aer nero sì gastiga » nel senso vago di aria tenebrosa, che avvolge tanto gastigo; ma nel senso bene appropriato qui di aere maligno, che genera di sè la bufera, onde gli spiriti son travagliati. Altri legge, non senza offesa del numero, aura nera; altri « aer nera », che, dando all'aere natura femminea, lo ringentilisce.

18-19. La prima di color, di cui novelle Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta, Fu imperadrice di molte favelle. Le parole del poeta, «Chi son quelle genti, non si riferiscono anco alla turba più rammulinata, gente minuta ed oscura, ma soltanto alla schiera, che

che libito fe' licito in sua legge,
per torre il biasmo, in che era condotta.
20. Ell'è Semiramis, di cui si legge,

che succedette a Nino, e fu sua sposa;
tenne la terra, che il Soldan corregge:
21. l'altra è colei, che s' ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo:
poi è Cleopatras lussuriosa.

60

faceva in aer di sè lunga riga: però questa prima ombra nella risposta di Virgilio è la prima della schiera. Accolgo ben volentieri la distinzione proposta da Luigi Blanc; ma, dopo molto pensare, non credo con lui che Virgilio nomini, additando, parte dell' una e parte dell' altra gente; bensì, com'è naturale, tutte le ombre più ragguardevoli della nobile schiera, volante a mo' de' gru; ombre di fama note (Parad., XVII, 138) e, benchè eccellenti in qualche virtù, contaminate dalla febbre dei sensi e venute a morte per amore, fatto poi passione selvaggia, di bella persona. Ciò per altro non toglie che tra le mille e più anime della schiera illustre non sieno differenze, più o men notabili, d'indole, di condizione, di tempo, di vita, come tra Dido e Semiramide, tra Cleopatra ed Elena, tra Paris ed Achille. Aggiungi, quanto a Dido, la predilezione del suo poeta. Fu imperadrice di molte favelle; cioè di molte nazioni: modo biblico. Tommasèo: « Apoc., XI, 9, e altre sette volte: varie tribù e popoli e lingue ». Rotta. Si dice « rotto alla fatica di chi per lungo abito quasi non avverte ogni fatica più grave: così rotto a lussuria o ad altro vizio chi senza repugnare e senza vergogna si abban dona al suo mal talento. Libito fe' licito in sua legge. Sparziano (in Caracal.): Si libet, licet. Aug.: Fiunt in nobis concupiscentiae malae quando id, quod non licet, libet. » (Tommasèo).

D

20. Ell' è Semiramìs, di cui si legge, Che succedette a Nino e fu sua sposa: Tenne la terra, che il Soldan corregge. Non è vero, come afferma il Blanc, che le stampe e i mss. del Poema leggano, tutti d'accordo, a succedette ». A' due codici, ehe il Bianchi allega ad avvalorare la lezione sugger dette, altri già se ne possono aggiungere: i due citati dal Moore (Contributions to the textual criticism of the d. C., h. 1.), il Riccardiano 1024, che reca nel testo sugge dette, e il 1025, che ha d'antica mano la postilla marginale: «Al. sugger dette ». Ma vero verissimo, che la Volgata ben s'accorda con la tradizione storica e leggendaria intorno a Semiramide. Cf. Paolo Orosio, Hist., I, 4. È poi da considerare: 1. Che, leggendo sugger dette si fa barbareggiare il gran padre e maestro dell'idioma nazionale. Sugger dette mai non valse allattare e l'Alighieri, conoscitore sovrano d'ogni proprietà e d'ogni finezza di lingua, mal sarebbe stato contento a forma sì strana e melensa. 2. Che le colpe di Semiramide son già tutte accolte nella terzina precedente: «A vizio di lussuria fu sì rotta, Che libito fe' licito in sua legge, Per tòrre il biasmo, in che era condotta ». Poniamo si fosse voluto distinguere ed enumerare, non vedremmo accennato al solo incesto, nè fatto seguire questo accenno dal verso: « Tenne la terra, ecc. », che nulla tocca la moralità della donna. Invece, leggendo succedette, due accenni di somigliante natura si compiono a vicenda. Corregge. « Psal. XCV: Correxit orbem terrae. Petr.: L' onorata verga. Con la qual Roma e i suoi erranti correggi. Vive in Toscana e a Corfù ». (Tommasèo).

21. L'altra è colei, che s'ancise amorosa, E ruppe fede al cener di Sicheo; Poi è Cleopatras lussuriosa. Parlando della sua Dido a chi tutta aveva cercata l' Eneide, sta bene che

22. Elena vedi, per cui tanto reo

tempo si volse, e vedi il grande Achille,
che con Amore al fine combatteo.

23. Vedi Paris, Tristano. E più di mille
ombre mostrommi, e nominolle a dito,
che amor di nostra vita dipartille.

65

Virgilio non dica il nome; ma, raccogliendo in rapida sintesi, e parte con l'antica parola, quanto fu veduto pur nella sua rima, ne ravvivi l'immagine nella mente dell'Alighieri. S'ancise amorosa. La fanciulla della visione (Purg., XVIII, 37): Ancisa t'hai per non perder Lavina. E una delle voci angeliche: (Purg., XIV, 134): Anciderammi qualunque m'apprende. Poi è Cleopatras lussuriosa. Buona la chiosa del Tommasèo: « Le due dieresi di lussurïosa e di Cleopatràs (forma del genitivo greco) e l'accento sull' ultima ritraggono la sozza regina ».

22. Elena vedi, per cui tanto reo Tempo si volse, e vedi il grande Achille, Che con Amore al fine combatteo. Quello che Omero dice, là nella sua protasi, dell'ira di Achille, è qui detto di Elena; ma la parola di Dante più s'allarga, riferendosi così bene a' iutti degli Achivi come a quelli de' Troiani. Vedi. La Volgata ha: vidi; regalando al poeta una vieta forma, ch' egli non usò mai, o mutando bruscamente il modo rappresentativo e drammatico in un modo narrativo, che repugna alla precisa dichiarazione del poeta: «E più di mille ombre mostrommi e nominolle a dito». Che con Amore al fine combatteo. Altri legge: « per amore e intende: Achille uscì alla battaglia, dopo essersene rimasto sì lungamente, per amore di Patroclo; ma nessuno vorrà credere che, accanto ad Elena si ponga Achille, perchè amico a Patroclo; nè questa amicizia fu cagione al figliuolo di Teti di morte violenta. La sana lezione « con amore » non è intesa d'un modo. Il Castelvetro, acutamente al suo solito, dichiara: «Achille lungo tempo aveva combattuto con Marte, cioè era stato soldato di Marte, ed alla fine fu soldato d'Amore e combattè con Amore, significando CON in questo luogo compagnia e non contrasto ». (Sposizione, 76). Salomone Marino e il Traina vogliono che la frase dantesca combatteo con Amore » risponda alla popolare sicula « cummàttiri cu Amuri»; dove combattere vale sollazzarsi, prendersi spasso, come nel verso: « Seco medesmo a suo piacer combatte» (Parad., V, 84). Meglio Niccolò Tommaseo: « Egli (Achille), invitto nelle armi, da amore di Polissena fu vinto e nello sposarla morto (Aen., VI)». Io rifiuto, perchè stiracchiata, fredda, inestetica, la sentenza del Castelvetro: riconosco nel cummàttiri siciliano il fratello carnale del combattere a piacimento dell'uso toscano antico; ma nulla che somigli a questo fiero combattere di Achille; il quale non fu davvero uomo tanto sollazzevole da poter dire di lui: al fine, dopo essersi gran tempo sollazzato altrimenti, si sollazzò con Amore; e, accostandomi al Tommasèo, dichiaro: Achille, il fortissimo, che, pugnando le tante volte contro gli uomini, sempre uscì vittorioso, venne da ultimo alle prese col terribile iddio dell'Amore e fu vinto. Così parmi lumeggiata bene la grande figura di Achille; e s'intende che, non senza ragione di sentimento e d'arte, Elena, terribilmente bella di trionfale bellezza, la donna fatale, si ravvicina al più gagliardo e valoroso tra' guerrieri, il fatale Pelide. Anche giovi avvertire l'animo di chi addita; glorificatore di quel popolo, in cui l'alto sangue troiano era mischiato.

23-24. Paris: non già il cavaliere del medio evo, amante di Vienna, ma l'effeminato ra

1 Cf. Nannucci, Teorica de' verbi italiani, pag. 738.

« PrethodnaNastavi »