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cammina non ha il vezzo di strascinare i piedi o di fare i passi a piè pari ; nel secondo caso Dante verrebbe a descrivere la lentezza e la irresolutezza di chi cammina impaurito e circospetto, come spiega per l'appunto il Taverna. Se non che non convengo con lui nel dire che chi muove i passi sospettosamente sempre si ferma sul piè di dietro, cioè il più basso, perchè, mutandosi il passo, anche il piè fermo si alterna; e il caso del Greco presso l'Ariosto è un cotal po' diverso da quello di Dante, perchè il Greco andava brancolando al buio. È verissimo poi che piaggia poeticamente usasi per qualsivoglia luogo; è anche vero che Dante al cominciar dell' erta fu impedito di salire il dilettoso monte; ma non è men vero che egli, respinto. dalla lupa, rovinava in basso loco; sicchè, per conciliare tutte queste condizioni di fatto e di luogo; è mestieri ammettere che la piaggia diserta fosse alquantò inclinata, onde il poeta meritava il rimprovero di Virgilio essendosi arrestato al cominciar dell' erta, che è una salita forte, e d'altra parte poteva dire benissimo che rovinava in basso loco, perchè discendeva per la piaggia verso la selva. Aggiungerò che l'Andreoli e l'ab. Caverni, dopo il Taverna e indipendentemente da lui, convennero nell' interpretare come lui il passo dantesco, il che dimostra vieppiù la bontà dell' interpretazione.

L'altra chiosa leggesi nei margini del già ricordato esemplare della Commedia ed è apposta ai versi 52-54 del canto III dell' Inferno:

Ed io, che riguardai, vidi un'insegna
che, girando, correva tanto ratta,
che d'ogni posa mi pareva indegna.

Tanto ratta, spiega il Taverna, ironicamente: e vuol significare tanto in suo corso lentissima. E più sotto: che d'ogni posa mi pareva indegna; che parea non dovesse mai aver mestieri di posa. E così interpretava anche il Giambullari, il quale, nel suo trattatello De 'l Sito, forma et misura dello «Inferno» di Dante, dopo aver descritto l'antinferno, soggiunge: «In questo grandissimo spazio assegnato per carcere et per tormento alle anime delli sciagurati, vissuti nel Mondo senza biasimo e senza lode, sì lentamente si aggirano l'ombre di questi tali, ancora che del continuo stimolate ed assassinate da i Mosconi e dalle Vespe: che il poeta stesso giudica che elle non abbino mestiero di riposarsi già mai, il che ci dimostra egli quando e' dice:

Ed io che riguardai, vidi un'insegna

Che morte tanta n'avesse disfatta » 1.

Codesta interpretazione, che i commentatori o non ebbero presente o non reputarono meritevole neppure di una discussione, a me pare preferibile a quella che è universalmente accettata. Si obietterà che indegno di ogni posa non significa che non ha mestieri di posa; che alla legge del contrappasso si conviene meglio il correr eternamente dietro ad un'insegna che sempre si muove, che non l' aggirarsi lentamente, trattandosi delle anime di coloro che in vita non si mossero per nessuno scopo e vissero neghittosamente; e che la pena degl' ignavi è da confrontare con quella che in purgatorio è assegnata agli accidiosi costretti, per una colpa affine, a correre senza posa. Alle quali obiezioni, si può rispondere: che indegno non è da confondere, come fanno i più, col latino indignatus, nè da spiegare per sdegnoso, aborrente, impaziente, ma vuol dire non meritevole; sicchè, ove si dia un senso ironico al passo citato, a Dante ben potevano sembrare immeritevoli della benchè minima posa quelle anime, tanto si movevano lentamente, perchè solo chi abbia corso può meritarsi e aver diritto di riposarsi. Il contrappasso, come osserva giustamente il Bartoli 2, è qualche volta contropatire, qualche volta patire in modo analogò, qualche altra patire in ambedue le maniere; onde, se agli ignavi si addice, per contrasto, il correre instancabilmente, non si addice meno, per analogia, il camminare lentamente; anzi il poeta, applicando la legge del contrappasso nel secondo modo, si sarebbe mostrato (e n'aveva ben ragione quel giudice così fieramente sdegnoso d'ogni fiacchezza e d'ogni viltà) anche meno misericordioso verso quegli sciagurati, perchè avrebbe negato loro persino quel qualunque sollievo che chi soffre cerca istintivamente, potendo, nel muoversi e nel correre. Il confronto poi cogli accidiosi del purgatorio qui non calza. Anche se non si voglia ammettere con Jacopo e Pietro di Dante, coll' Ottimo, col Boccaccio, col Da Buti, col Bargigi, col Landino, col Vellutello e con non pochi e non poco autorevoli commentatori moderni, che gli accidiosi sono puniti pure nell' inferno insieme cogli iracondi dentro la belletta negra della palude Stigia, tuttavia non è da credere col Daniello che forse siano puniti nell' antinferno, perchè l'accidia è cosa ben distinta dall' ignavia, essendo quella, come insegna la religione cristiana, alle cui

1 Ediz. fiorentina di Neri Dortelata, 1544, pag. 35.

2 V. Storia della lett. ital., vol. VI, parte 1a, pag. 101,

dottrine Dante si attiene fedelmente, un peccato capitale ed essendo invece questa la negazione d'ogni peccato, come lo è altresì d'ogni virtù. All'acume del Bartoli non è sfuggita codesta differenza, quantunque egli « non possa nascondere che un argomento in favore dell'opinione del Daniello e degli altri che lo seguono, sarebbe questo, che l'accidia è punita nel purgatorio dantesco in modo analogo a quello onde sono puniti i vili dell'antinferno »1. Ma questo argomento esula ove si accetti la spiegazione proposta dal Giambullari e dal Taverna, in favore della quale trarrò anch' io un argomento non però dal Purgatorio, sì bene dall' antipurgatorio. Una mente come quella di Dante, così rigorosamente studiosa delle rispondenze e dell'ordine simmetrico, non è improbabile che nell' ideare l'antipurgatorio pensasse all' Antinferno; onde come nel vestibolo del regno della pena ha posto pigri nel bene e nel mal oprare 2, così nel vestibolo del regno dell'espiazione ha collocato i pigri e tardi nel pentirsi, e come finge che questi camminino si lentamente che pare non si muovano:

Da man sinistra m'apparì una gente
d'anime, che movieno i piè vêr noi,
e non parevan sì venivan lente 3,

i

così non è inverosimile ch'egli immaginasse gl' ignavi sì lenti nell'andar dietro all'insegna da non meritar o aver bisogno menomamente di riposarsi. La lentezza, in entrambi i casi, è tanto più grave in quanto che gli uni debbono indugiare la loro penitenza, mentre sono stimolati dal desiderio di espiare le colpe sapendosi già spiriti eletti, e gli altri sono costretti a camminare lentamente, quantunque siano stimolati molto da mosconi e da vespe. Osserverò inoltre, che se gl' ignavi corressero così rapida

1 Vol. cit. pag. 55.

2 Sulla condizione di questi sciagurati si leggano le opportune osservazioni fatte da N. Zingarelli in questo stesso periodico (anno I, quaderno VI).

3 V. Purg., c. III, vv. 58-60.

▲ Potrebbe il lettore farmi osservare che gli spiriti dell'antipurgatorio camminano len tamente, perchè a loro non monta e non giova l'andare in fretta, e perciò Belacqua risponde a Dante (Purg., c. IV, vv..127-29):

Frate, l' andare in su che porta? Chè non mi lascerebbe ire ai martiri l'uccel di Dio che siede in sulla porta.

In ogni modo ciò non vuol dire che il Poeta nella lentezza di alcuni e negli atti pigri e nelle corte parole di altri non abbia voluto raffigurare lo modo usato da loro quand'erano

al mondo.

mente, come interpretano i più, non solo essi sentirebbero meno le punture dei mosconi e delle vespe nonchè il fastidio dei vermi sotto i piedi, il qual senso di pietà mi par qui alieno dall' intenzione del poeta 1, ma non si comprenderebbe bene, o si comprenderebbe meno bene, come egli, in mezzo a quella lunga tratta di gente che girando si muove con tanta velocità, potesse riconoscere alcuno e vedere e conoscere

l'ombra di colui

che fece per viltate il gran rifiuto.

A buon conto, gli accidiosi del purgatorio, perchè si muovono correndo, solo parlando, mentre corrono, si dànno a conoscere ai due poeti.

Spero adunque che il lettore, se l'intelletto suo ben chiaro bada, non troverà inopportuna (fosse anche efficace!) la difesa che ho tentato di una interpretazione, la quale, per essere stata proposta dal Giambullari e dal Taverna, meriterebbe almeno qualche grazia nei commenti del sacro poema. Roma, ottobre 1893.

ILDEBRANDO DELLA GIOVANNA.

1 Dante che vuole esser cortese ai violenti contra natura, concede loro di potersi muovere continuamente sotto la pioggia dell' aspro martiro (Inf. C. XVI v. 6); e se Brunetto Latini gli dice: qual di questa greggia S'arresta punto, giace poi cent'anni Senza arro· starsi quando 'l fuoco il feggia (c. XV vv. 37-39), segno è che il giacere è maggior pena che il muoversi, sotto la pioggia del fuoco.

PENETRA E RISPLENDE „,.

NOTA DANTESCA.

Corrado Ricci, nella Cultura del 27 decembre 1892, ha proposto una variante nella punteggiatura della prima terzina del Paradiso. Il prof. L. M. Montresor gli ha risposto nello stesso periodico, in data del 21 febbraio del corrente anno, sostenendo la punteggiatura comunemente accettata. Io non oserei entrare terzo in questa nobile polemica, se non mi fosse sem

brato che l'amico Montresor non abbia punto risposto alle ragioni dell'illustre proponente. Egli, intimamente persuaso della sua tesi, si è limitato ad affermazioni anche troppo vivaci, cadendo in uno di quei casi di cui parlo nel mio libro La logica negli uomini e negli animali, molto comuni nella vita ordinaria, e non rari in quella scientifico-letteraria, nei quali l'animo del polemista è talmente compreso della verità delle sue affermazioni, che sdegna gli argomenti, s'irrita e talvolta copre d'improperi l'avversario, cui imputa bene spesso a scarsezza d'intelligenza le contrarie opinioni. Il Montresor si è trovato in questo caso, e trascurando di ricor rere alla sua sottile logica, della quale ha dato tante belle prove, si è scagliato contro il povero Ricci, che a lui è sembrato un profanatore di tombe. Confesso francamente la mia impressione: a me il Montresor è sembrato acceso di sacra indignazione, ed avrei applaudito ai suoi scatti, se il colpito non si fosse chiamato Corrado Ricci, uno dei più brillanti ed intelligenti scrittori contemporanei, e, mi si lasci dire, una delle persone a me più care, sebbene io non abbia il piacere di conoscerlo personalmente, perchè ricordo sempre che fu il promotore del famoso centenario dello Studio di Bologna, la più simpatica festa che abbia avuto luogo in Europa negli ultimi anni. Riproduco per intero i due articoli, i quali hanno un pregio, oggi assai raro, ma molto stimabile, quello di una succosa brevità.

Il Ricci dice:

« Le edizioni della divina Commedia che ho potuto vedere hanno la prima terzina del Paradiso punteggiata così:

od anche:

La gloria di Colui, che tutto move,
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più, e meno altrove;

La gloria di Colui, che tutto move,
per l'universo penetra; e risplende
in una parte più e meno altrove.

<«<La terzina mi sembra mal punteggiata. Nel canto II, e in altri luoghi del Paradiso, Dante afferma che il maggiore o minore splendore dei corpi proviene dal più o meno penetrare in essi della virtù divina, della gloria

di Dio.

Virtù diversa fa diversa lega

col prezioso corpo ch' ella avviva,
nel qual, sì come vita in voi, si lega.

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