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a ridire in terra quanto vede ed ode lassú. Quindi la politica e la cagione dell'esilio non può entrare nella condanna di Beatrice, non la filosofia, preparazione alla maggior gloria di lei. Quindi rimangono i giorni troppo lieti passati con Forese, il selvaggio amore per la donna della pietra, e l'amore breve, ma ardente, per la Donna Gentile. Ad ogni modo non può negarsi che questo periodo di vita del poeta sia oscurissimo e tale forse rimarrà per sempre, se nuovi documenti non vengano in aiuto ai pochi certi sinora messi in luce. Né a diradare la nebbia soccorrono i primi versi della Commedia, ché, se nella interpretazione letterale e morale della selva, del colle illuminato dal sole e del mezzo del cammino della vita i commentatori son quasi tutti d'un parere, quei versi suonano diversamente dalle parole della Vita Nuova. Là, a redimere Dante, basta l'apparizione di Beatrice fanciulletta di nove anni; qui invece ella è mossa dalla Donna Gentile del paradiso, Maria, la sola che possa frangere il duro giudizio di lassú, e da Lucia, ed altro argomento (rimedio) non trova alla caduta di Dante se non che fargli vedere le perdute genti. Si può supporre che Dante abbia modificato il piano del poema, e, non senza una qualche ragione morale e religiosa, abbia posto il suo risvegliarsi nella selva selvaggia la settimana santa del 1300, il che, si noti per coloro che nella licenziosa includono anche la vita politica, avvenne prima del suo priorato.

Ma sia come si voglia, Beatrice trionfa interamente e ritorna la donna del poeta, fatta bella di bellezza ineffabile nella eterna luce del paradiso. Dopo dieci anni Beatrice, sulla cima del purgatorio, si presenta al suo fedele infedele, sul carro mistico.

Quando il settentrion del primo cielo,
che né occaso mai seppe né òrto,
né d'altra nebbia, che di colpa, velo,

e che faceva lí ciascuno accorto

di suo dover, come il più basso face qual timon gira per venire a porto, fermo s'affisse, la gente verace,

venuta prima, tra il grifone ed esso, al carro volse sé, come a sua pace. Ed un di loro, quasi da ciel messo,

Veni, sponsa, de Libano, cantando,

gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.

Quali i beati al novissimo bando

surgeran presti ognun di sua caverna,

la rivestita voce alleluiando,

cotali, in su la divina basterna,

si levàr cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messaggier di vita eterna.
Tutti dicean: Benedictus qui venis,

e fior gittando di sopra e d'intorno,
manibus o date lilia plenis.

Io vidi già nel cominciar del giorno,

“Ahimé, „

la parte oriental tutta rosata,
e l'altro ciel di bel sereno adorno;
e la faccia del sol nascere ombrata,
sí che per temperanza di vapori,
l'occhio la sostenea lunga fiata.
Cosí dentro una nuvola di fiori,

che dalle mani angeliche saliva,
e ricadea in giú dentro e di fuori,
Sovra candido vel cinta d'oliva

donna m'apparve, sotto verde manto,
vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
tempo era stato che alla sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,
senza degli occhi aver piú conoscenza,
per occulta virtú che da lei mosse,
d'antico amor sentí la gran potenza.

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qui esclama il mio carissimo Róndani: "quando Beatrice ci appare fra le strane imagini apocalittiche del XXIX canto, fra maravigliose solennità di significato recondito e sublime: Ah non è questa, - sí esclama, la Beatrice delle piú sincere pagine della Vita Nuova! Né la sua affermazione: - ben son, ben son Beatrice, né le sue parole che accennano alla sua carne sepolta, alla sua seconda etade, ci bastano perché quella donna, assisa trionfalmente sul carro simbolico, valga per l'arte la donna gentile e tanto onesta del più popolare sonetto della Vita Nuova. Dante vuole sbramare la decenne sete di veder lo santo riso, perciò guarda Beatrice con occhi fissi ed attenti; ma le Virtú gli dicono: -- troppo fiso. Come troppo fiso? Come si deve intendere? Ch'egli guardi Beatrice con un sentimento terreno? o ch'egli voglia guardare troppo addentro nella teologia? Comunque sia, Beatrice è già tal luce, che Dante, per averla guardata cosí, resta alquanto senza vista. Il poeta nel voler dire di lei ciò che non fu detto d'alcuna donna, le ha tolto troppo di quell'umano che è la più trattabile materia l'artista. per Certo il soverchio simbolismo qui nuoce all'arte figurativa, la quale col Doré e lo Scaramuzza voglia rappresentare ciò che Dante esprime e ritrae colla parola, e tanto piú dopo quello stupendo paesaggio, quel giardino maraviglioso ma in tutto rispondente alla natura in cui si muovono due vive creature, Matelda e Lia, simboli anch'esse nel pensiero di Dante, ma dal simbolo non offuscate.

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Molti, ed io pure altra volta, hanno a questo punto ravvicinata Beatrice con Laura, e son corsi col pensiero alla canzone:

Chiare, fresche e dolci acque

1 ALBERTO RÓNDANI: Saggi di critiche d'arte. Firenze, tip. della Gazzetta d'Italia, 1880, pag. 385.

ed alla bellissima strofa

Da' be' rami scendea,

(dolce nella memoria),

una pioggia di fior sopra il suo grembo;

ed ella si sedea

umíle in tanta gloria,

coperta già dall'amoroso nembo.

Qual fior cadea sul lembo

qual sulle trecce bionde,

ch'oro forbito e perle

eran quel dí a vederle;

qual si posava in terra e qual su l'onde;

qual con un vago errore

girando, parea dir; qui regna amore.1

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2

Eppure, lasciando stare che Laura é viva e sola in mezzo alla ridente natura che le fa omaggio, la rassomiglianza tra le due rappresentazioni non c'è punto, e tutto si riduce alla pioggia dei fiori. Perché ciò? perché le due situazioni sono all' intuito diverse, come profondamente diverse le donne rappresentate, benché vere ambedue, ed i caratteri dei loro amanti poeti. Ben è vero che con Dante cominciano le prove piú convincenti della profonda impressione esercitata dalla natura sull'animo dell'uomo, ed anche nella Vita Nuova si è potuto vedere come l'aperta campagna gli inspirasse versi per la sua donna. Ma se in lui, quello che oggi si dice sentimento della natura, era potentissimo, e lo espresse in tutt'altra maniera che il Petrarca: l'effetto del sole che apre, imbiancandoli della sua luce, i fioretti chinati e chiusi in loro stelo dal freddo della notte, che Dante descrive nella nota terzina, è da Laura prodotto coi piedi. "Dante sentí, per la natura, un amore meno intenso, meno continuo, meno consapevole, ma piú sano. Ne sentí tutta l'armonia e la bellezza, n'ebbe impressioni schiette, nuove, innumerevoli, che ritrasse con parole potentissime, ma sempre coll'intenzione di recarne maggior luce e vigore a quella gran dipintura di fatti umani che è la divina Commedia. Cosí lo Zumbini, 3 né altrimenti da lui un critico francese. Per Dante, come per la maggior parte dei grandi poeti e pittori italiani, egli dice, la natura non è se non che un accessorio, necessario alla dipintura del mondo morale e dell'umanità: niente di più. E Dante non l'ama per sé stessa, ma per i servigi che ella può rendergli nello esprimere le sue alte verità: ma questa parte molto umile cui è costretta la natura esteriore, diviene poi grande per la grandezza delle cose alla quale Dante l'obbliga di fornire, come s'egli le traesse da un vaste magasin,

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1 Le Rime di F. PETRARCA con prefazione di Adolfo Bartoli. Firenze, Sansoni, 1883, p. I,

pag. 105.

2 I. BURCKHARDT: Op. cit., vol. II, pag. 27.

3 B. ZUMBINI: Studi sul Petrarca. Il sentimento della natura. Napoli, Morano, 1878, pagg.

30, 71.

obbietti di paragone.1 Ed invero è nelle similitudini che si manifesta questa potenza dell'Alighieri, ma al critico francese sfuggi che grandissima si mostra ogni qualvolta a quel sentimento si congiunge l'amore per l'Italia. Vero che egli sottomettesse la natura esteriore ai fatti umani; ma ciò, nota il Bartoli, non diminuisce la forza e la verità di quelle impressioni, e quella schiettezza d'imagini uscite, al dire del Trezza, dal cuore delle cose, 2 sentimento consapevole, avendo il poeta voluto anche dipingere una natura non vista, idealizzata e vi riuscí nella selva dei suicidi.

narrato:

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Beatrice non appare mai circondata dalla viva natura, ed al suo comparire nel Purgatorio, anche il bel giardino terrestre è dimenticato. Tutto questo risponde perfettamente allo intendimento del poeta: Beatrice beata, omai è fatta da Dio, sua mercé, tale, che piú non la tangono le cose del mondo, e, per conseguenza, ella riman pure indifferente a quel paradiso che è pur fatto di terra. Il Róndani trova che Dante ha tolta a Beatrice molta parte di vita, e qui non trova piú la Bice della Vita Nuova. Eppure nei particolari le due donne si riconoscono per la stessa persona, e la nuova visione si ricollega coll'antica. Qui gli angeli infiorano Beatrice, e poco più di dieci anni prima Dante aveva "Io imaginava di guardare verso il cielo, e pareami vedere moltitudine d'angeli i quali tornassero in suso, ed avessero dinanzi loro una nuvoletta bianchissima; e pareami che questi angeli cantassero gloriosamente. „ Dante, senza vedere Beatrice, sente i segni dell'antico amore nella stessa guisa di quando la vide e l'amò: — “In quel punto lo spirito della vita il qual dimora nella secretissima camera del cuore, cominciò a tremare sí fortemente che appariva nelli menomi polsi orribilmente. Cosí gli si manifestò la presenza di Beatrice in quella parte ove molte donne erano adunate: parve sentire un mirabile tremore incominciare nel mio petto dalla sinistra parte, e stendersi di subito in tutte le parti del mio corpo. Allora dico che poggiai la mia persona simulatamente ad una pintura, la quale circondava questa magione; e temendo non altri si fosse accorto del mio tremare, levai gli occhi, e mirando le donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice. " "Avvenne un dí che sedend' io pensoso in alcuna parte, ed io mi sentii cominciare un tremito nel cuore, cosí come s'io fossi stato presente a questa donna. E la donna vestita di color di fiamma viva, non rammenta la fanciulla vestita di color sanguigno, ed involta in un drappo pur sanguigno?

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"Mi

Beatrice adunque non ci compare nel Purgatorio inaspettata, donna

1 ÉMILE MONTÉGUT. Poètes et artistes de l'Italie. Paris, Hachette, 1881, pag. 213 e seg. 2 Stor. della lett. ital., Vol. VI, p. II, cap. IV. Cf. DE SANCTIS. Saggi critici, Napoli, Morano, 1869, pag. 420; e Stor. della lett. ital., Vol. 1, pag. 194. Per la natura adirata, sconvolta in D. vedi A. HUMBOLDT, Cosmos. Venezia, G. Grimaldo, 1860, (Trad. di Giulio Vallini). Vol. II, pag. 58 e seg.

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viva nella Vita Nuova e viva ancora qui, ed i rimproveri mossi a Dante e le allusioni a sé stessa lo provano abbastanza: la vita dunque non viene a mancare in lei, ma sembra che sia cosí per la nuova missione, diciam cosí, che per grazia divina le è stata affidata rispetto a Dante, il quale sino dal suo libro giovanile avevala a ciò destinata. Ma Beatria giusta ragione affermò Cesare Balbo, - non diviene nella Commedia un simbolo se non per le tante guastature, appiccature e diminuzioni di commentatori, i quali, come certi filosofi idealisti, fanno spreco d'ingegno e di dottrina nel fabbricare sistemi contrarî l'uno all'altro per far sottentrare alla Beatrice vera e viva nel cielo, ora la teologia, or la filosofia, la somma sapienza, la chiesa e perfino l'idea ghibellina. Beatrice, segue il Balbo, non può rappresentare la teologia che Dante colloca determinatamente e quasi confina al quinto cielo; non l'una o l'altra dell'altre singole idee, perché, secondo il D'Ancona, troppo poco sarebbe l'attribuirle la rappresentazione simbolica d'uno di codesti pur sì alti concetti. Beatrice, conchiude quest'ultimo, è simbolo non d'una idea ma dell'idea. Cosa piú certa è di attenersi a Dante, il quale ne avverte, che dei quattro sensi che possono avere le scritture, il primo, cioè il letterale, deve andare innanzi ad ogni altro, poiché in quello tutti vengono inchiusi. Per ciò adunque, la giovinetta fiorentina che innamorò Dante di sé, tale rimane nel Paradiso, e poiché ella gode la visione di Dio in luogo altissimo, risplende tutta in lei la grazia del suo eterno Fattore. Ella non è né teologia né altro d'astratto: illuminata dalla grazia sopra ogni altra creatura del suo grado, ella può istruire Dante nei misteri della fede e nelle piú ardue profondità della scienza teologica, come d'ogn'altra dottrina. Miracolo in terra per bellezza e virtú, ella è miracolo nuovo e piú compiuto nel cielo, cosí che è termine di mezzo tra Dante e Dio.

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Il Purgatorio è la cantica dell'amore, e Beatrice vi discende per levare il suo amante purificato alle stelle, dopo avergli ricordato il suo amore in forma veramente umana. Da indi innanzi non è altro ricordo della bella persona rimasta alla terra, e tutto il Paradiso è un inno al sorriso di Beatrice ed ai suoi mirabili effetti sull'animo di Dante e sugli abitatori delle sfere celesti, lieti oramai di possederla. Qui davvero l'arte di Dante gareggia seco stessa, e i mille e nuovi modi coi quali, discepolo affettuoso e riverente, egli seppe chiamare Virgilio, divengono quasi un nulla dinanzi alle mille e sempre nuove espressioni con che ritrae Beatrice ridente a mano a mano che s'innalzano nei cieli, nel tempo stesso che egli confessa la sua bellezza sorpassare quante bellezze possano esser prodotte e riunite insieme da natura e da arte:

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