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LA LIBERTÀ IN ITALIA

Non c'è nessuno, che non abbia sentito ripetere, e forse non sono molti che, in un'occasione o in un'altra, non abbiano ripetuto, che libertà in Italia ce n'è anche troppa; una frase, che lusinga il nostro amor proprio, che poi, essendo fatta, non esige l'incomodo di doverla fare e che quindi passa facilmente di bocca in bocca, come una di quelle verità evidenti e palmari, che non richiedono esame e non sopportano contraddizione. Secondo alcuni libertà ne abbiamo fin sopra i capelli, ne abbiamo tanta che ci si affoga, mentre sollevati da quest' incomodo vedremmo le cose nostre procedere più lisce, più ordinate, più tranquille e staremmo meglio. Altri non arrivano fino a questo punto, non danno carico alla libertà di tanti malanni, non l'accusano di tante colpe. Quasi tutti però convengono in questo, che la libertà in Italia, supposto pure che non sia esuberante, è però grandissima, è tale da mettere la patria nostra a pari, se non al di sopra, non solo della Francia, ma della Svizzera, dell'Inghilterra, degli Stati Uniti, dei paesi in fine più riputati per l'antico e devoto culto che le professano. In questa fede s'adagiano e si riposano.

Un altro fatto notabile è questo, che il concetto della libertà va mutando tanto da quello che era alla fine del secolo scorso, quanto da quello della prima metà del nostro. Alla fine del passato per libertà intendevasi infatti esclusivamente il diritto del cittadino di partecipare al governo della cosa pubblica. Nella prima metà del nostro quest' idea fu allargata e si intese il diritto spettante a ciascuno di adoperare le proprie facoltà, senz'altro impedimento, nè altri limiti, che quelli derivanti dal rispetto dovuto allo stesso

diritto degli altri. Ora, da questo concetto più recente, più equo e più comprensivo si torna a quello della rivoluzione francese, con una modificazione però, che ne cangia l'indole e l'estensione. Di mano in mano che, per un complesso di cause, delle quali non è qui luogo a parlare, cresce e guadagna vigore la democrazia, la libertà, o almeno gran parte di essa, vien trasportata all'allargamento progressivo de' suoi privilegi, a tutto ciò che può aiutarla, ingrandirla, non foss'altro farle piacere, con un accrescimento di poteri nel governo, tanto che gli diventi possibile di servirla più presto e meglio. Ora questo concetto che va prevalendo, non solo non combina nè coll'uno, nè coll'altro dei due precedenti, ma ripugna a tutti e due, essendo evidente che, quanto maggiori facoltà si raccolgono nel governo, tanto meno ne restano pei cittadini, e più una classe viene favorita sopra le altre, meno si osserva quell'eguaglianza, che è giustizia, e quella giustizia ch'è libertà.

Ma inoltre non bisogna dimenticare che noi non siamo venuti al mondo ieri. Noi siamo, come tutti gli altri popoli, ciò che non è una novità per nessuno, figli del nostro passato; di un passato però un po' lungo, pieno di grandi casi ora lieti, ora tristi, più tristi che lieti, e che esercita a nostra insaputa molta influenza sul nostro pensiero. Molte idee sulla cosa pubblica e sul diritto raccogliemmo dalla rivoluzione francese e dai nostri grandi pensatori; ma molte ci rimasero in eredità anche dai preti e dai governi di prima, che di libertà non erano maestri insigni, e anche queste entrano senza che ce ne accorgiamo ad alterare i nostri giudizi sulla natura e sui limiti dell'azione governativa in un paese, che voglia veramente essere libero, perchè da questa natura e da questi limiti dipende la libertà.

Ciò premesso, e considerata la confusione che deriva dalla mistura di tanti elementi diversi confusi insieme, e il battagliare continuo che si fa sulla libertà, la quale, se pei più è moltissima, per altri è scarsa, e da ciascuno è intesa a suo modo, di solito in quello che più gli giova, non parrebbe male tornar un poco sopra un soggetto, per verità alquanto vecchio, ma ringiovanito dall'andar delle cose nel nostro paese. Tornarci però con tranquillità di spirito e traendosi fuori da quelle prevenzioni di parte, che il più delle volte la fanno perdere. In quali condizioni è oggi la libertà fra noi? Ne abbiamo esuberanza, o difetto? Ed è equabilmente divisa, o s'accumula in qualche parte della vita civile, lasciando deserte le altre? È sorretta dalle abitudini e dai costumi

delle popolazioni? Che si può presumere delle sue sorti future? Che ufficio avrebbero quelli che l'amano? Chi sapesse rispondere in modo persuasivo a tutte queste domande, renderebbe servigio a un paese, che, dopo aver sentito per tanto tempo e con tante lodi magnificare la libertà, la sente ora con maraviglia di quando in quando vituperare, e in tante opinioni contrarie che vanno e vengono a seconda degli avvenimenti, avrebbe bisogno di uscire di incertezza e di veder chiaro nei fatti suoi. Ma chi volesse far tutto ciò dovrebbe anche scrivere un libro. Lasciando quindi questo lavoro, staremo contenti a meno, a determinare cioè per via di alcuni fatti le condizioni presenti della libertà fra noi, tanto più che, fissato questo, ognuno può trarre le conseguenze e risponder da sè alle domande che stanno qui sopra.

I.

In Italia è innegabilmente grandissima la libertà politica. Il cittadino prende realmente parte, in un modo diretto o indiretto, all'indirizzo della cosa pubblica; ne prende tanta, che il Governo vien su dal popolo e muta a seconda della volontà del paese. Questa volontà poi, dalla quale il Governo dipende, è piaciuto che fosse la più larga e, diremmo quasi, la più ingenua possibile, così che per aver diritto a manifestarla, basta sapere leggere e scrivere, un'arte non molto astrusa. Con pochi mesi, secondo la legge, e in pratica con pochi giorni di esercizio sull'alfabeto, ognuno cui ne venga il talento può procurarsi un diritto, che gli dà un'influenza nelle faccende più importanti del suo paese.

In questo gran corpo elettorale non è nelle abitudini italiane, che il Governo lasci di fare quello che può per dirigerlo. Il governo costituzionale è di natura sua il governo di un partito e sarebbe ingenuità il pretendere che il partito che tiene il potere, si astenesse dall'adoperarlo proprio in cosa, da cui dipende la sua esistenza. Quelli che l'hanno fecero e faranno sempre del loro meglio per conservarselo, come quelli che non l'hanno fanno e faranno altrettanto per acquistarlo. Però convien dire che i modi tenuti sino a qui nel dirigere le elezioni, non passarono in generale una certa misura. Pressioni, intimorimenti, minaccie, di che non mancano esempi in qualche altro paese, fra noi non si usano. Essendo stato, per esempio, il sottoscritto richiesto una volta d'interporsi, affinchè alcuni che avevano a far con lui non si adoperassero, nelle elezioni che s'avvicinavano, contro di un tale,

rispose semplicemente, che questo ufficio non era compreso tra quelli, pei quali aveva assunto di prestare l'opera sua allo Stato, e nessuno ne parlò più, nè gliene venne alcun dispiacere.

Meno facilmente giustificabile, che non sia quella sugli elettori, è l'influenza che il Governo cerca di esercitare sopra gli eletti. Senza dubbio una corruzione diretta non è mai esistita fuorchè nella fantasia di quel volgo, che non può credere gli altri dissimili da sè medesimo. Ma non per questo diventa lecito un tacito scambio di condiscendenze, che distruggono la sincerità del voto del deputato, scemando il credito del Governo. Ciò malgrado, e malgrado altri mali difficilmente rimediabili, i perditempi infiniti, la lentezza enorme con cui procedono le cose piccole, la leggerezza con cui si sorvola sulle grandi, e altri guai, che qui non è luogo di rammentare, resta sempre che la Camera fa sentire liberamente la sua voce su tutte le faccende dello Stato. Ognuno che creda di avere errori da correggere, magagne da scoprire, abusi da rivelare, può farlo senz'altra responsabilità, che quella che un uomo deve assumere in ogni luogo per le sue affermazioni. In conchiusione ognuno è pienamente libero di dire quello che vuole, tanto che a volte le stesse istituzioni fondamentali non vengono rispettate. Un nuvolo di interpellanze su tutti i rami dell'azienda pubblica si addensa in ogni sessione sopra la Camera, se vogliamo, di regola senza grandi effetti particolari, ma con questo generale grandissimo, che la Camera conserva la sua prerogativa di custode e vindice suprema dell'osservanza della legge e di suprema ispettrice di quanto avviene nello Stato.

A questo intento medesimo contribuisce per non piccola parte la stampa, la quale gode di una libertà pressochè senza limiti, benchè non sempre ne usi a buon fine. Noi però non abbiamo un gran diritto di dolerci, se non la troviamo migliore di noi e se le frivolezze e le malignità, che fanno le spese della giornata, entrano anche nella stampa giornaliera. Più che non le altre istituzioni, essa riproduce il nostro modo di pensare e di vivere e subisce i nostri costumi. Che se il numero dei giornali indipendenti andò diminuendo rapidamente negli ultimi anni, ciò significa certo che, se c'è chi vende, non manca chi compera; ma significa pure che è diminuito il numero dei lettori, che nei giornali ricercano questa qualità. La merce riesce secondo che la desidera chi ne fa uso. È cresciuta l'apatia per la cosa pubblica e l'abitudine di abbandonarsi al Governo, il quale si prevalse di

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