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Col tedesco furor la spada cigne,
Turchi, Arabi e Caldei,

Con tutti que' che speran nelli dèi

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Di qual dal mar che fa l'onde sanguigne,
Quanto sian da prezzar conoscer dêi:
Popolo ignudo paventoso e lento,

Che ferro mai non strigne

60 Ma tutt'i colpi suoi commette al vento.
Dunque ora è 'l tempo da ritrarre il collo
Dal giogo antico e da squarciare il velo
Ch'è stato avolto intorno a gli occhi nostri,
E che 'l nobile ingegno, che dal cielo
Per grazia tien' de l' immortale Apollo,
E l' eloquenzia sua vertú qui mostri
Or con la lingua or con laudati inchiostri:
Perché, d'Orfeo leggendo e d' Anfione
Se non ti meravigli,

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Purg. vI 118. Anche nell' ecl. I il p. dà dell' Apollo a Gesú, accennando al battesimo <<< Audivi ut quondam puer hispidus ille nitentes Lavit apollineos ad ripam gurgitis artus ». 67. Predicando e scrivendo (Bgl).

tere da vicino, ma solamente da lungi colle | diedero lode ad Apollo (Ambr). V Go Bgl insaette (L). - 53. Quelli che nella circonlo- tendono: che per divina grazia tien dal cuzione dei vv. 46-51 intendono solamente cielo parte dell'imm. Ap., cioè dell' eloi popoli piú settentrionali, come scandinavi quenza ispirata. Ad ogni modo qui Apollo e russi, esclusi i germani, possono col Go'è usato come il sommo Giove da Dante, interpretare co'l ted. fur. per in compa gnia de' fieri tedeschi: altrove, cxxVIII 35 la tedesca rabbia ». 55. Distingue i politeisti idolatri, che potevano essere in quelle parti, da' maomettani monoteisti. 60. Luc. Ph. vIII 381 « nec martem comminus unquam Ausa pati virtus, sed longe tendere nervos Et quo ferre velint permittere vulnera ventis». Il p., Famil. I 6, dice argutamente di certi dialettici chiacchieratori: <<< Lingua implacabiles, calamo non contendunt. Nolunt apparere quam frivola sunt quibus armantur; ideoque more parthico fugitivum pugnae genus exercent, et volatilia verba iactantes quasi ventis tela com-ventionum copiosius disputat, est enim lo

mittunt ». 62. Dal giogo ant. degl'infedeli, i quali per lungo tempo non solamente aveano Terra Santa posseduto, ma scorrendo ancora per la cristianità l'aveano messa in preda (V), e aveano potestà di chiudere ai cristiani l'accesso al S. Sepolcro (Carb). Il T vuole intendere del giogo simbolico del peccato. velo. L'errore onde non riconosciamo l' ignominia nostra e il pericolo e l'agevolezza dell'impresa e l'impotenza de' nemici. 65. Tieni per grazia di Dio, vero dispensator degl'ingegni; di che gli antichi

68-72. Perocché, se non ti pare incredibile che Orfeo ed Anfione, come si legge, movessero con loro canti e suoni le fiere, i sassi e le piante [intende del senso riposto della favola], assai minor cosa sarà che gl' italiani alle tue nobili parole si sollevino dal loro ozio (L). Il P. Famil. 1 8: « Non referam tibi nunc, quae de hac re [dell'efficacia dell' eloquenza] M. Cicero in libris In

cus ille notissimus; nec fabulam Orphei vel Amphyonis interseram; quorum ille belluas immanes, hic arbores ac saxa cantu movisse et quocumque vellet duxisse perhibetur, nonnisi propter excellentem facundiam, qua fretus alter libidinosos ac truces brutorumque animantium moribus simillimos, alter agrestes et duros in saxi modum atque intractabiles animos ad mansuetudinem et omnium rerum patientiam creditur animasse ». 71. si desti. Æn. VII 623: <<< Ardet inexcita Ausonia atque immobilis

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Ché, s'al ver mira questa antica madre,
In nulla sua tenzione

Fur mai cagion si belle o sí leggiadre.
Tu, c'hai per arricchir d'un bel tesauro
Volte l'antiche e le moderne carte
Volando al ciel colla terrena soma,
Sai, da l'imperio del figliuol di Marte
Al grande Augusto che di verde lauro
Tre volte triunfando ornò la chioma,
Ne l'altrui ingiurie del suo sangue Roma
Spesse fïate quanto fu cortese:
Et or perché non fia

Cortese no ma conoscente e pia
A vendicar le dispietate offese
Co 'l figliuol glorioso di Maria?
Che dunque la nemica parte spera
Ne l'umane difese,

Se Cristo sta da la contraria schiera?
Pon mente al temerario ardir di Xerse,
Che fece, per calcare i nostri liti,
Di novi ponti oltraggio a la marina;
E vedrai ne la morte de' mariti

Tutte vestite a brun le donne perse

81. triomfando, A.

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bare i tuoi frutti? Siine cortese a tutti. Ordina: Quanto Roma fu spesse volte cortese del suo sangue nel vendicare le ingiurie fatte ad altri, a' suoi socii. Cic. Pro leg. manil. VI 14 « Propter socios nulla ipsi iniuria lacessiti maiores nostri cum Antiocho cum Philippo cum Ætolis cum Pœnis bella gesserunt». 85. conose. Riconoscente. Dante, Conv. II 7 « S'è beneficio, esso che lo riceve si mostri conoscente verso il benefattore».

86. offese fatte dai maomettani (L). -87. Co' 1. Dipende da conosc. e pia (L). - 88-90. Exod. XIV 25 « Fugiamus Israelem: dominus enim pugnat pro eis contra nos». Paol. Rom. VIII 31 « Si deus pro nobis, quis contra nos ? >>

ante ». 73. q. ant. madre. Di sopra ha detto figli. Een. III 96 « antiquam exquirite matrem ». 75. Come sarebbe questa. Al Mur pare una replicazione con differenti parole degli ult. vv. della st. 3. Ma lí era in generale, qui è in particolare per l' Italia. - 76. arricchir. Senza il suffisso ti, in signif. che dicono neutro. Passav. Specch. L'umiltà, della infermità rinforza, della povertà arricchisce, del danno cresce». tesauro di dottrina e di sapienza (L). Cioè: essendo vivo in terra e in corpo umano, per lo sapere ne voli sopra l'ali del senno al cielo, al quale i saggi intendendo e contemplando si levano e ne diventano immortali (G°). - 79-81. Da Romolo ad Augusto, 91-6. Meraviglie del P. sono queste, che nel progresso della sua grandezza. - 81. non si leggono altrove: ristringere in cosí Trionfò tre continui giorni di tre trionfi di- pochi versi con tanta chiarezza e grazia e versi, dell' illirico, dell' aziaco, dell'alessan- maestà l'ambizioso ed infelice passaggio di drino: Æen. VIII 714 « Cæsar triplici inve- Serse sull' Ellesponto (T). - 92. Per passar ctus romana triumpho Mœnia dis italis vo- d'Asia in Europa. 93. novi. Insoliti. ponti tum immortale sacrabat». 83. cortese. di navi fra Sesto e Abido. oltraggio. Dando Benignamente liberale. L'Alamanni, Coltiv. I, senso alla cosa insensata: Æn. VIII 728 « et del contadino che per imprevidenza manca pontem indignatus Araxes ». - 91. ne la. Per del bestiame dice: «Né può trovar alcun la morte dei mariti uccisi dai Greci (G°). per prieghi e pianti, Che del giovenco suo 95. In un canto popol, greco (trad. di N. gli sia cortese »; e un prov, tosc. « Vuoi ser- | Tommasèo] « Di Lambro la spada fece ad

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E tinto in rosso il mar di Salamina.
E non pur questa misera ruina
Del popolo infelice d'orïente
Vittoria t'empromette,
Ma Maratona e le mortali strette
Che difese il leon con poca gente,
Et altre mille c'hai scoltate e lette.
Per che inchinar a Dio molto convene
Le ginocchia e la mente,

Che gli anni tuoi riserva a tanto bene.

Tu vedra' Italia e l'onorata riva,

Canzon; ch'a gli occhi miei cela e contende
Non mar, non poggio o fiume,

Ma solo Amor, che del suo altero lume
Piú m'invaghisce dove piú m'incende,
Né natura po star contra 'l costume:
Or movi, non smarrir l'altre compagne;
Ché non pur sotto bende

Alberga Amor per cui si ride e piagne.

99. ten' promette, A. 102. ascoltate, A. Albanesia tutta portare il bruno». -96. Dove | l' armata di Serse fu rotta dalla greca (L). Oraz. o. II 12 « siculum mare Pœno purpureum sanguine»: Inf. x 85 « grande scempio Che fece l' Arbia colorata in rosso». - 97. pur. Solo. 99. t'empromette. Cosí va letto, secondo piaceva al P. di profferire e scrivere simili composti: cfr. v 5 e VII 12. Il ten pro

Santa (L). -106-14. Canzone, tu vedrai l'Italia e la gloriosa riva del Tevere e Roma, dove io sono impedito di andare, come vorrei, non già da mari, da montagne e da fiumi, ma solo da Amore, che qui dove io mi trovo tanto piú m' invaghisce del suo altero lume, cioè della donna che io amo, quanto maggiormente ella, essendo presente, mi abbrucia:

mette della volg. qui non sarebbe gramma-né la natura e la inclinazione buona può

ticale. 100. Maratona. Dove Dario padre di Serse fu disfatto dagli Ateniesi (Bgl). Quel Ma Mara dispiace al T, ma già leggemmo nel son. VII 8 « Chi vuol far d' Elicona nascer fiume». E i piú eleganti poeti non badarono a simili ripetizioni di sillabe: Virg., oltre sale saxa sonabant » del v Æn. 866, ha nel II 27 « Dorica castra » nel rv 360 « teque querelis e 350 «extera quærere regna » : Tibul., sol nella eleg. I, «Me mea paupertas vitæ traducat inerti » e « Ipse seram tenerasi maturo tempore vites Rusticus et facili grandia poma manu», Lucrez., III 21 << neque nix acri concreta pruina Cana cadens violat», e v 1333 « quos ante domi domitos

utilmente contrastare all' assuefazione contraria [Né natura, la quale sprona altrui verso la patria, può star contro il costume di mirare il bel viso (G°)]. Or va'; non ismarrire le tue compagne, cioè accompagnati colle altre mie canzoni; perocché colui del quale esse parlano, Amore, non abita solamente sotto bende, cioè non è cieco [Non è solamente sotto le bende e gli ornamenti femminili ristretto (T)], e non ci punge solo per donne, ma eziandio per la patria, per la vera gloria e per gli altri soggetti degni, come sono cotesti di cui tu ragioni (L). - Anche il Marsili « Tu puoi e déi essere insieme tra le altre mie canzoni che parlano d'amore di

satis esse putabant ». strette delle Ter-donna; però che tu altresi parli d'amore,

mopile. 101. leon. Leonida re degli Spartani, alludendo al nome di lui e al valore (G°). Sul tumulo dei trecento era l'imagine d'un leone; e Simonide, Antol. III 45, fa dire a Leonida «Che se non avessi avuto anche l'animo di leone siccome il nome, non in questa tomba avrei posto i piedi ». 102. mille ruine degl'imperi e delle nazioni orientali. 105. Che. Il qual Dio. a tanto b. A veder la liberazione di Terra

non di donna, ma di patria e di onore e di prodezza in atto d'arme ». 114. Amor per cui si r. o p. Moltissime volte questo ridere e piagnere d'amore è usato dal P. « In dubbio di mio stato or piango or rido », « E'l brevissimo riso e i lunghi pianti » (Tr. Am. II 189), «Pascomi di dolor, piangendo rido >>> (son. Pace non trovο, CXXXIV), « De' passati miei danni piango e rido (canz. Mai non più cantar, cv) (Gir).

Per il Marsili occasione ed argomento è: «Il re Filippo di Francia, disponendosi a fare il passaggio contra gl'infedeli e a ricoverare la Terra Santa, mandò solenne ambasciata al papa sopra quel suo proponimento... E mentre che tali cose si ragionavano messer Joanni cardinale della Colonna, con prieghi di signore, che sono una cortese forza, indusse messer F. P. a fare questa canz. e mandarla a un italiano, che credo fosse di Venezia. Nella qual canz. l'autore, rallegrandosi della impresa de' franceschi e degli altri oltramontani, induce quello, a cui manda la canz., che con sue parole e con sue lettere conforti e muova gl'italiani a essere in questa guerra contra li nimici della cristianità; però che quello tale, come uomo di grande autoritade e di molta scienza e di bella eloquenza, lo può fare. Tale testimonianza di un coetaneo e conoscente del p., la quale ha conferma nel trovarsi questa canz. fra le prime cose nella distribuzione del ms. originale non che negli accenni di essa, da torto a quei molti antichi commentatori (cfr. Saggio, p. 29) i quali, tratti per avventura in errore da quel novo Carlo del v. 25, tennero fosse fatta nel 1344 0 45, quando un'idea di crociata balend in mente a Carlo rv imp. e a papa Clemente vi (altri pensano anche a Urbano V); e da ragione a quanti credettero meglio convenirsi alla crociata che fu veramente bandita sul finire del 1333. Posto questo, che pare incontrovertibile, cade (non parliamo di chi, come il F, la vuole indirizzata all'anima universale dei cristiani, o a Carlo IV, come il dC), cade l'opinione (formatasi forse su le parole metaforiche a la tua barca del v. 7) del V, F°, D, G, Br e altri, ch'esser possa indiretta al pontefice. Non è da ciò il tono stesso e il colore della canzone. Ma di più nel 1333 Giovanni xxi era in Avignone, e la canz. è mandata in Italia. A chi dunque sarà ella indiretta? Il Marsili tira ad indovinare. A un principe romano: dice il P, accostandosi un tantino al vero. A un monaco letterato e di santa vita: dice il L, e gli par cosa non saputa veder fin qui da' commentatori. No: il Cv e il T l'avean veduta, e avean detto forse meglio: a un prelato o persona di santa vita. Ma chi? Il Mazzoleni vuole che a Filippo di Cabassole vescovo di Cavaillon e patriarca di Gerusalemme; e avrebbe ragione, se la canz. fosse stata composta nel 44 0 45, ché allora il Cabassole era, nella minorità di Giovanna I, reggente a Napoli; e ciò, oltre il resto, si accorderobbe col congedo. Se non che ella è fatta del 33; e il Cabassole fu conosciuto dal P solo nel 37. Dunque? Dunque non resta che Giacomo Colonna vescovo di Lombez. Egli, lodato di santità, di eloquenza, d'erudizione dal P. in molti luoghi delle opere sue, era romano; e a un romano segnatamente pare accenni la st. 6: era della famiglia Colonna, sempre ardente per le crociate, che vantava fra' suoi quel card. Giovanni che fu gran parte della crociata del 1218: era, nel 33, in Italia e a punto a Roma; era in fine consapevole e un po' confidente degli amori del P., senza che quell'accenno del congedo parrebbe in argomento si grave un tantino impertinente.

Dice il Mur di questa canz. « gravissima e insieme vaghissima», che ci è dentro il poeta; ci è leggiadria, estro e un certo finito da per tutto. Per il Sismondi, De la litt. du midi ch. x, «è la più splendida e la piú entusiastica; ed è pur quella che piú si avvicina all'ode antica. E il Macaulay, Saggi biogr. e cr. III, scrivendo nei giorni del risorgimento greco, « Né con minore energia dinunzia [il P.] contro la Babele maomettana la vendetta dell'Europa e di Cristo. La magnifica enumerazione delle gesta antiche dei greci [v. 91-102] deve destar sempre ammirazione, e non può essere letta senza profondissimo interesse in un tempo in cui il savio ed il buono, amaramente delusi in tanti altri paesi, volgono lo sguardo con ansietà anelante verso la terra natale della libertà, verso il campo di Maratona ed il passo mortale difeso dal lione di Sparta». Fu imitata, o piú tosto copiata, dal Tansillo in quella sua che comincia Alma reale e di maggiore impero, indirizzata a Carlo v per la guerra del 1557 contro Solimano.

XXIX

Contiene le lodi di Laura, cosi de' beni del corpo [1-7] come dell' animo e della fortuna [40-9], e parte l'amorose querele del p. [8-39). E si può dire che sia quasi simile ad un circolo, perciocché dalle laudi comincia [1-8] ed in quelle finisce [40-58], l' amorose passioni e le dolorose querele che da esse nascevano nel mezzo ponendo [9-39] (D). C'è su q. canz. una Lezione accademica di B. Sorio (per nozze Dal Bovo e Bottagisio: Verona, Libanti, 1846).

L' Alfieri nota i vv. 3 e 4 con la prima parola del 5, poi 8-10, l'ultimo emistichio del 13 e ål 14, 15-17, 25 e le due prime parole del 26, il 32 (salvo quadrella) e il 33, 36, 47, 50-5, 57-8.

Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi

1. Vagheggia il pensiero del p. questi co-op. le donne mature; o vero per gli oscurt Mori, ch' erano i piú cari a Laura (Bgl). De- le vedove, per gli persi le maritate (Cv). scrive o l'età o gli stati delle donne; per persi. Il perso, provenz, e franc. pers, basVerdi p. s. intende le giovanette, per oscuri so lat. persus, persicus, perseus (Du Cange,

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Non vesti donna unqu' anco

Né d'òr capelli in bionda treccia attorse
Si bella, come questa che mi spoglia
D'arbitrio e dal cammin di libertade
Seco mi tira sí, ch' io non sostegno
Alcun giogo men grave.

E, se pur s'arma talor a dolersi
L'anima, a cui vien manco
Consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse;
Rappella lei da la sfrenata voglia
Súbito vista; ché del cor mi rade
Ogni delira impresa, ed ogni sdegno
Fa 'l veder lei soave.

Di quanto per amor già mai soffersi,
Et aggio a soffrir anco

Fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse
Rubella di mercé, che pur l'envoglia,
Vendetta fia; sol che contra umiltade
Orgoglio et ira il bel passo ond' io vegno
Non chiuda e non inchiave.

Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
Nel bel nero e nel bianco

ad persei mali colorem accedens), da Dante, che l'ha spesso nella Comm. e nelle Rime è descritto (Conv. IV 20) come un « colore misto di purpureo e di nero, ma vince il nero ». - 2. unqu'anco. Mai fino a ora (L). 4. Sí bella. Si rifer. a donna del v. 2. - 5. D'arb. Del mio libero arbitrio (L). 6-7. Si soavemente e con tanto mio gusto (T), che non consento di sottopormi al giogo di altra donna che pur sarebbe piú leggiero.-8-10. E se pur

color». - 15-21. Io sarò vendicato di quanto ho sofferto per amore fin qui e di quanto ho a soffrire finché quella spietata che mi ha punto il core e che pur l' invoglia, cioè l'innamora, non me lo risani essa medesima; sarò vendicato, dico, purché orgoglio ed ira di Laura non chiudano incontro all' umiltà mia il bel passo pe'l quale io vengo a lei, cioè non mi vietino di continuare a vederla di tempo in tempo e conversare umilmente

l'anima, a cui vien meno il consiglio allor-e onestamente seco (L). - 17. che 'l morse.

Ovid. Her. XIII «Pectora legitimus casta momordit amor». Dante, Rime « la morte ch'ogni senso Colli denti d'Amor già mi manduca ». 19. Vendetta fia. Signif. che il p. tiene per fermo che Laura dovrà pur moversi una volta a pietà di lui (L). - 21. inchiave. Inchiodi (Salv). 22-6. Novella radice, cioè prima cagione, origine, di questa mia dolorosa vita, furono il giorno e l'ora ch'io

quando il martiro (a lei dato dalle riottose passioni) la adduce in forse (di cedere alla tentazione e traviare) si arma [si pone in assetto, riprende forza] a dolersi (Sorio). In forse è molto usato dopo i verbi essere, stare, rimanere e simili; di rado dopo verbi di sign. att. Ariosto Orl. xxv 6 « Fu da molti pensier ridotto in forse ». 11-4. Laura, súbito vista, cioè súbito ch'io la vegga, ritira lei, cioè l' anima mia, dalla sfrenata vo-vidi per la prima volta quel bel nero e quel

lontà di dolersi; perocché il veder lei, Laura, mi scaccia dal cuore ogni pensiero di pazze risoluzioni e volge in dolcezza ogni mio sdegno (L). Non molto differentemente Bernard de Ventadorn «Ane mais nulhs hom non trac tam greu afan Cum jeu per lieys; mais leugiers m'es lo fays, Quant jeu esgart lo gen cors benestan, E 'l gen parlar abque suau m'atrays, E'l siens belhs huelhs, e sa fresca

bianco, cioè quei begli occhi e quel bel viso, che mi scacciarono di colà dove corse Amore, cioè scacciarono me dal cuor mio che Amore occupò immantinente. Origine de' miei mali fu altresi quella donna che è specchio ed esempio del nostro secolo (L), la quale chi vedendo non trema di maraviglia, piombo o legno piuttosto che uomo si può chiamare (Sorio). - 23. Cino Quel rag

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