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era

mana di Aquileja, che già essendo un tempo il baluardo d'Italia, il "caput Italiae, stata poi rasa al suolo da quello stesso Attila che egli con il Malespini e il Villani credeva avesse distrutto pure Firenze, risorta in appresso

Dal cenere che d'Attila rimase,

anche in questo egli seguendo l'attrattiva e il fascino della leggenda friulese che s'era da secoli formata e sviluppata,' ed a cui egli stesso attinge, in tutto non un'impressione sfavorevole, che non conforti a ritenere molto probabile la presenza di Dante nella regione Giulia. E se si volesse ricordare ancóra vestigia di tradizioni classiche, che dire delle leggende antenoree sparse sul suolo Veneto ?

Lasciamo la dibattuta questione degli Antra Iulia e gli sdegni del Foscolo contro quel povero Viviani, un po' tenero di leggende.

Migliori argomenti di probabilità provengono dal considerare le relazioni e gli interessi che aveva con Udine ed Aquileja quel Gherardo da Camino citato ad esempio di vera nobiltà, di cui Dante, prima di chiamarlo nel Purgatorio "il buon Gherardo,,, avea parlato nel Convivio con significante ed evidente indizio di familiare amicizia.

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Importante è inoltre avvertire che nel Friuli s'era stabilito un ramo di quella famiglia dei conti di Poppi del Casentino, consorti di quell'Alessandro da Romena che fu capo dell'impresa dei Bianchi a Monte Accenico.

A Gorizia pure sull'Isonzo non gli sarebbe mancata accoglienza da parte del conte Enrico II amico di Can Grande. E anche a Duino, memorabile per la patria leggenda del sasso di Dante, potrebbe essere stato accolto dal burgravio Ugone IV ministeriale di Enrico II.

Né, sorpassando alle relazioni fra la curia arcivescovile di Padova e la patriarcale d'Aquileja, bisogna dimenticare che pure alla Corte d'Aquileja egli potrebbe esser stato ospitato da quell'Ottobono già vescovo di Padova e fin dal 1302 eletto Patriarca.

La munificenza della Corte aquilejese era

1 In altro mio lavoro ho trattato appunto d'Aquileja e della genesi della leggenda d'Attila. È uno studio esegetico sui caratteri della leggenda e sui periodi di formazione e sviluppo per via di filoni leggendarî friulesi.

2 Convivio, IV, 14.

ben nota, e questa avea circa un ottantennio prima ospitato un altro poeta discendente da famiglia fiorentina, Tomasino dei Cerchiari (1185-1238), amico del patriarca Volkero d'Ellembrecht, il quale dopo aver composto in lingua romanica due opere didattiche che andarono perdute, compiva verso il 1216, proprio alla Corte dei Patriarchi, il suo Velische Gast, l'ospite italiano, in lingua dei Minnesingheri, offrendo cosí alla nuova e giovane società alemanna, dove sin'allora era fiorito il Lied d'amore e la Saga delle nobili gesta, e Walther von der Vogelweide dilettava di trobadorici canti i castelli, un'opera poetica eminentemente didascalica col fiore del pensiero e delle civili sentenze della vecchia e

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culta società latina.

Ma sopratutto bisogna pensare che il Poeta trovava nella regione Giulia luogo piú favorevole, piú adatto per le sue aspirazioni imperialistiche di un ricostitutore ghibellino d'Italia, piú da vicino ivi potendo conoscere le idee dell'Imperatore, di cui i rappresentanti piú diretti in Italia dimoravano appunto là dove questa finisce perdendosi fra le contrade slave e tedesche.

Una determinante per l'esule Poeta a peregrinare verso il settentrione d'Italia mi sembra appunto sia da ravvisare in ragioni politiche. Infatti pensiamo che Alberto tedesco, ucciso nel 1308, nel quale, prima che nel Purgatorio invocasse sul suo capo il " giusto giudicio,, pareva che riponesse grandi speranze quando nel Convivio chiamando Federigo di Soave ultimo dei Romani imperatori soggiungeva: "ultimo dico per rispetto al tempo presente; non ostante che Ridolfo e Adolfo e Alberto poi eletti sieno appresso la sua morte e dei "suoi discendenti, Alberto tedesco, ripeto, aveva nei Conti di Gorizia fedelissimi sudditi e rappresentanti suoi nel mezzogiorno, mentre egli era trattenuto lontano dai moti di Germania, tanto che essi in séguito, allorché si trattò di opporre un anti-imperatore a Lodovico il Bavaro, optarono conforme le tradizioni della loro casa e sostennero le parti di Federigo d'Absburgo, discendente dal vecchio Alberto.

O non potrebbe darsi che Dante coi dolori 1 Pubblicato dal Rückert per la prima volta nel 1852 in Quedlimburgo.

2 Convivio, IV, 3.

del profugo, ardente di veder ricomposte le cose d'Italia fra ansie febbrili, fosse arrivato dove sapeva che più direttamente e piú da vicino poteva indagare e conoscere dei fatti di Germania, e quando sarebbe stato concesso all'Imperatore di scendere in Italia?

Lontano ancóra per Dante era il momento di pensare a quella Pace, che la pia leggenda di S. Croce del Corvo a lui attribuiva come supremo sospiro. La lotta contro il mondo. e gli eventi ben gliela contesero a lungo!

Ma una prova pure a bastanza significante di una certa attrazione e simpatia in Dante per le terre giulie è lo stesso ricordo del Tabernik.

Questo monte infatti non conosciuto negli scritti degli antichi, non è famoso né per ragioni storiche né per ragioni politiche.

Per ragioni geografiche è noto solo a chi visiti il territorio del Karso dove esso è si tuato, ma all'infuori esso non esercita nessuna speciale attrattiva, sí che a nessuna impressione derivatane può accennare se non chi abbia avuto occasione di vederlo o di esservi stato molto da presso.

Scorgono da lungi dietro lo Sneznik foscheggiare nell'azzurro del cielo verso oriente la catena del Javornik i naviganti che approdano alle coste istriane, mentre verso settentrione distinguono le vette del Triglav (Terglou) che reca loro indizî di buono o di cattivo tempo, di sicura o di pericolosa navigazione.

Forse la prima nozione del monte pervenne a Dante da impressioni marinaresche sentite o in Venezia o in qualche porto dell'Adriatico, e parimenti è supponibile che pure da racconti di naviganti sapesse egli della pianura e del loco varo di Pola.

Ma le alate leggende dei mari non devono farci perder di vista le peregrinazioni del Poeta, precluderci la via all' indagine; non dobbiamo, non possiamo star paghi di esse soltanto noi, e vedervi quasi l'indizio, la norma a chiarire il processo del pensiero dantesco nell'accogliere per entro la melodia dei suoi canti la nota del paesaggio slavo o latino ai termini d'Italia.

Per certe cose non si capisce come possa bastare la tradizione prescindendo dalla potenza del genio di chi ritrae. Dopo il primo baleno a Dante chiarire l'idea avanti di adot tarla nel suo canto!

Ma cosa infine poteva dirgli di concreto del monte della Schiavonia la tradizione d'ol tre mare? Se mai che esso è un colosso come tanti altri dalle Giulie giú giú alla Crna Gora, e nulla piú. E l'idea del lago? Ammettiamo che anche questa fosse intervenuta nei racconti dei paesi d'oltre mare da ulteriori propaggini derivate alla costa forse anche per naturale simpatia d'elementi, d'acque

con acque.

Ma sono come soffi vaghi e fantastici che muove l'ala della leggenda, i quali lasciano il profumo d'un'idea che accarezza la mente, e ci vuol ben altro ond'ella si imprima con proporzioni definite e indelebili!

Lasciamo le leggende dei mari che sono diafane e leggère come l'elemento in cospetto del quale esse sorgono, con esse a nulla s'approda, se non alla combinazione a cui ci inducono. E, per quanto sia cosa difficile, si pctrà ammettere a dirittura che Dante si fosse imbattuto in chi gli avesse parlato del Iavornik, del lago, dell'etimo e delle altre maraviglie! Dante cosí non è piú Dante, egli che a frusto a frusto traendo la vita penosa coglieva impressioni dalla natura, dalla società, dal mondo, le impressioni che costituiscono le gemme del suo Poema e tanto più pure e gloriose quanto piú dirette e provate.

A noi conviene tener altra via, e considerare le cose da un lato oggettivo.

Quando ci troviamo dinanzi ad un nome di luogo che non significa nulla geograficamente all'infuori del suo territorio, come è del Tabernik, Dante deve aver veduto in esso requisiti tali da renderlo degno del suo canto, e per conoscere questi egli doveva essere stato a immediato contatto coi parlanti la lingua e se non proprio sul luogo stesso, per lo meno là dove le impressioni di esso più direttamente arrivando restavano scolpite nella imaginativa.

Non si tratta né del Tanai, né della Danoja, né di Pola, né di Arles verso nord, né di Cariddi, né di Peloro verso sud che o entravano come elementi nella sfera comune

Il Poema è animato da impressioni dirette di luoghi veduti e da tradizioni. Ma esser proclivi a veder sopra tutto la tradizione non è meno pericoloso della smania di veder Dante da per tutto, è un preconcetto anche questo! | delle nozioni geografiche o apparivano come

residui di tradizioni classiche, ma di un monte affatto sconosciuto, del Tabernik, che egli Dante solo e per primo nomina, come per primo nomina il Quarnaro il quale nei documenti si conosceva allora per Sinus Liburnicus!

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lia, dal dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina,, a Bismantua, al Montefeltro, al giogo " di che Tever si disserra e "suso in Italia bella, dal Benaco a Venezia verso le solitudini di Aquileja, posa il gran nucleo intorno al quale s'impernia l'azione del dramma dantesco, e quivi proprio sentonsi vieppiú imagini palpitare di memorie appassionate. Per i paesi lontani, o non tocchi dal suo piede, se pur l'importanza geografica stessa o tradizioni storiche e politiche non li rendevano generalmente noti, ben si vale di espressioni acconcie il Poeta.

E ancora se volessimo giudicare da quel parallelismo che è cosi proprio e perspicuo in Dante, non solo fra l'idea e l'espressionele che è l'indizio piú comune del genio ma fra le ragioni determinanti, a mo' d'esempio due similitudini per la dichiarazione d'un fenomeno o d'un fatto, seguiamo Dante quando ci dice

Siccome ad Arli, ove il Rodano stagna siccome a Pola presso del Quarnaro che Italia chiude e suoi termini bagna fanno i sepolcri tutto il loco varo...

Non si sente forse qui che è tanto vera e armonica l'imagine delle fosse stagnanti della Provenza quanto quelle delle buche della pianura romana di Pola?

Con tali evocazioni di luoghi situati in parti diametralmente opposte ove l'Italia finisce a pié dell'Alpi in cospetto al mare, e la assonanza concorde di lenti abbandoni, di fantasie perdentisi, di ideali, di affetti sull'acque morte e deserte e desolate, e la solennità patetica come di riviere

ove il Po scende

per aver pace coi seguaci sui

possiamo noi esser tanto restii al ritenere che Dante dovesse aver visto le scene del suo canto?

Cosí, a mo' d'esempio, del Tanai dove non è supponibile affatto che egli sia stato, dice usando l'espressivo avverbio di luogo accennante a lontananza,

ne 'Tanai là sotto il freddo cielo

e similmente del "bevero che s'assetta a far sua guerra"

là tra li Tedeschi lurchi

e cosí pure si dica del corso dell'onde
là sovra Cariddi. 1

Conosciuto il suo monte, sentitane la denominazione, Dante certamente collo spirito d'osservazione che gli era proprio, ne avrà altresí consultato l'etimo e trovato che rispondeva press'a poco al concetto espresso dal Pietrapana o Pietrapiana delle sue terre. Come è possibile altrimenti spiegarci la sin

Ad Arli, o molto vicino, il Poeta sarà forse stato di passaggio nel suo probabile viaggio a Parigi. E a Pola? Non affermo nulla. Pen-golare combinazione di nomi messi a pajo e siamo al parallelismo. Cosí pure pel Tabernik. Il Pietrapana è naturale che egli lo conoscesse bene e l'avesse visto piú e più volte. E il Tabernik? Che l'abbia visto, che vi sia stato vicino?

E ancóra. Tutta la gran tela di similitudini raffiguranti scene della natura non comprende forse in prevalenza i caratteri dei luoghi che Dante vide o poteva aver visto, in ordine a quel supponibile itinerario dei suoi viaggi? Da Firenze, dalle spiagge toscane su per le spiagge tirrene alla Provenza del buon Berlinghieri e di Arnaldo Daniello, alla Senna del Valois "che morrà di colpo e di cotenna e di nuovo ridiscendendo in Ita

rivelanti concetti analoghi, quali il Tabernik e il Pietrapana? È lecito forse supporre che il Tabernik sia qui ricordato perché assunto dal Poeta di proposito a efficace mezzo rappresentativo, vale a dire il Tabernik in contrapposizione col Pietrapana o l'imagine di due monti dai caratteri petrici contrapposta l'una all'altra.

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E cosí tutto pare assumere maggior vitalità, e un soffio di poesia gelido come le brume del Javornik ed i vènti slavi che scuotono i gioghi dell'Appennino si trasfonde per entro il canto dantesco.

E subitanea, viva ricorre alla mente l'illusione che l'esule in un triste mattino d'autunno, pensoso della terra ove era fiorito il suo primo romanticismo d'amore, e figure divine gli erano apparse e cori d'angeli trascorrevano i cieli, volgesse i suoi passi lungo il desolato lago di Zirkniz contemplando lo squallido colosso sovrastante e traesse ispirazione per il Poema che l'aveva fatto per piú anni macro!

Ma si potrebbe opporre: ammesso pure che Dante avesse visitato la regione Giulia e il Karso, con qual fondamento si può ritenere che egli sentendo il nome slavo lo avesse degnato di tanta attenzione da indagarne l'intimo significato? E occorreva proprio questo a Dante? O non avrebbe potuto ricordare un nome qualunque senza curarsi né del luogo di provenienza, né della natura del luogo designato, né se avesse esso caratteri floreali piuttosto che petrici? O infine, accogliendo in parte la nostra opinione, non poteva egli valersi del tipo di un monte, poniamo pure denominato acereto, che rispondesse soltanto per caratteri petrici a quei requisiti che gli occorrevano per farlo degnamente piombare in Cocito, quei requisiti che certo avea in mente ricordando il Pietrapana, senza dare importanza alla denominazione quale essa si fosse?

Tutto questo non ci dà l'idea dell'orditura grandiosa dei concepimenti danteschi. Dante resterebbe inferiore a sé stesso, ove si pensasse che un soffio di voce qualunque solo perché di suono aspro ed esotico lo colpisse, e vi fermasse la sua imaginativa per indi, piú o meno opportunamente eternarla nel canto.

Certe sottigliezze, e dirò anche certo setticismo, tolgono pregio alla materia, non la elevano al grado, nel quale soltanto Dante poteva degnarla d'osservazione.

Fra la psiche di Dante e la materia trattata ci doveva correre perfetto parallelismo, e quindi questa doveva avere natura tale da vantare ascendente sull'altra.

Io credo, come dissi, che presentatosi spontaneo o cercato il fenomeno slavo, Dante non fece a meno d'indagarne l'intimo senso.

A me pare non solo da escludere la possibilità che Dante avveduto com'era, accettasse un nome qualunque, ma ritengo che cercasse proprio uno che fosse espressivo, come il nome di Pietrapana che armonizza colle nude balze del monte.

Si badi che Dante, ove avesse trascurato tale corrispondenza fra significazione e cosa significata, di monti pietrosi ne avrebbe trovati di ben colossali e più vicini a Toscana e ad Aquileja che un monte lavornik qual esso si fosse. Per esempio, restando nella regione Giulia, il Krn (2400 m.) aspro per eccellenza e brullo: il Matajur (1600 m.) che è il Mons Major dei latini, pure brullo; il Triglav poderoso dai caratteri essenzialmente petrici; il Nanos o Mons regis di Paolo Diacono e dei cronisti medioevali, dal quale tradizione milennaria vuole sia disceso Alboino.

A Dante non mancava lo spirito analitico né per lingue morte né per lingue vive.

Di ciò ne fanno eloquente testimonianza, pur lasciando il De vulg. Eloquentia, gli accenni, le voci, le frasi, i brani stranieri di cui

come di elemento esotico si infiorano le sue

Cantiche. In tutto una sicurezza di vedute: dall'ebraico, dal greco alle lingue nuove, al francese, al provenzale, al tedesco, allo slavo! E fermandoci per la nostra quistione allo slavo, pensiamo a quel ces fastu degli aquilejesi, che egli nel De vulg. Eloquentia ha ritratto con esatta perspicuità etimologica. Nel ces fastu v'è realmente l'influsso che i latini giulii risentirono nel loro parlare dagli slavi nell'uso del pronome riflessivo di terza persona riferito alla seconda. Dante mi pare abbia voluto benissimo mettere in evidenza la forma barbara che gli suonava crudeliter, e non ha detto già ce fastu, dizione che ormai è prevalsa e vale quid facis tu?, ma ces fastu?, vale a dire barbaramente, quid sibi facis tu?

* **

Nell'interpretare in tal modo il Tabernik dantesco, credo si debba confermare l'opinione che si tratti veramente del monte della Carniola, tanto più che ha l'ornamento del lago, l'idea del quale appare manifesta nel canto di Dante. Perciò elemento non trascurabile.

Intorno allo stesso lago di Zirkniz, che il Tasso voleva ricordare, secondo dopo Dante,

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sotto il nome di Palude lugea nella Creazione del mondo c'è da osservare cosa importante, che certo a Dante non deve essere sfuggita, anzi forse sarà stato uno degli argomenti principali d'ispirazione. Il lago di Zirkniz è celebre per lo spessore singolare del suo ghiaccio, di cui oggidí si fa gran commercio.

Ma un altro fatto ancóra. Il fenomeno dell'intermittenza delle acque del lago, che di primavera e d'estate scompaiono per lasciar luogo opportuno agli agricoltori di seminare nel bacino di esso, questa successione di fenomeni non può darci la ragione dell'immediato succedersi d'episodî nel canto di Dante, da un paesaggio piú che nordicamente freddo ad una scena d'estate in ubertosa pianura quando sogna

di spigolar sovente la villana ?

Sarà forse superflua associazione di idee la mia. È un fatto per altro che ivi esistono canti di sogni di fanciulle, d'idillî estivi, e canti di mietitori! Tuttavia non avanziamo troppo: è infine fenomeno umano e universale codesto dei canti!!

Ma concludendo, al di sopra dell'ubicazione del Tabernik sta per me l'interpretazione del valore etimologico della denominazione,

1 Notevole una leggenda da me sentita sul lago. Probabilmente è una leggenda di riflesso che ricorda quella d'Ero e Leandro, celebrata dal Byron e dalloSchiller, e si riferisce alla fine tragica di due innamorati della famiglia dei Karlovec e dei Steberc.

e il pensiero di Dante e la ragione per la quale egli lo ha ricordato. A questo principalmente io ho mirato.

Ché se si potesse con prove irrefragabili dimostrare che il Tabernik non è il Javornik di Zirkniz, io, ammettendo pure la diversa ubicazione, tuttavia riterrei, certo a scapito dell'effetto estetico, che Dante, senza determinata idea di luoghi riferendosi al vecchio mondo slavo che dagli Urali s'estendeva fino alle coste adriatiche, avesse cercato la denominazione d'un monte colossale e squallido che potesse opportunamente con "rima aspra e chioccia, star accanto al suo Pietrapana, insieme con esso a simboleggiare il cosmogonico concetto che l'eccellenza, la sublimazione del più forte, del piú resistente elemento tellurico nulla vale contro il potere degli inferni dei.

Non spetta a me veramente la conclusione. Ad altri studiosi il vedere se la evocazione del Tabernik è effetto di mero caso o no, e che valga.

A me basti l'aver informato d'un fenomeno linguistico singolare per quanto di piú esotico ebbe mai Dante a dire di sua ispirazione senz'orma di precedenza alcuna, derivato proprio dai termini di quelle terre che hanno sempre aspirato per virtú etnica ai comuni destini della patria italiana, alla gloria del "bel paese dove il sí suona „.

Zirkniz, agosto 1902.

BRUNO GUYON.

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