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tasse ad amare, che la primavera fosse la stagione degli amori. E nella primavera della vita Dante venne in signoria di Amore; ma questa non era senza il fedel consiglio della ragione (II), ed era buona però che traeva lo intendimento del suo fedele da tutte le vili cose (XIII): Amore era quindi Signore della nobiltà, « tanquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes (XII), cioè principio di ogni virtú, nell'esercizio delle quali è la rettitudine; perché, essendo la virtú il mezzo fra tutti gli estremi, Amore, retto appetito, deve essere come il centro del cerchio, che è il mezzo equidistante da tutti i punti estremi, che sono i vizi. 1

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Ma egli, Dante, non era tale (tu autem non sic); epperò non potette per buona consuetudine indurare e rifermare l'appetito dell'animo nella sua rettitudine, sicché potesse ben fruttificare....

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Riepiloghiamo. Dante, volendo riandare gli anni della sua prima età, si figura la memoria come un libro, in cui siano scritti i ricordi, libro segnato da rubriche e diviso in paragrafi, com'era uso del tempo, seguendo in ciò una comunissima imagine rettorica. Ma poiché, come dimostrava Aristotile, l' impressione sensibile nella memoria non resiste, nell'età deputata all' incremento e al decremento, per il flusso che ne impedisce la resi

'Cfr. per questa interpretazione un mio lavoretto nella «Rassegna Critica », VII, 193 sgg. Presto ritornerò sulla questione.

stenza; accade che nei fanciulli del tutto nuovi, cioè da poco nati, non si conservino i ricordi : traducendo questo fatto nell' imagine usata da Dante, si ha che nelle prime pagine del libro della memoria poco si potrebbe leggere, perché le impressioni vi sono cassate. E poiché quel tempo, di cui non si ricorda nulla, né si ritrova alcun vestigio, può dirsi identico a quello passato nell' utero della madre, come dice s. Agostino, e quindi non può dirsi vita; cosí la vita nuova, anche secondo il concetto aristotelico, del fanciullo nuovo al mondo, comincia là dove si serbano i ricordi. In tal modo la rubrica Incipit vita nova precede appunto quella parte del libro, d'onde si comincia a leggere qualche cosa; perché la parte che precede, dove non si può legger nulla, è come se non ci fosse.

Vita nuova vuol dir, quindi, prima età della vita, la quale nel Convivio sarà detta adolescenza, ma nel nostro libello, tenendosi piú stretto ad Alberto Magno, è detta puerizia e gioventude insieme, perché la gioventú sembra appartenere alla puerizia. E come la primavera è la nova stagione, la nova età dell'anno, cosí la vita nuova è la primavera della vita. E poiché la primavera è la stagione, in cui tutto fiorisce e si sveglia l'amore, cosí nella primavera della vita nasce e fiorisce l'amore nel cuore umano. Quindi vita nuova, indicando la primavera della vita, indica pure, implicitamente, l'età in cui fiorisce naturalmente nel cuore umano l'amore.

E infatti la vita nuova di Dante si apre col dolce sorriso dell'amore.

ENRICO PROTO,

QUESTIONI DI TEOLOGIA DANTESCA

Il padre Giovanni Busnelli parlò a lungo del mio primo volume di studii danteschi, nel Bullettino della Società dantesca italiana (XVIII, 161-181). Lo ringrazio vivamente per l'attenzione con cui mostra d'aver letto il mio libro, non che per le lodi che mi fa; ma non posso lasciar passare senza risposta talune sue con. futazioni, che, per essere relative a materia teologica, potrebbero senz' altro venir accolte dai lettori non teologi, naturalmente piú disposti a prestar fede a un teologo, della cui autorità già qualche dantista si fa forte; 1 che non a un dilettante di teologia, qual io sono; tanto piú, poi, se questo dilettante tacesse; ché, d' ordinario, il silenzio, dopo la confutazione, suol essere interpetrato come un tacito riconoscimento del proprio torto.

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A proposito dei superbi dell'Inferno, io scrissi, che, come gli umili son quelli che credono in Dio, cosí i superbi son quelli che in Dio non credono, cioè quelli, che, come dice Dante, lo negano. Al che il p. Busnelli obietta: < Chi piú superbo dei demonii? Eppure, daemones credunt et contremiscunt », parole di san Giacomo, nel cap. II dell'Epistola catt., v. 19. Ma il p. Busnelli non dice che dal v. 14 alla fine del capitolo citato, san Giacomo non fa che ripetere che vana e morta è la fede senza l'opere: « fides, si non habeat opera, mortua est in semetipsa »; « fides sine

1 Cfr. recens. del FLAMINI, in Rassegna bibliogr. della lett., it., XVII, 340-341; e la lettera dello stesso Flamini, premessa all'opera del Busnelli, Il concetto e l'ordine del Paradiso dantesco (voll. 105-113 della Collezione d'opusc. ined. o rari, diretta dal Passerini). 2 Cfr. Vang. di san Matt., XVIII, 6.

3 Inf., XI, 47.

operibus mortua est »; « ex operibus fides consummata est »; « sicut enim corpus sine spiritu mortuum est, ita et fides sine operibus mortua est »; ed è a questo proposito che scrive: « et daemones credunt et contremiscunt». Che se ne conclude? Che il credere dei demonii, fede morta, quasi si può dire che non è fede; onde la citazione del p. Busnelli nulla prova contro la mia affermazione, che chi nega Dio è il superbo.

Io aveva scritto: « Diremo dunque che nel terzo girone del settimo cerchio è punita la superbia, distinta in madre, ossia superbia propriamente detta, e in figlia, ossia bestemmia; oppure diremo che vi è punita la bestemmia, distinta in bestemmia di fatto (superbia) e bestemmia di parole (bestemmia propriamente detta) »; al che il p. Busnelli: « della debolezza de' suoi argomenti sembra siasi accorto anche il Filomusi, là dove, tirando le somme, conchiude in doppia forma, ondeggiante tra l'affermazione della superbia o della bestemmia ». Ah! no; non è ondeggiare il dir la stessa cosa con diverse espressioni: la bestemmia di fatto è, o no, superbia? se è — ed è certamente, tanto è dire la superbia e la figlia di lei (bestemmia); quanto la bestemmia di fatto e la bestemmia di parole.

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Che tutt' e sette i vizii capitali abbiano ad aver sede propria nel Purgatorio, e che nell'Inferno quattro soltanto di essi, in grado di peccato mortale, abbiano ad averla, io non riesco a convincermene; riconosce il p. Busnelli che tanto l' Ineerno, quanto il Purgatorio sono concepiti secondo lo schema morale, basato nella divisione aristotelica degli abiti ritraenti dal bene e inclinanti al male, tutti mossi dall'amor disordinato di sè stesso »: ma

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questa dottrina è proprio quella che san Tommaso enuncia a proposito dei vizii capitali; 1 essa dunque non esclude affatto che anche nell' Inferno, come nel Purgatorio, tutt' e sette i vizii capitali, che tutt' e sette son peccati speciali, e mortali, se tra essi s'annoveri la superbia, abbiano una lor sede speciale.

Del trovarsi gl' invidiosi nello Stige, io non recherei, secondo che mi compendia il p. Busnelli, altra ragione, se non questa, che « nell' Inferno Dante non ci mostra alcun rappresentante né degli accidiosi né degl' invidiosi, perché da siffatti peccati nessuno mai acquistò fama ». Or ciò è molto inesatto: le ragioni ch' io addussi per il trovarsi degli accidiosi e degl' invidiosi nello Stige, son parecchie e gravi; e chi sa che della lor gravità non sia una prova lo stesso silenzio del p. Busnelli su di esse. Quanto alla sola ragione che egli riferisce, non è che la soluzione d'un'obiezione ch'io stesso mi faceva: perché mai di tutti gli altri peccatori dell' Inferno Dante ci mostrasse uno o piú rappresentanti; e non ce ne mostrasse alcuno né per gli accidiosi, né per gl' invidiosi. E, come risposta a quest'obiezione, le mie frasi riferite qui sopra mi sembrano risposta sodisfacente; non cosí, se fossero il solo argomento per provare che accidiosi e invidiosi sono e debbono essere nello Stige.

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Io aveva detta una base falsa della struttura morale dell' Inferno dantesco la distinzione aristotelica delle tre disposizioni, incontinenza, malizia e bestialità; il Busnelli, invece,mi fa dire « base falsa l' Etica Nicomachea»; il che non è certamente la stessa cosa; ma lasciamo andare; chè più importa quel che il Busnelli aggiunge: « Se il Filomusi avesse letto l'articolo 3° della q. 61 della Secunda secundae, che ha per titolo Utrum materia utriusque justitiae sit diversa, come non avrebbe chiamata falsa la base dell' Etica Nicomachea ivi citata, cosí avrebbe su piú sicuri fondamenti edificata la struttura morale della cantica». Ma che cosa contiene quell'articolo? nient'altro, che una citazione dell' Etica a Nicomaco, come cardine della dimostrazione, che < una species justitiae est directiva in distributionibus, et alia in commutationibus ». Or << basta ciò », afferma il Busnelli, < per di

1 Cfr. Summ. theol., I, II, 84, 4.

2 Cfr. i miei Studii su Dante, pp. 73-74.

mostrare come, pel tramite della teologia tomistica, l'Etica Nicomachea, lungi dall' entrare nell' Inferno come base falsa, vi sia qual unica, vera e sicura base della topografia morale ». E poniamo che quella citazione basti a dimostrare tutto ciò; ma la mia base faisa, che dalle tre disposizioni s'era già allargata, in mano al Busnelli, sino ad abbracciar tutta l'Etica Nicomachea; qui s'allarga ancor piú, estendendosi anche all'Etica Nicomachea passata per il tramite della teologia tomistica. Prendo atto, del resto, della dichiarazione del Busnelli, che l'Etica Nichomachea, per il tramite della teologia tomistica, sia l' unica, vera e sicura base della topografia morale dell' Inferno; e gli chiedo perché dunque rigettate la base da me posta peccati ex ignorantia, peccati ex infirmitate, peccati ex malitia —, che coincide, come dite voi stesso, col ternario d'Aristotile, peccati ex ignorantia, peccati ex passione, peccati ex electione? Perché Dante ricorda le tre disposizioni, incontinenza, malizia e bestialità! Ma non ho io dimostrato che questa citazione risponde unicamente alla dimanda di Dante, perché mai gl' incontinenti sieno fuori della città di Dite? or com'è che il Busnelli non solo non confuta la mia dimostrazione; ma neppur della mia asserzione fa il menomo cenno? eran esse una cosí povera cosa, da doversene tacere affatto, per commiserazione o per altro? Eppure, io non sono solo a restringere in quei limiti l'importanza di quella citazione.

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La vanagloria io la escludo dall' Inferno, perché essa è, ex suo genere, peccato veniale. Ma è anche, in alcun caso, peccato mortale, obietta il Busnelli; e ricorda che io stesso lo riconobbi, alla pag. 183 dei miei Studii su Dante. Il Busnelli però non aggiunge quel ch' io aggiunsi (pag. 184), cioè che i quattro casi di vanagloria, nel grado di peccato mortale, annoverati da san Tommaso, son peccati contro Dio, e quindi devono intendersi puniti nel terzo girone del settimo cerchio, insieme con la superbia, con la quale quei quattro casi di vanagloria sembra proprio che si confondano. Credo che, data l'obiezione del Busnelli, e perché il lettore petesse farsi una idea meno incompleta della mia struttura morale dell' Inferno dantesco, quel ch' io aggiunsi non si sarebbe dovuto tacere.

In quanto alla questione, se la bestialità

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sia, o no, genere di peccato a sé, io non vedo, malgrado gli sforzi del Busnelli per convincermene, come, negando che la bestialità sia genere, io abbia franteso san Tommaso, là dove scrive che bestialitas differt a malitia, quae humane virtuti opponitur, per quemdam excessum circa eamdem materiam, et ideo ad idem genus reduci potest »; tanto piú, che, come facevo riflettere al D'Ovidio, san Tommaso riduce di fatto la bestialità alla malizia, annoverando tre soli generi di peccati, ex ignorantia, ex infirmitate, ex malitia. Del resto, ammettiamo pure che io abbia franteso San Tommaso ma come ammettere che Dante faccia dei peccati di bestialità un genere a sé, se li punisce qua e là, tra mezzo a quelli di malizia? ché certo il Busnelli non vorrà mandar buona al suo maestro, il Flamini, anche questa, che sien peccati di bestialità l'omicidio, il ferimento, le ruine, gl' incendii, la rapina, il suicidio e la dissipazione, con cui la feritas è punita nel primo girone del settimo cerchio; né che sien peccati di bestialità la bestemmia di fatto, la bestemmia di parole e l'usura, con cui, nel terzo girone dello stesso cerchio, è punito il sodomiticum vitium. 3

La baratteria non è l' acceptio personarum ; bensí, secondo il Busnelli, l'acceptatio munerum. Ma l'acceptio personarum si ha, quando « attribuitur alicui personae aliquid praeter proportionem suam »; il che può farsi per piú cause, tra le quali il dono ricevuto: l'acceptatio munerum, adunque, rientra, come movente, nell'acceptio personarum; tranne nel caso che il dono si riferisca a cose spirituali; perché in in tal caso rientra nella simonia. 5

Non ho difficoltà ad accettare l'emendamento del Busnelli, che, secondo la correzione fatta a sé stesso da San Tommaso, nel De Malo, per i peccati veniali non occorre la pena del Purgatorio; ma si rimettono « virtute gratiae », ecc.; quantunque sia difficile il dire, quale delle due opere di san Tommaso, il Commento al libro delle Sentenze, o il De Malo, in cui san Tommaso si corresse, fosse a Dante piú familiare. Ad ogni modo, se

▲ Summ. theol., II, II, 154, II.

2 Cfr. i cit. miei Studii, p. 206.

3 Cfr. i cit. miei Studii, p. 288.

4 Cfr. SAN TOмM., Summ. theol., II, II, 63, 4. Cfr. op. e p. cit., 100, 2.

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guisse Dante l'una o l'altra delle due dottrine dell'Aquinate, ciò non ha importanza per la struttura morale del Purgatorio dantesco. Ma quello che è importantissimo, e che assolutamente non posso accettare, è che, anche per Dante poeta, cessino con la morte « tutte le passioni dell'appetito sensitivo inerente al composto umano » ; il che distruggerebbe la mia struttura morale del Purgatorio, secondo la quale i morbi dell'anima, ossia le passioni non moderate dalla ragione, costituiscono quello onde l'anime, che non completarono in vita la satisfactio, si purgano nel Purgatorio. Stazio non dico Dante, che, chi sa, potrebbe anche essere stato di parere diverso -, Stazio ci ammaestra, che, quando l'anima si scioglie dal corpo, in virtute seco ne porta l'umano e il divino »; e formatosi, nel mondo di là, un corpo aereo, « quindi organa poi ciascun sentire insino alla veduta ». « Qui entriamo in ipotesi poetiche», scrive il padre Cornoldi, a principio della sua nota ai vv. 88 e segg. del Canto XXV del Purgatorio; e sta bene; ma noi dobbiamo interpetrare l'opera poetica di Dante, principalmente con Dante poeta ; e benché Dante fosse teologo, non dimenticare che fu laico, né rinunciare a ciò che egli espressamente ci dice, sol perchè non s'accordi con quello, che, secondo le dottrine teologiche, sembra a noi che avrebbe dovuto dirci. Se, dunque, è vero, da una parte che chi non ha compiuta la satisfactio in vita, deve compierla nel Purgatorio; e che la satisfactio risana l'appetito sensitivo e l'intelletto; e se, d'altra parte, è vero che l'anima, scioltasi dal corpo, organa, secondo Dante poeta, ciascun sentire mercé un corpo aereo; e che « secondo che affiggono i desiri e gli altri affetti, l'ombra si figura »; io non so che altro occorra per riconoscere che nel Purgatorio dantesco si purghino, su per i sette ripiani, le sette principali passioni non moderate dalla

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1 Cir. Purg., XXV, 79 e sgg.

2 Dico sembra, perchè anche Pier Lombardo aveva scritto << animas defunctorum non solum suis sensibus non privari, sed nec istis affectibus, scilicet spe, tristitia, gaudio, et metu carere ». Cfr. P. Michele da Carbonara (Studi danteschi, Tortona, Rossi, 1890; Nota B, pagg. 181-186), il quale conclude che Dante s'accordò con Pier Lombardo e in questo e nell'attribuire alla divina Virtú la disposizione di siffatti corpi << a soffrir tormenti e caldi e geli ».

ragione; o, se si vuole poi-ché è lo stesso le caligini, le schiume, che quelle passioni han lasciate nell'anima.

In quanto all'Antipurgatorio, io ho, recentemente, modificata alquanto la spiegazione che ne diedi nei miei Studii su Dante: qui io assegnai all'Antipurgatorio le anime, che, già ree di peccato mortale, si sciolsero dal corpo con la sola contritio in fin di vita, o con la contritio e con la confessio, sempre in fin di vita; e le anime della prima specie suddivisi in tre sottospecie: 1 anime, la cui condizione è aggravata dalla scomunica; 2a anime, che indugiarono la contritio per mera pigrizia; 3a anime, la cui condizione è attenuata dalla morte violenta, e quindi immatura. Ma considerando che il Purgatorio è in supplemento della satisfactio, rimasta incompleta o per negligenza, o per l'occupazioni, o per la morte; 1 piú in armonia con questo concetto mi sembra ora l'intendere che Dante, il quale spesso par piú rigido degli stessi teologi, assegnasse all'Antipurgatorio coloro che indugiarono al fine della vita il sacramento della penitenza, o per quelle stesse tre cause, per le quali l'anime del Purgatorio propriamente detto non completarono in vita la satisfactio; o per presunzione, se scomunicati. Nell'Antipurgatorio, dunque, cosí come oggi io l'intendo, dimorano, in attesa di piú alto salire, quattro categorie d'anime, che indugiarono al fine della vita il sacramento della penitenza, o per presunzione (Manfredi), o per pigrizia (Belacqua), o per morte violenta (lacopo del Cassero, Buonconte, ecc.), o per civili occupazioni (principi della valle fiorita). Ciò premesso, non è il caso di prendere in esame le obiezioni che alla mia prima struttura morale dell' Antipurgatorio muove il Busnelli. Piuttosto farò notare che questa mia seconda interpetrazione dell'Antipurgatorio non è che una correzione della prima: si sa, non ogni idea balza fuori tutt'armata, come Minerva dal cervello di Giove.

Per il Paradiso terrestre, il Busnelli riconosce buone le mie osservazioni e ragioni; ma, naturalmente, non rinuncia, per esse, alla spiegazione sua, confutar la quale non è qui possibile; né, d'altra parte, io mi son proposto di prender l'offensiva, ma solo di star sulla difensiva rimando perciò il lettore a quanto

1 Cfr. SAN Tомм., Summ. contra gent., IV, 91.

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che il Costa, il Cesari e il Cornoldi, interpetrando questi versi, confondono Dio con lo Spirito Santo; il Busnelli mi fa un solenne rabbuffo, ammonendomi che la confusione è tutta mia, perché veramente e lo Spirito Santo, e il Padre, e il Figlio « si confondono, ossia s' identificano tanto con Dio, che sono una stessa cosa e un unico e medesimo Dio ». Che ciò sapessero e il Costa, e il Cesari, e il Cornoldi, non occorreva che altri m'attestasse; né occorre dimostrare che anch'io possedessi una cosí elementare nozione catechistica. Ma come, scrivendo che « l'Eterno

Spiro non è propriamente Dio, ma lo Spirito Santo, io mi riferiva alla proprietà del dire; cosí non d'ignoranza di catechismo ho tacciati i tre ecclesiastici su ricordati; bensí di poca proprietà di linguaggio; ché difetto di proprietà è parlar di Dio, ove occorre parlare di una delle tre divine persone. Or la mancanza di proprietà non genera confusione ? Infatti, questa è tale nel caso nostro, che, interpetrando l'Eterno Spiro del v. 36 del Canto IV del Paradiso, e lo Spirito Santo del v. 53 del Canto III per Dio, si hanno interpetrazioni insostenibili. Insomma, il Busnelli ha confutate le mie parole con una non breve « digressione teologica», mentre io aveva parlato da stilista, non da teologo: che se avevo notato che il Cesari era un abate, e un teologo

1 Cfr. Studii cit., p. 146.

2 Cfr. Studii cit., pp. 452-453.

Giornale dantesco, anno XX, quad. II

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