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Di questa vita ho per minori assai;
E tutt' altre bellezze in dietro vanno.
Pace tranquilla senz'alcuno affanno,
Simile a quella che nel Ciel eterna,
Move dal lor innamorato riso.
Cosi vedess' io fiso,

Com' Amor dolcemente gli governa,
Sol un giorno da presso,

Senza volger giammai rota superna;
Nè pensassi d'altrui, nè di me stesso;
El batter gli occhi miei non fosse spesso.
Lasso, che desïando

Vo quel ch' esser non puote in alcun modo;
E vivo del desir fuor di speranza.

Solamente quel nodo,

Ch' Amor circonda alla mia lingua, quando
L'umana vista il troppo lume avanza,
Fosse disciolto; i'prenderei baldanza
Di dir parole in quel punto si nove,
Che farian lagrimar chi le 'ntendesse.
Ma le ferite impresse

Volgon per forza il cor piagato altrove:
Ond' io divento smorto,

E' sangue si nasconde, i' non so dove;
Ne rimango qual era; e sonmi accorto,
Che questo è'l colpo, di ehe Amor m'ha morto.
Canzone; i' sento già stancar la penna
Del lungo e dolce ragionar con lei;
Ma non di parlar meco i pensier miei.

SONETTO XLVI.

Se non ragiona di Laura com' essa merita,
è colpa d'Amore che la fece si bella.

Io son già stanco di pensar si come
I miei pensier in voi stanchi non sono;
E come vita ancor non abbandono,
Per fuggir de' sospir sì gravi some;
E come a dir del viso, e delle chiome,
E de'begli occhi, ond' io sempre ragiono,
Non è mancata omai la lingua e'l suono,
Di e notte chiamando il vostro nome;
E ch' e' pie miei non son fiaccati e lassi
A seguir l'ome vostre in ogni parte,
Perdendo inutilmente tanti passi;

Ed onde vien l'inchiostro, onde le carte,
Ch'i' vo empiendo di voi: se 'n ciò fallassi,
Colpa d'amor, non già difetto d'arte.

SONETTO XLVII.

Riconforta sè stesso a non istancarsi nel lodare gli occhi della sua Donna.

I begli occhi ond' i' fui percosso in guisa,
Che' medesmi porian saldar la piaga,
E non già virtù d'erbe, o d'arte maga,
O di pietra dal mar nostro divisa;
M' hanno la via si d'altro amor precisa,
Ch'un sol dolce pensier l'anima appaga;
E se la lingua di seguirlo e vaga,
La scorta può, non ella, esser derisa.

Questi son que' begli occhi, che l'imprese
Del mio signor vittoriose fanno

In ogni parte, e più sovra 'l mio fianco:
Questi son que' begli occhi, che mi stanno
Sempre nel cor con le faville accese;
Perch' io di lor parlando non mi stanco.

SONETTO XLVIII.

La prigione di Amore lo lusinga si forte,
che, uscendo, sospira di ritornarvi.

Amor con sue promesse lusingando
Mi ricondusse alla prigione antica,
E die le chiavi a quella mia nemica,
Chan
Ch' ancor me di me stesso tene in bando.

Non me n' avvidi, lasso, se non quando

Fu' in lor forza, ed or con gran fatiea
(Chi 'l crederà, perchè giurando il dica? )
In libertà ritorno sospirando.

E come vero prigioniero afflitto,

Delle catene mie gran parte porto;

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SONETTO L.

Niente più vorrebbe da Simone s'egli avesse
potuto dar l'anima a quel ritratto.

Quando giunse a Simon l'alto concetto,
Ch'a mio nome gli pose in man lo stile,
S'avesse dato all'opera gentile

Con la figura voce ed intelletto,

Di sospir molti mi sgombrava il petto;

Che ciò, ch' altri hon più caro, a me fan vile:
Però che 'n vista ella si mostra umile,
Promettendomi pace nell' aspetto:

Ma poi ch'i' vengo a ragionar con lei,
Benignamente assai par che m' ascolte;
Se risponder avesse a' detti miei.
Pigmalion; quanto lodar ti dei
Dell'immagine tua, se mille volte
N' avesti quel, ch'i' sol una vorrei!

SONETTO LI.

Se l'ardore amoroso cresce ancora si forte,
prevede di dover presto morire.

S'al principio risponde il fine, e 'l mezzo
Del quartodecim' anno, ch'io sospiro,
Più non mi può scampar l'aura, ne 'l rezzo,
Si crescer sento 'l mio ardente desiro.

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Amor, con cu' i pensier mai non han mezzo
Sotto 1 cui giogo giammai non respiro;
Tal mi governa, ch'i'non son giả mezzo
Per gli occhi, ch'al mio mal si spesso giro.
Cosi mancando vo di giorno in giorno

Si chiusamente, ch'i' sol me n' accorgo,
E quella che, guardando, il cor mi strugge.
Appena in fin a qui l'anima scorgo;
Ne so quanto fia meco il suo soggiorno:
Che la morte s'appressa, e 'l viver fugge.

SESTINA IV.

Mal affilatosi alla fragil nave d' Amore, prega Dio che lo drizzi a buon porto. Chi è fermato di menar sua vita

Su per l'onde fallaci e per li scogli,
Scevro da morte con un picciol legno,
Non può molto lontan esser dal fine:
Però sarebbe da ritrarsi in porto,
Mentre al governo ancor crede la vela.
L'aura soave, a cui governo e vela
Commisi entrando all' amorosa vita,
E sperando venire a miglior porto;
Poi mi condusse in più di mille scogli:
E le cagion del mio doglioso fine

Non pur d'intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno,
Errai senza levar occhio alla vela,

Ch' anzi 'l mio di mi trasportava al fine;
Poi piacque a lui che mi produsse in vita,
Chiamarmi tanto indietro dalli scogli,
Ch'almen da lunge m' apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
Vide mai d'alto mar nave, nè legno,
Se non gliel tolse, o tempestate, o scogli;
Cosi di su dalla gonfiata vela

Vid' io le insegne di quell' altra vita:
Ed allor sospirai verso 'l mio fine.
Non perch' io sia securo ancor del fine:
Che volendo col giorno esser a porto,
gran viaggio in così poca vita:

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Poi temo, che mi veggio in fragil legno;
E, più ch' i' non vorrei, piena la vela
Del vento che mi pinse in questi scogli.
S'io esca vivo de' dubbiosi scogli,

Ed arrive il mio esilio ad un bel fiue;
Ch'i' sarei vago di voltar la vela,
E l'ancore gittar in qualche porto:
Se non ch'iardo, come acceso legno;
Si m'è duro a lassar l'usata vita.
Signor della mia fine e della vita,
Prima ch'i' fiacchi il legno tra li scogli,
Drizza a buon porto l' affannata vela.

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