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SONETTO LII.

Riconosce i propri errori, e invita sè stesso
ad ascoltar la voce di Dio.

Io non si stanco sotto 'l fascio antico
Delle mie colpe, e dell' usanza ria;
Ch'i temo forte di mancar tra via,
E di cader in man del mio nemico.
Ben venne a dilivrarmi un grande amico
Per somma ed ineffabil cortesia;
Po volo fuor della veduta mia

Si ch'a mirarlo indarno m' affatico.
Ma la sua voce ancor qua giù rimbomba;
O voi, che travagliate, ecco il cammino;
Venite a me, se'l passo altri non serra,
Qual grazia, qual amore, o qual destino
Mi darà penne in guisa di colomba,
Ch'i' mi riposi, e levimi da terra?

SONETTO LIII.

Egli è quasi per abbandonarla, quand' ella
non lasci d' essergli si crudele.

Io non fu' d' amar voi lassato unquanco,
Madonna, ne sarò, mentre ch' io viva:
Ma d'odiar me mede smo giunto a riva,
E del continuo lagrimar son stanco.
E voglio anzi un sepolcro bello e bianco;
Chevostro nome a mio danno si scriva
In alcun marmo, ove di spirto priva
Sia la mia carne, che può star seco anco.

Però s' un cor pien d'amorosa fede
Può contentarvi senza farne strazio,
Piacciavi omai di questo aver mercede.

Se 'n altro modo cerca d'esser sazio

Vostro sdegno, erra; e non fia quel, che crede: Di che Amor, e me stesso assai ringrazio.

SONETTO LIV.

Non mai sicuro dalle frecce d'Amore, sentesi
però assai forte per rintuzzarle.

Se bianche non son prima ambe le tempie.
Ch' a poco a poco par che 'l tempo mischi,
Securo non sarò, bench'io m'arrischi
Talor, ov' Amor l'arco tira ed empie.
Non temo già che più mi strazii, o scempie,
Ne mi ritenga, perch' ancor m'invischi
No m'apra il cor, perchè di fuor l'incischi
Con sue saette velenose ed empie.

Lagrime omai dagli occhi uscir non ponno,
Ma di gir infin là sauno il viaggio;
Si ch' appena fia mai chi'l passo chiuda.

Ben mi può riscaldar il fiero raggio,

Non si, ch'i' arda; e può turbarmi il sonno, Ma romper no, l'immagine aspra e cruda.

SONETTO LV.

Cerca se pegli occhi o pel cuore entrato sia l'amor suo verso di Laura.

Occhi, piangete; accompagnate il core,
Che di vostro fallir morte sostene.
Cosi sempre facciamo; e ne convenc
Lamentar più altrui, che 'l nostro errore
Già prima ebbe per voi l'entrata Amore
Là, onde ancor, come in suo albergo, vene.
Noi gli aprimmo la via per quella spene,
Che mosse dentro da colui che more..
Non son, com' a voi par, le ragion pari
Che pur voi foste nella prima vista
Del vostro e del suo mal cotanto avari.

Or questo è quel, che più ch'altro n' altrista;
Che perfetti giudicii son si rari,

E d'altrui colpa altrui biasmo s' acquista.

E

SONETTO LVI.

Ama ed amerà sempre il luogo, il tempo e l' ora, in cui innamorossi di Laura.

Io amai sempre, ed amo forte ancora,
E son per amar più di giorno in giorno
Quel dolce loco, ove piangendo torno
Spesse fiate, quando Amor m'accora,
son fermo d' amare il tempo e l'ora,
Ch' ogni vil cura mi levâr d'intorno;
E più colei, lo cui bel viso adorno
Di ben far co' suoi esempii m' innamora.
Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Per assalirmi'l cor or quindi, or quinci,
Questi dolci nemici, ch'i' tant' amo?
Amor, con quanto sforzo oggi mi vinci!
E, se non ch'al desio cresce la speme,
I' cadrei morto, ove più viver bramo.

SONETTO LVII.

Si adira contro di Amore, perchè non l'uccise dopo di averlo reso felice.

Io avrò sempre in odio la fenestra,

Onde Amor m'avventò già mille strali,
Perch' alquanti di lor non fur mortali;
Ch'e bel morir, mentre la vita e destra.
Mal sovrastar nella prigion terrestra,
Cagion m'è, lasso, d'infiniti mali:
E più mi duol, che fien meco immortali,
Poi che l'alma dal cor non si seapestra.
Misera! che devrebbe esser accoita

Per lunga esperienza omai, che 'I tempo
Non è chi 'ndietro volga, o chi l'affreni.
Più volte l'ho con tai parole scorta:
Vattene, trista; che non va per tempo
Chi dopo lassa i suoi di più sereni.

SONETTO LVIII.

Chiama suoi nemici gli occhi di Laura,
che lo tengono in vita per tormentarlo.

1

Si tosto, come avvien, che l'arco scocchi,
Buon sagittario di lontan discerne

Quai colpo e da sprezzare, e qual d'averne
Fede, ch' al destinato segno tocchi;

Similemente il colpo de' vostr' occhi,
Donna sentiste alle mie parti interne
Dritto passare: onde convien, ch' eterne
Lagrime per la piaga il cor trabocchi.
E certo son, che voi diceste allora:

Misero amante! a che vaghezza il mena?
Ecco lo strale, ond' Amor vol, ch'e' mora.
Ora veggendo, come 'l duol m'affrena;
Quel che mi fanno i miei nemici ancora,
Non è per morte, ma per più mia pena.

SONETTO LIX.

Consiglia agli amanti la fuga d' Amore prima
d'essere arsi dalle sue fiamme.

Poi che mia speme è lunga a venir troppo,
E della vita il trapassar si corto;
Vorreimi a miglior tempo esser accorto,
Per fuggir dietro più che di galoppo:

E fuggo ancor cosi debile e zoppo

Dall' un de' lati, ove 'l desio m'ha storto;
Securo omai: ma pur nel viso porto
Segni, ch' io presi all'amoroso intoppo.
Ond' io consiglio voi che siete in via:
Volgete i passi; e voi ch'Amore avvampa,
Non v'indugiate su l'estremo ardore:

Che, perch' io viva, di mille un non scampa.
Era ben forte la nemica mia;

E lei vid' io ferita in mezzo 'I core.

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Fuggito dalla prigione di Amore, volle
ritornarvi, e non può più uscirne.

Fuggendo la prigione, ov' Amor m' ebbe
Molt' anni a far di me quel ch' a lui parve,
Donne mie, lungo fora a ricontarve,
Quanto la nova libertà m' increbbe.

Diceami cor; che per se non saprebbe
Viver un giorno: e poi tra via m'a
'apparve
Quel traditor in si mentite larve,
Che più saggio di me ingannato avrebbe:

Onde più volte sospirando indietro,

Dissi: Oime! il giogo, e le catene, e i ceppi
Eran più dolci, che l'andare sciolto.

Misero me! che tardo il mio mal seppi,
E con quanta fatica oggi mi spetro
Dell' error, ov' io stesso m'era involto!

SONETTO LXI.

Dipigne le celesti bellezze della sua Donna,
e protesta di amarla sempre.

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea;
El vago lume oltra misura ardea
Di quei begli occhi, ch'or ne son si scarsi;
El viso di pietosi color farsi,

Non so se vero o falso mi parea:
I' che l'esca amorosa al petto avea,
Qual maraviglia, se di subit' arsi?

Non era l'andar suo cosa mortale,
Ma d'angelica forma; e le parole
Sonavan altro che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo Sole

Fn quel ch'i' vidi; e se non fosse or tale,
Piaga per allentar d'arco non sana.

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