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nam » ; e vi si possono distinguere tre momenti: il primo (1830-1836) durante il quale taluni cattolici ferventi«< choisissent la Comédie comme livre de chevet senza sollevar dubbi di sorta sulla ortodossia di Dante; il secondo (1836-1848) in cui si divulga, variamente accolta in Francia, l'opinione, di marca straniera, che dipinge « Dante comme une sorte d'hérétique et de franc-maçon »; il terzo (1848-1860) in cui si discute ancora dell'ortodossia dell'Alighieri << mais sur lui viennent se greffer des débats d'ordre politique et social ». Si avverta però che se le date prefisse a questo saggio particolare rinserrano un momento storico di speciale dantofilia in Francia, non s'intende con questo affermare che e prima e poi Dante, caro già ai primi romantici, non signoreggi gli spiriti. Le ragioni non sono soltanto di na tura religiosa, politica e sociale. « Une telle faveur tient aussi à des causes comme l'attrait des littératures étrangères, la curiosité éveillée par le moyen âge, le relief et la puissance des peintures de Dante, le sentiment de la nature qui apparaît, çà et là dans le divin poème, la douce mélancolie qui fait en particulier le charme du Purgatoire ».

XIII. Léonce Bénédite « Conservateur du Musée Rodin » pone di fronte due personalità poderose Dante et Rodin (pagg. 209-219) il poeta gagliardo, l'interprete suo poderoso. « De tous nos contemporains, Rodin est assurément celui qui a le plus longtemps et le plus étroitement vécu avec Dante. En dehors des sujets de commande, des monuments, des bustes, à peu près toutes ses compositions découlent plus ou moins directement de la conception première de la Divine Comédie ». Per brevità ricorderemo soltanto la celebre « Porte de l'Enfer, qui s'élève aujourd'hui au chœur du Musée monumental, installé dans l'ancienne chapelle désaffectée de l'hôtel Biron. Ce monument, selon l'ambition du maître, devait tenter de réaliser plastiquement les visions de Dante ». E si noti che « soit durant les vingt années que dura l'élaboration de la Porte, soit dans la suite de sa carrière, où il reste dominé par la hantise de ce monument et la souvenir des longs travaux qu'il lui a coûtés, Rodin n'aura cessé de paraphraser plus ou moins directement la pensée de Dante ». In verità -e i disegni qui riprodotti lo attestano efficacemente << Rodin est tout entier dans sa Porte,. comme Dante dans son poème ». Egli ha un doppio ideale: «< idéal plastique et idéal expressif, qu'il ne sépare jamais dans sa pensée, d'avoir pu réaliser ce peuple de 186 figures vivantes, qui s'agitent, se démènent, se tordent dans les convulsions de la terreur, de l'angoisse ou de la volupté, d'avoir pu concevoir ce tableau poignant et tragique du déchaînement des passions de l'humanité misérable que contemple, séparé de son guide n'ayant plus rien de commun dans l'aspect extérieur avec l'Alighieri, son poète, sérieux et méditatif, semblable au philosophe

de Lucrèce, ou simplement, comme on l'a nommé : le Penseur ». Pare che la prima idea gli sia venuta, oltre che, s'intende, dal poema, dall'ammirata estasi in lui prodotta, durante un viaggio in Italia della « deuxième porte de Ghiberti au Baptistère de Florence ».

Un particolare: tutti gli illustratori rappresentano le figure dantesche in vario abbigliamento. Rodin le fa nude, come del resto le concepí Dante: << il conçoit ces figures nues en sculpteur et pour rester sur le mode héroïque ». E interpreta Dante e Virgilio come « des demi-dieux païens » con lo stesso spirito di Michelangelo « qui est le guide suprême de Rodin comme Virgilio est celui de Dante ».

XIV. Gustave Kahn «homme de lettres » tratta anch'egli un soggetto d'arte: L'inspiration dantesque chez Paul Dardé (pagg. 221-225) è, cronologicamente, l'ultimo degli artisti francesi, che siansi inspirati a Dante. Scultore vigoroso, egli segue un procedimento analogo a quello dell'Alighieri quando cerca nella «< vie réimaginée, dans les éléments connus, l'image à la fois irréelle et plastique, extraordinaire, mais plausible ». Per lui la Divina Commedia « prend l'intérêt de bible ou de roman ». Essa gli ha fornito delle opere compiute, che esistono nella pietra, e dei progetti che vivono « dans des eaux-fortes ou de grands dessins, blanc et noir, ou rehaussés de quelques teintes ». La sua Medusa « en ses nœuds de serpents » è al Museo del Luxembourg e gli ha dato la fama: un suo Ugolino, delle Arpie da lui scolpite eternano la tragedia dantesca in figure e in visioni d'angoscia. Il Dardé è noto da qualche anno appena. Molto l'arte francese si attende ancora da lui: e altri omaggi ideali attende la letteratura, che si adorna della Commedia a buon diritto ribattezzata divina.

Paul Dardé « sait être dramatique, il manie le lyrisme. C'est un évocateur ». Ma si noti: «S'il a cette puissance, s'il a développé cette faculté qui était en lui, il le doit à la leçon qu'il a su écouter, des grands poètes et de son poète, entre tous aimés, Dante ». (Continua). FRANCESCO Picco.

La Società Storica Subalpina nel V1 Centenario della morte di Dante. Torino, Borgo Medioevale (Pinerolo, Tip. Sociale) 1921. In-8 grande, di pagg. 460. È un grosso volume edito dal Bollettino Storico Bibliografico Subalpino diretto da C. PATRUCCO (Anno XXIII, 3-6) in cui alcuni storici e letterati piemontesi che alla propria regione consacrano amorose fatiche, hanno riunito un nucleo di lavori che lumeg. giano i ricordi e il culto di Dante nel Piemonte. Com'è noto, Vittorio Cian nell'autunno del 1918 rivolgeva un caldo appello agli studiosi nel Giorn Stor. d. Letterat. ital. per la raccolta di un grande regesto documentato della fortuna di Dante nelle varie regioni d'Italia, il qual regesto, se condotto con ampiezza di respiro e al disopra di gretti criteri

regionalistici, sarebbe divenuto uno dei piú duraturi e degni contributi alle onoranze dantesche per il secentenario. Cosi fu vagheggiato questo volume, che difficoltà finanziarie non permisero di render laborioso e complesso come era stato delineato in un pri mitivo disegno. Ad ogni modo le memorie in esso contenute che a Dante, all'opera sua, alla sua fortuna e al suo culto in Piemonte, si riferiscono, formano un notevole contributo di cui dobbiamo esser grati, oltre che agli autori, al Patrucco, che ospitò il volume negli Atti della Società Storica Subalpina e al Prof. A. Tallone che contribuí alla riuscita di esso.

Quantunque in Piemonte l'Alighieri non abbia lasciato orme vere e proprie, tuttavia non v'è città o borgo che non possegga qualche ricordo dantesco, o perché nominato dal Poeta o perché ha dato i natali a qualche grande o modesto cultore di studi danteschi o anche per taluni personaggi ricordati nell'opera di Dante.

Tra i luoghi infatti possiamo citare Vercelli (Inf., XXVIII, 75), il Monviso (Inf., XVI, 15), le sorgenti del Po e il passo di Annibale (Par., VI, 50), Alessandria, il Monferrato e il Canavese (Purg., VII, 135), Torino (Purg., Vulg. El., I, 15) e Casale (Par., XII, 114). Tra le persone sono Guglielmo VII di Monferrato (Purg., VII, 134), Sant' Anselmo d'Aosta (Par., XII, 124), Pier Lombardo (Par., X, 107), Ubertino da Casale (Par., XII, 124), Fra' Dolcino (Inf., XXVIII, 55) e lo stesso Sordello (Purg., VI, 74).

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Ed è appunto con un saggio intitolato: Guglielmo Marchese..., che A. Bozzola inizia il volume, saggio che dimostra una sicura conoscenza della storia e dei costumi feudali in Piemonte e in Lombardia, e per la cui documentazione l'autore rinvia ad una sua piú ampia monografia. A. Santanera in un breve studio, Un Novarese Vescovo di Parigi, traccia, alla luce delle ultime indagini, un nitido profilo di Pier Lombardo; F. Ravello s' intrattiene su Dante e il Canavese, di cui fu data già notizia.2 Piú vasto contributo offre N. Gabiani col suo Carteggio Dantesco di Giambattista Giuliani, di cui la prima parte comprende i rapporti epistolari del noto dantista col canonico Carlo Vassallo 3, l'amico suo prediletto, e do

'Un capitano di guerra e signore subalpino, Guglielmo VII di Monferrato (1254-1292). Per la Storia dei Comuni e delle Signorie. Estratto dalla Miscellanea di Storia Italiana della R. Deputaz. di Storia Patria per le antiche provincie e lá Lombardia, terza serie, tomo XIX, Torino, 1920. Cfr. Giorn. Dant., 1922, quad. I.

'Di questo valoroso insegnante che spese le sue migliori energie a profitto della scuola e degli studi, il G. opportunamente ricostruisce la figura morale e l'attività letteraria, cui fa seguito una compiuta bibliografia degli scritti. Era nato a Genola nel 1828; morí nel 1892 in Asti dove si era stabilito, come professore in quel liceo, fin dal 1850.

cumentano il grande affetto che univa i due uomini col saldo vincolo della più profonda e affettuosa amicizia. Le doti dell' uomo e dello studioso emergono nobilmente da questo carteggio che è un notevole contributo per una futura piú compiuta biografia del Giuliani, per il quale valgano, meglio di qualsivoglia ritratto morale, queste sue parole dirette ad un amico: << Nei miei libri come nelle mie lezioni, fu sempre uno l'intendimento, di far cioè che la letteratura sia un ministerio di civiltà, che le Arti del Bello servano al miglior bene della nostra Italia ed a vantaggiarla sopra le altre Nazioni per la nobile virtú del sentimento. Fra le molte e diverse contraddizioni degli uomini, mi raccolsi in me stesso, fiancheggiandomi nella dignità del silenzio, degli studii e della vita:

Sta come torre ferma, che non crolla Giammai la cima per soffiar di vento.

Questi versi mi furono ognora presenti all'animo e guida sicura. Negli studii aspirai perciò sempre al meglio, e del resto fu continua mia cura di poter rendermi degno sacerdote cattolico e cittadino italiano. Dell'amicizia feci consolazione e sostegno della mia vita. Fui nemico ognora di attaccar brighe anche letterarie, con chicchessia; e tenni ferma la mia diguità in ogni più difficile caso. Imparai piú a tacere che a parlare. Quando mi si diceva che io aveva de' nemici, nol credetti mai, perché sapevo e sento di non avere offeso e invidiato alcuno, se non in quanto desideravo di pareggiarlo nel fare il bene e farlo il meglio possibile ».

Le lettere vanno dal 1872 al 1883 e sono in numero di ottantadue. Esse rappresentano la migliore e piú autentica documentazione della nobiltà del Giuliani, come uomo e come studioso, e degue perciò di essere lette attentamente. Emana dai tenui documenti un tale alito di bontà e di gentilezza, che ci avvince alla memoria del buon vecchio; e specie in questi momenti di aspre superbie e di logomachie letterarie, di cui ci offrono continui saggi non solo i quotidiani ma anche le riviste piú autorevoli, non ci sarà superfluo udire l'amica voce del Giuliani, il quale in un poscritto del 1883 avvertiva cosí il Vassallo : « Avrete notato che il Prof. D'Ancona mi ha offerta pubbli camente la seconda edizione del libro La Vita Nuova ecc., da lui pubblicato in prima del '72. Io ne provai gran piacere per molti risguardi, ma specialmente anco perché, come sono stato col Witte, mi trovo discorde dall'egregio professore pisano, senza che per altro le nostre discordie nella critica letteraria abbiano mai scemato la concordia e l'affezione degli animi nostri. E in Italia questo esempio credo che non riesca disutile a notarsi. Addio di cuore ».

La seconda parte comprende lettere di illustri dantofili al Giuliani, che il destinatario rimise al canonico amico, e questi, poco prima di morire, legò

all'Archivio storico di Asti. Sono in numero di 216 e soltanto alcune furono pubblicate dal De Gubernatis 1 e dal Vassallo. 2

Le lettere appartengono a Carlo Witte (44), al duca di Sermoneta (68), al Vogel (57), a Gino Capponi (12), al Ghimighello (9), a L. G. Blanc (6), a Filippo Scolari (6), a Giovanni Marchetti (4), a Vittore Testa (4), a S. Betti (3), a G. Gazzino (3). 3 E bene ha fatto il G. a riprodarle non in gruppi, per ciascuno degli autori, ma promiscuamente, seguendo l'ordine cronologico: la vita letteraria del tempo vi palpita non soltanto col ricordo di illustri studiosi, ma con tutta una serie di divagazioni storiche e letterarie, con tutta la freschezza di sentimenti, di apprezzamenti, di piccole curiosità che ben altrimenti sarebbero stati espressi se i documenti fossero stati destinati al pubblico. Queste sillogi epistolari sono sempre istruttive e dilettevoli e, passando in altro campo, non inutili notizie nei riguardi delle correnti pittoriche del tempo possono fornire le lettere del

:

'Carteggio Dantesco del Duca di Sermoneta, ecc. Milano, Hoepli.

Sulla Vita e sugli Scritti di Carlo Witte. Firenze, 'Rassegna Nazionale '.

'Sono complessivamente 216 e vanno dal 1844 al 1882.

Vogel, il quale attendeva a disegni e quadri di soggetto dantesco e nei suoi viaggi in Italia poté conoscere i maggiori artisti nostri. Rimandiamo pertanto alla lettura del carteggio, interessante e opportuno, meravigliati di una cosa soltanto che nessuno prima d'ora avesse pensato alla pubblicazione.

Il volume si chiude con alcuni ricordi di Gino Borghezio e Cesare Fasola su Dante nella li breria di Lodovico di Savoia (1434). Nei 208 numeri del grande inventario del Castello di Chambery nel 1498, riguardanti la biblioteca dei principi di Savoia, tre volumi si riferiscono a Dante; in quello · di Moncalieri (1479-82) si ha un laconico cenno: << Item le liure de Dant en tuscan »; ma prima di essi, nel 1434, nella biblioteca di Amedeo VIII, accanto all'immancabile Roman de la rose ecco il Liber centum novelarum in lombardo e il libro de Dant, come risulta da una lista di volumi dati a rilegare, lista che ragionevolmente ci fa supporre come il codice dantesco avesse bisogno di riparazioni per il lungo uso.

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GUIDO VITALETTI.

1 P. VAYRA, Le lettere e le arti alla Corte dei Savoia nel sec. XV, in Miscellanea Storica Italiana, Torino, tomo XXII.

NOTIZIE

La Direzione, come ha già altre volte dichiarato, continuando la ben nota tradizione di ospitalità del Giornale Dantesco, ha accolto e seguiterà ad accogliere anche scritti che, quantunque lontani da ogni affinità di visione e di giudizio dell'opera dantesca con quelle personali, dimostrano preparazione seria, disinteresse scientifico, e servono in qualche modo a impostare problemi nuovi o a illuminare e correggere giudizi vieti e antiquati. Cosí pure intende mostrarsi oggettiva e imparziale nei dibattiti che possono derivarne. Lo studio del VALLI, Il simbolo centrale della « Divina Commedia » : la Croce e l'Aquila, comparso nel primo quaderno della scorsa annata, ha suscitato grande interesse. Per debito d'imparzialità si riproducono quindi integralmente le obiezioni mosse al Valli da L. FILOMUSI-GUELFI in Fantasie Dantesche, comparso in Il Corriere d' Italia, 8 settembre 1922 e la risposta del VALLI medesimo, Dante e il buon metodo ' pubblicata nell'Idea Nazionale, 13 settembre 1922.

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LA DIREZIONE.

FANTASIE DANTESCHE. Il Giornale d'Italia del 24 agosto pubblicava un articolo d' Enrico Corradini, dal sonante titolo Nelle profondità del genio dantesco, e dal sottotitolo Il simbolo della Croce e dell'Aquila nella « Divina Commedia ». In esso il Corradini dà notizia di due recenti volumi, Il simbolo centrale della Divina Commedia: la Croce e l'Aquila; e L'allegoria di Dante secondo Giovanni Pascoli, largamente lodando l'autore, Luigi Valli, per essersi messo « sulle tracce d'una scoperta che farà meraviglia «; e per esser giunto « a risultati im portanti e di sicuro convincimento »; per essere, cioè, riescito a confermare luminosamente la scoperta pascoliana, che anche per quella dell'anima dell'uomo, per la sua salvazione, sien necessarie, secondo Dante, le due potestà, la Chiesa e l'Impero ; la redenzione della Croce e quella dell'Aquila. « I lettori comprenderanno », scrive il Corradini stesso, « la gravità d'una tale tesi dantesca »; mette conto perciò d'esaminarla brevemente: brevemente, perché pari alla sua gravità è la sua insussistenza.

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Gli argomenti con cui il Valli si sforza di provare il suo assunto sarebbero le simmetrie, i punti del Poema, cioè, in cui la Croce e l'Aquila opererebbero di concerto alla redenzione dell'uomo; simmetrie che sarebbero secondo il Valli, ben ventidue; ma il Corradini non ne riferisce che quattro; certo, quelle che a lui son parse le principali.

1. «Per vincere l'Inferno », scrive il Valli, « si deve passare da una prima porta (la qual senza serrame ancor si trova) e che fu aperta per virtú della Croce dal Cristo, dal Crocifero. Per vincere l'Inferno si deve passare da una seconda porta (la porta di Dite, che è chiusa, perché manca l'Impero), e che viene aperta per virtú dell'Aquila da Enea, dall'Aquilifero ». Innanzi tutto, un'osservazione di

metodo. È risaputo che, in generale, non è buon metodo d'esegesi dantesca quello di provare la giustezza d'un' interpretazione con argomenti tratti dalle allegorie: non dirò, col Croce, che queste sieno una specie di criptografia; e che, quindi, non si riesca mai a interpretrarle con certezza, se non nel caso che l'autore stesso ce le dichiari; ma bisogna riconoscere che è assai facile l' ingannarsi nell' interpetrazione dei simboli danteschi; e che sono ancor parecchi i simboli di cui non si può ancora affermare con sicurezza che significhino quella tal cosa, e non altro. Or ciò non par che consideri il Valli: egli ritiene come un assioma che nel Poema dantesco l'Aquila simboleggi sempre l'Impero; e su questo creduto assioma, non che su altri simboli, anch'essi non rettamente interpretati, fonda tutte le sue simmetrie. Ora, che l'Aquila vista in sogno da Dante innanzi la porta del Purgatorio, simboleggi la Grazia, non l'Impero, è riconosciuto da tutti gl' interpetri; e che la Grazia sia pure simboleggiata nelÎ'Aquila della sfera di Giove è stato da me dimostrato, quasi direi matematicamente, nei miei Paralipomeni danteschi Città di Castello, Lapi, 1914. Il quale simbolo, peraltro, dovett'essere, nel pensiero di Dante, in un certo rapporto col simbolo dell' Impero, nel senso che dal divino aiutorio, dalla Grazia, l'Impero ebbe origine; fermo restando, a ogni modo, che l'Aquila è principalmente simbolo della Grazia, e solo secondariamente simbolo dell'Impero. Ciò posto, nessuna meraviglia se si trovassero, qua e là, ad operare di concerto la Croce e l'Aquila; questa, simbolo della divina bontà, della Grazia, in generale; quella, simbolo d'una special Grazia, della Redenzione, il più grandioso, il piú mirabile effetto della divina bontà. Con che mi sembra d'aver dimostrato a sufficienza che la base stessa delle argomentazioni del Valli è tutt'altro che una solida base.

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Ed ora veniamo ai particolari. La porta della città di Dite è chiusa perché manca l'Impero. Ma chi lo dice? Nella città di Dite, intesa, come deve intendersi, per il solo sesto cerchio cfr. i miei Nuovi studii su Dante, Città di Castello, Lapi, 1911

si puniscono gli eretici: che ha che fare l'Impero con l'eresia? Quella porta è chiusa, perché lo studio dell'eresie Dante studia, ossia contempla, nel suo viaggio attraverso i tre regni -, lo studio dell'eresie è studio difficile e pericoloso; onde ad esso non possono applicarsi se non coloro a cui la Chiesa, che sola giudica in materia d'eresie, lo permetta infatti, a Dante quella porta è aperta da un messo del cielo, che ha tutti i caratteri del sacerdote; principale, tra questi, la verga, simbolo della potestà sacerdotale; come in Aronne, il primo vicario di Cristo. Sicché, anche l'altra interpretazione, su cui il Valli s'appoggia per la sua prima simmetria, non regge: Enea, l'Aquilifero, non ha nulla che fare con gli eretici; è anzi, questa del Caetani, la piú strana, o per lo meno una delle piú strane interpretazioni tra quante ne sono state sinora esco

gitate per il messo celeste del C. IX dell'Inferno. Cfr. i citati miei Nuovi studii su Dante.

2. « Il Veglio di Creta, che rappresenta l'umanità, volge le spalle all' Oriente, ove si avverò la redenzione per opera della Croce. Il Veglio di Creta, che rappresenta l'umanità, volge la faccia a Roma, ove si avverò e deve riavverarsi la redenzione per opera dell'Aquila. Il Veglio di Creta poggia bene sul piede destro, di terracotta (autorità spirituale), perché opera presentemente nel mondo la redenzione della Croce. Il Veglio di Creta poggia male sul piede sinistro, di ferro (autorità civile), perché non opera presentemente nel mondo la redenzione dell'Aquila. Il Veglio è smarrito a mezza via, a Creta, dove si smarrí nella tempesta Paolo, portando la Croce e cercando la giustizia dell'Aquila, e dove Paolo ebbe dall'angelo la profezia di dover giungere a Roma. Il Veglio è smarrito a mezza via, a Creta, come Enea, per il male inteso oracolo, quando portava l'Aquila a Roma, dove doveva servire al trionfo della Croce. Ed Enea ebbe ivi dai Penati la profezia che lo sospinse a Roma ». Anche qui tutta l'argomentazione del Valli si fonda su d'un' interpetrazione certamente falsa: il Veglio di Creta non simboleggia affatto l'umanità; bensí la superbia, come io ho di mostrato, mi sia permesso il dirlo, incontestabilmente, nei citati miei Nuovi studii su Dante: tutti i particolari di quella grandiosa concezione dantesca corrispondono perfettamente ai caratteri della superbia, descritti dall'Aquinate. Per dir solo di quelli che si riferiscono all'argomentazione del Valli, il gran veglio sta a Creta, perché Creta che sperimentò i famosi regni di Saturno, quell'età dell'oro, che gli antichi poeti cantarono, per aver visto come in sogno il Paradiso terrestre; Creta simboleggia per l'appunto il Paradiso terrestre, ove i nostri primi parenti peccarono di superbia.

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E volge le spalle a Damietta, cioè all' Egitto; piú propriamente, a Babilonia, che peccò di superbia infedeltà o d' infedele superbia, come insegna Sant'Agostino; onde è qui simbolo di tale peccato; e guarda a Roma, la seconda Babilonia, la Babilonia di Occidente, come la chiama lo stesso Sant'Agostino; onde anch'essa è simbolo della superbia. Infine, il pié destro, quel di terracotta, su cui il Veglio piú che sull'altro s'appoggia, simboleggia l'imperfezione dei beni di cui l'uomo più comunemente s' insuperbisce; ché dai beni in generale, simboleggiati da Dante nei varii metalli delle braccia, del petto, del ventre e del resto; dai beni in generale, non escluse le virtú, prende occasione la superbia. E dopo tutto questo, seguiterà il Valli, a proposito del gran ve glio, a parlar di Croce e d'Aquila, di San Paolo e d' Enea?

3. « Per arrivare alla spiaggia del Purgatorio si deve esser condotti da un angelo, che ha la figura della Croce. Per ascendere alla porta del Purgatorio si deve esser portati da una donna (Lucia) che ha (nel sogno) la figura dell'Aquila ». Che l'angelo, di cui parla il Valli, abbia figura di Croce, è assai discutibile se anche i due primi bianchi le ali figurassero i bracci laterali della Croce, e la veste il braccio inferiore, mancherebbe sempre il braccio superiore, il più caratteristico, forse; come quello che, secondo la bella immagine di Sant'Agostino, è come un dito rivolto verso il cielo. Del resto, ammettiamo pure che l'angelo nocchiero del Purgatorio prenda figura di Croce: certo, la Croce, nel Purga. torio, non guasta. Ma non possiamo, neppure per un istante, ammettere che l'aquila del sogno simboleggi l'Impero. A parte che essa è da tutti gl' interpetri, come già ho accennato, intesa, giustamente, per la Grazia; a parte ciò, l'aquila del sogno non è figura, bensí anticipazione di Lucia; onde come Lia, anticipazione di Matelda, non è Matelda; cosí l'Aquila non è Lucia. Ma se anche fosse, Lucia potrà bensí simboleggiare la Grazia, simbolo che, infatti, i piú degl' interpreti le attribuiscono; non mai l'Impero

in ogni caso, dunque, l'Aquila del sogno simboleg. gerà la Grazia, non l'Impero. Quanto a me e non da ora, sto con quelli che a Lucia attribuiscono il simbolo della Fede; sicché il simbolo dell'aquila del sogno la Grazia - è, per me, integrato da quel di Lucia la Fede- e da quello del foco ove l'Aquila trasporta Dante la Carità ; abbiamo, cioè, per tutt' e tre questi simboli, messi in relazione tra loro, che all'entrata di Dante nel Purgatorio contribuiscono successivamente la Grazia, la Fede e la Carità; le tre condizioni necessarie, secondo che insegna San Tommaso, per la remissione dei peccati. E chiaro, dunque, che anche questa terza simmetria non esiste che nella mente del Vall, e che, quindi, l'Impero non ha nulla che fare con l'entrata di Dante nel regno della penitenza.

4. Nel Paradiso, nel cielo di Marte, gli spiriti si dispongono in forma di Croce. Nel Paradiso, immediatamente dopo, nel cielo di Giove, gli spiriti si dispongono in figura d'Aquila ». Ma crede dav

vero il Valli che gli spiriti della sfera di Giove, beati per il dono del consiglio, uno dei più alti doni dello Spirito Santo, formino la figura d'un'aquila, in omaggio all' Impero? Ma ciò è tanto ingenuo, quanto ingenuo è il credere né importa che tale ingenuità sia di tutti gl' interpreti che quei beati si sian prima disposti in forma d'emme, per fare omaggio alla Monarchia. Ordinandosi nell'emme della parola justitiam, essi, beati per il dono a cui corrisponde la beatitudine beati misericordes, dimostrano che la Misericordia, fonte della Grazia, non annulla la giustizia, ma in certo modo la completa, come i teologi insegnano; e col disporsi poi in forma di aquila significano che essi son beati per il dono del consiglio, val quanto dire per un aiuto diretto di Dio, in altri termini, per la bontà, per la misericordia, per la Grazia divina Cfr. i cit. miei Paralip. dant. E cosí, anche da questa quarta simmetria l'Impero sparisce.

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Quando, nel 1900, apparve il primo saggio di critica dantesca del Pascoli, esso non ebbe davvero una accoglienza entusiastica da parte dei dantisti: per dire di qualcuno soltanto, il D' Ovidio, trattando della struttura morale dell' Inferno, ebbe persino a dichiarare che in tutta la sua discussione non avrebbe mai tenuto d'occhio, le idee del Pascoli, informate a un sistema tutto personale, e troppo lontano dal campo in cui gli altri discutevano. E per la stessa ragione, sia qui detto di passata, io mi sono astenuto dal confutare la simmetria del Pascoli, riferita dal Corradini: « Virgilio e Dante, uniti nel viaggio, entrambi irredenti, perché l'uno senza la Croce, l'altro senza l'Aquila. Il Valli si provò nel Marzocco a difendere il Pascoli, ma fu una ben debole difesa la sua; ond' io, replicando, mi permisi di far notare al Valli che, con essa, non aveva reso al Pascoli un buon servizio. Altrettanto mi permetto di fargli notar ora: cercando di confermare la cosí detta scoperta pascoliana, che per la salvazione dell'anima non basti la Chiesa, ma ci voglia anche l'Impero, il Valli ci ha ricordato, che, se fu grande umanista, grande dantista il Pascoli non fu; e che non fu buona sementa quella da lui sparsa nel campo degli studii danteschi, se ancor oggi di lei cotal paglia si miete. In quanto poi al Corradini, che dalla pubblicazione del Valli prende lo spunto per parlar d'un Dante, che « si pone arbitro tra i due avvenimenti mondiali, la Chiesa e l'Impero, e sovranamente giudica dell'uno e dell'altro»; d'un terribile Dante, che, in rapporto alla salvazione dell'anima umana, accanto alla legge di Cristo « ricolloca anche la legge dell' Imperatore, a parità di condizioni »; d'un Dante, che « a operare quel congiungimento deve varcare tutti i divieti »; divieti che egli, « pro

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